Islam e democrazia

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Dall’11 al 14 luglio si è svolta presso l’Europa-Universität di Flensburg (EUF) la prima Summer School sui rapporti fra Europa e mondo islamico. Il tema scelto per questo primo anno è stato «Islam e democrazia». Thies Münchow, docente di teologia evangelica all’EUF, presenta ai lettori di SettimanaNews i tratti salienti di una settimana di intensi lavori.

Si parla. Si parla di sé. E si parla degli altri. Chi siano questi altri lo si sa bene. Quantomeno si sa che essi non sono come noi – e per i più questo è già abbastanza.

I dibattiti politici tendono a essere ermetici. Lo stesso fanno i discorsi accademici. La matematica superiore dell’economia determina la struttura dei primi, il discorso universale dell’accademia i secondi. La cosa va da sé: quello che funziona piace.

Queste immagini di una dinamica in pareggio fra offerta e domanda, di rappresentanti e rappresentati, di teoria e prassi, piacciono. Il cosmo è accettabile se, corrispondentemente al suo significato, tutto è a posto e in ordine. In questo ordine non vi è spazio per lo straordinario. Ma non solo questo. Ciò che disturba l’immagine deve essere eliminato.

È nella natura delle cose che l’immagine sia solo un’ombra della vita. Mentre la prima può essere ben manipolata, messa in scena in maniera accattivante e venire illuminata in modo da renderla più bella, così da carpire all’uomo un troppo umano «è buona cosa», la vita invece non si lascia trasporre in immagine e ci vuole già una prospettiva divina anche solo per determinare quod esset bonum.

Questa prospettiva rimane indisponibile all’essere umano – anche un ateo non la nega, quantomeno non la nega senza negare contemporaneamente le sue persuasioni. Così l’uomo rimane legato a ciò che si chiama realtà.

Misurata sull’immagine, la realtà appare essere meno accattivante e più incomprensibile. La realtà è mostruosa: vi si può fare cenno. Il reale può essere solo accennato, perché non siamo mai fuori dai cenni.

Una Summer School interdisciplinare

Islam e democraziaDall’11 al 14 luglio si sono incontrati presso l’Europa-Universität di Flenmsburg accademici palestinesi e tedeschi e studenti dell’EUF per indagare il loro rapporto con la realtà. L’occasione è stata offerta da una Summer School sul tema «Islam e democrazia».

Ovviamente vi hanno atteso studiosi di scienze politiche e giuristi. Ma erano presenti anche teologi e filosofi. Non solo, sparsi tra i partecipanti vi erano addirittura dei fisici e dei diplomatici. L’inglese è stata ovviamente la lingua dei lavori.

Dopo un breve saluto dell’organizzatore, prof. Ralf Wüstenberg (Flensburg), la parola è passata a Jan Völkel per una conferenza introduttiva. E abbiamo avuto subito a che fare con una domanda scomoda: cosa ne è della democrazia nei paesi islamici?

Völkel ha presentato i risultati del recente studio BTI (Bertelsmann Transformation Index) e il giudizio è stato perentorio: dove troviamo appeso il cartello democrazia non vuol dire che dentro vi sia veramente democrazia (almeno non la democrazia in senso occidentale). La maggioranza degli stati del Medio Oriente e nordafricani appaiono essere, infatti, delle millesimate autocrazie.

In breve, la proposta di Völekl è stata la seguente: «la democrazia non piove dal cielo, ma ha bisogno di un impegno attivo». E così viene inteso anche inteso il famoso detto del profeta: «lega il tuo cammello e abbi fiducia in Allah». Anche l’uomo deve fare la sua parte, e non prendere quello che è dato come semplicemente voluto da Dio.

L’immagine di un cammello legato al palo, che ha fatto da sfondo alla relazione di Völkel, è stata ripresa anche nella risposta di Mohammed Dajani Daoudi (Gerusalemme): spiegando che essa è tipica dell’Occidente, mentre un contemporaneo del profeta avrebbe legato le gambe del cammello. Anche nei piccoli dettagli è importante diventare consapevoli delle immagini che abbiamo in mente.

Non di rado queste immagini sono negative, talvolta sono anche positive. Nella sua conferenza di introduzione al diritto islamico, la cosiddetta Sharia, Loay Ghazawi (Ebron) ha presentato un’immagine riconciliante e concisa dell’islam e della sua compatibilità con la coscienza moderna, i diritti e la dignità dell’uomo.

Certo, la dottrina coranica si fa interpretare anche in questo modo, ha replicato Suat Alper Orhan (Flensburg), ma quello che riconosciamo idealmente non corrisponde necessariamente alla realtà. Come affrontiamo temi quali il terrorismo e la misoginia, che vengono anch’essi legittimati mediante il Corano?

Nell’intervento seguente di Arhan Kardash (Berlino) si può trovare una risposta a questa domanda. Infatti, Kardash ha optato per una precisa distinzione tra il modello di un «islam politico», nel quale la costituzione e le questioni die Realpolitik dello stato vengono legittimate mediante la religione, e quello di un «islam civile» che, come elemento particolare, si pone al di qua di determinazioni politiche di carattere universale.

In un suo secondo intervento, Mohammed Dajani (fondatore del movimento «Wasatia», una fondazione volta a gettare le basi per una migliore articolazione dei rapporti tra palestinesi e israeliani) ha sostenuto la necessità di un lavoro di chiarificazione attiva mediante la quale è possibile raggiungere una più profonda e reciproca comprensione gli uni degli altri.

Democrazia e i suoi paradossi

Seguendo tale suggestione, i lavori della Summer School sono proseguiti cercando di dare forma a questo processo di chiarificazione. Dalai Iriquat (Ramallah), sulla base di esempi tratti dalla missione diplomatico, ha mostrato quali possono essere gli ambiti in cui un legame fra islam e democrazia può felicemente riuscire – nel momento in cui la diplomazia viene preposta al dialogo religioso.

Sono seguiti un’analisi dettagliata dello sviluppo politico di Hamas (Amjad Abu El Ezz, Nablus) e un’ampia presentazione del panorama politico attuale in Medio Oriente (Samir Suleiman, Ebron). Davanti a questi dati Ralf Wüstenberg ha affermato l’importanza per il pensiero occidentale di tenere conto di tale complessità del mondo islamico, prima di giudicare con troppa precipitazione gli eventi. D’altro lato, sarebbe adeguato se anche da parte europea si avesse a disposizione una presentazione compatta delle proprie strutture e forme di pensiero per coloro che provengono da fuori di essa.

E anche il pensiero occidentale non è poi al di sopra di ogni sospetto. Questo è diventato chiaro nel corso di un episodio della Summer School. Nella sua relazione David Schweikard (Flensburg) ha parlato dei paradossi filosofici di concetti come «tolleranza» e «solidarietà», affermando che tali concetti precari non fanno necessariamente bene al dialogo e che al loro posto si dovrebbe scegliere concetti come «uguaglianza» quale fondamento di ogni incontro.

A questo punto ha preso la parola uno studente del programma Erasmus che era seduto nelle ultime file, chiedendo come dovrebbe funzionare questa cosa costruita attorno al concetto di «uguaglianza» se, da un lato, abbiamo a che fare con uno stato potente come la Germania e, dall’altro, con dei territori militarmente occupati che non sono riconosciuti in quanto stato dalla Germania.

È a tronanti come questo che fallisce lo spirito habermassiano, nel quale il mondo occidentale ama rispecchiarsi e compiacersi di se stesso. L’idea di una comunicazione ideale e razionale non è altro, appunto, che un’idea in cui chi ha voce la usa, ma chi è senza voce non vale praticamente nulla.

La donna nell’islam: tutto esaurito
Islam e democrazia

Z. Barakat e R. Wüstenberg

Per questa sezione dei lavori la sala era strapiena. In un empatico contributo Zeina Barakat (Flensburg) ha sostenuto che è possibile una lettura del Corano in prospettiva femminista, così da poter avere validi argomenti contro una sua interpretazione latentemente patriarcale.

Leggendo il Corano contropelo Barakat ne ha decostruito alcune sure in un’ottica che rende giustizia al gender.

Nella stessa direzione si è mossa Wietske de Jong-Kumru (Flensburg) che, sulla base dell’operato di attiviste islamiche in Olanda, ha mostrato la violenza strutturale contro cui devono lottare le femministe islamiche.

Il dibattito è stato particolarmente vivace, a conferma della virulenza del tema. Il vento contrario che soffia sulla prospettiva femminile ci rende avvertiti di una sottile curiosità che ha molte implicazioni. Infatti, quando l’«islam» viene percepito a partire dalla prospettiva occidentale come l’altro, allora la «donna» sembra essere qualcosa di completamente diverso.

Nelle pagine dei testi

Basterebbe guardare al ruolo che gioca la donna nel romanzo Sottomissione di Michel Houellebeqc. Vi sono diverse forme dell’altro. Quello che (ri)conosciamo

 (in caso estremo come il nostro nemico), ma vi è poi anche quell’altro che è impossibile e inaccettabile – che viene visto raramente e per lo più non è considerato.

Ma vi è la possibilità di farsi un’idea di questo altro, ad esempio attraverso la narrazione di storie. È questa l’idea intorno a cui si è articolata l’ultima giornata dedicata alla rappresentazione dell’islam nella letteratura.

Iulia Patrut e Nadjib Sadikou (Flensburg) hanno offerto, in primo luogo, una panoramica della recezione ed elaborazione dell’islam nella storia della letteratura tedesca. Praticamente scontato qui il richiamo di entrambi a Lessing. In seconda battuta, ci si è soffermati sulla letteratura dei migranti come Rafik Schami, Navid Kermani e Feridun Zaimoglu.

A quest’ultimo si è riferito Marcello Neri (Flensburg), in particolare al romanzo Siebentürmviertel, per configurare la differenza tra le strutture organiche e auto-regolative di una comunità cresciuta nel tempo e le strutture normative e istituzionalizzate di uno stato. Detta altrimenti, la differenza tra cultura e amministrazione.

Un passo nella realtà

Sì, ci facciamo molte immagini di noi stessi e dell’altro. E si parla di queste immagini come se fossero un dato di fatto. Ma se si guarda meglio, allora non si può fare a meno di mettere in discussione queste immagini a partire dalla realtà (e non viceversa).

E non si può fare a meno di ciò soprattutto quando qualcuno seduto nelle ultime file alza la mano e racconta la propria storia. Forse è merito del formato Summer School il fatto che ognuno diventi «discepolo» dell’altro.

In questo senso, una simile Summer School è un contributo alla cultura e alla formazione, la cui assoluta necessità è stata più volte sottolineata nel corso dei lavori.

E sempre in questo senso, una simile Summer School è anche politica reale, ossia politica al di là della pura amministrazione. Si può quindi dire che, come primo esperimento, la settimana su «Islam e democrazia» all’Europa-Universität di Flensburg è stata un successo.

Islam e democrazia


Wir und die anderen – Gedanken zur Summer School „Islam & Democracy“ (11.-14. Juni 2019) an der Europa-Universität Flensburg

Man spricht. Man spricht von sich. Und man spricht von den anderen. Wer diese anderen sind, weiß man. Wenigstens weiß man, sie sind nicht wir – und das genügt meist schon.

Politische Debatten tendieren zur Hermetik. Auch akademische Diskurse tun das. Die höhere Mathematik der Ökonomie bestimmt die Struktur der einen, der Universaldiskurs der Akademie die der anderen. Es versteht sich von selbst: das, was gut funktioniert, behagt. Diese Bilder einer ausgeglichenen Dynamik von Angebot und Nachfragen, von Repräsentanten und Repräsentierten, von Theorie und Praxis behagen. Der Kosmos ist akzeptabel, wenn er, seinem Begriff entsprechend, ‚in Ordnung‘ ist. In dieser Ordnung hat das Unordentliche keinen Platz. Nicht nur das! Was das Bild stört, gehört schlichtweg nicht ins Bild.

Es liegt in der Natur der Sache, dass das Bild immer nur ein Schatten des Lebens bleibt. Denn während das erstgenannte, wohl ausgeleuchtet, hübsch arrangiert und appetitlich inszeniert, dem Menschen ein allzumenschliches ‚es ist gut‘ abzujagen vermag, lässt sich das Leben nicht ins Bild setzen, und es braucht schon eine göttliche Perspektive, um festzustellen, quod esset bonum.

Diese Perspektive bleibt dem Menschen vorenthalten – auch ein Atheist verleugnet sie nicht (wenigstens nicht, ohne gleichzeitig seine Überzeugung zu verleugnen). So bleibt der Mensch aber dennoch verwiesen an das, was man schlicht und ergreifend Realität nennt. Diese bleibt unbegreiflich und wenig ergreifend, wenn sie am Bild gemessen werden soll. Diese Realität ist monströs: Man kann auf sie deuten. Das Reale lässt sich nur andeuten, denn man ist nie außerhalb von Deutungen.

Vom 11. bis 14. Juni 2019 trafen sich palästinensische und deutsche Wissenschaftler sowie Studierende an der Europa-Universität Flensburg, um ihr Verhältnis zur Realität zu eruieren. Den Rahmen hierfür bildet eine Summer School mit dem Titel „Islam & Democracy“. Natürlich waren Politikwissenschaftler und Rechtsgelehrte von beiden Seiten dabei. Dabei waren aber auch Theologen und Philosophen. Und sogar Physiker und Diplomaten waren daruntergemischt. Man sprach Englisch miteinander.

Nach einem Grußwort von Veranstalter Ralf Wüstenberg (Flensburg) ist es an Jan Völkel (Freiburg) den Diskurs mit einem initialen Vortrag zu eröffnen. Und direkt haben wir es mit einer pikanten Frage zu tun: Wie steht es um die Demokratien der islamischen Länder? Völkel präsentiert die jüngsten Erhebungen des BTI (Bertelsmann Transformation Index) und das Urteil fällt drastisch aus: Wo Demokratie draufsteht, da muss noch längst nicht Demokratie drin sein (zumindest nicht ‚westliche Demokratie‘); und so zeigt sich das Gros der nahöstlichen und nordafrikanischen Staaten vielmehr als ausgegorene Autokratien. Völkels Plädoyer in Kürze: ‚Demokratie fällt nicht vom Himmel, vielmehr bedarf sie des aktiven Einsatzes.‘ Und so versteht Völkel auch das bekannte Hadith, worin es heißt, ‚Binde dein Kamel an, und vertraue auf Allah‘. Der Mensch hat eben auch seinen Teil zu leisten und nicht einfach das Gegebene als schlechthin Gottgewolltes zu verstehen.

Das Bild des an einen Pfahl angebundenen Kamels, das die Folien von Völkels Präsentation ziert, wird dann auch seinem Respondenten Mohammed Dajani Daoudi (Jerusalem) beschäftigen. Dajani erklärt, dass der Gedanke, das Kamel an einen Pfahl anzubinden, eine sehr westliche Idee sei, dahingegen hätte ein Zeitgenosse des Propheten seinem Kamel die Füße zusammengebunden. Selbst in diesen kleinen Details ist es wichtig, dass wir uns der Bilder im Kopf bewusst werden.

Nicht selten sind diese Bilder negativ, ebenso oft aber auch positiv. In seiner Einführung in die islamische Rechtslehre, der sogenannten Sharia, präsentiert Loay Ghazawi (Hebron) ein prägnantes und versöhnliches Bild vom Islam und dessen Vereinbarkeit mit dem modernen Bewusstsein der Menschenrechte und –würde. Sicherlich lässt sich die Lehre des Koran so deuten, antwortet Suat Alper Orhan (Flensburg), aber was wir idealerweise erkennen, das deckt sich nicht notwendigerweise mit der Realität: Wie gehen wir um mit Themen wie Terror und Misogynie, die ebenfalls durch Koranauslegungen legitimiert werden?

Direkt im darauffolgenden Vortrag bietet Arhan Kardash (Berlin) einen Möglichkeit an, mit dieser Problematik umzugehen: Kardash optiert für eine strikte Unterscheidung zwischen dem Modell eines ‚politischen Islam‘, in dem Verfassung und realpolitische Belange eines Staates durch die Religion legitimiert sind, und dem eines ‚zivilen Islam‘, der sich als partikulares Element diesseits universaler politischer Bestimmungen situiert.

Am Abend des ersten Konferenztages spricht erneut Mohammed Dajani, dem es zukommt, die Keynote Speech zu halten. Dajani tritt als Gründer der Wasatia Bewegung auf, einer Stiftung zur Verbesserung des Verhältnisses von Palästinensern und Israelis, und spricht sich für die aktive Aufklärung aus, wodurch ein tieferes und wechselseitiges Verständnis konfligierender Parteien erreicht werden kann. Man wird Zeuge davon, wie auch Dajani etwas Gegenwind bekommt. Weniger von europäischer als von arabischer Seite. Dabei geht es allerdings nicht um ein bestimmtes Verständnis vom Islam, sondern um seine Deutung Platons, d.h. des Philosophen, der wie kein anderer das abendländische Denken beeinflusst hat.

Die folgenden Tage sind bestimmt durch Aufklärungsarbeit. Dalal Iriquat (Ramallah) zeigt anhand von Beispielen aus der Diplomatie, an welchen Stellen die Verquickung von Islam und Demokratie von Erfolg gekrönt sein kann, nämlich indem die Diplomatie dem religiösen Dialog vorgeordnet wird. Amjad Abu El Ezz (Nablus) gibt einen detaillierten Einblick in die politische Entwicklung der Hamas. Samir Suleiman (Hebron) päsentiert einen nicht weniger informativen Einblick in die politische Landschaft des Nahen Ostens. Ralf Wüstenberg hält fest, wie nötig es für das westliche Denken ist, diese Komplexität jederzeit wahrzunehmen, wenn wieder einmal vorschnell so oder so geurteilt wird; und mehr noch: denn auch europäischerseits wäre es nicht verkehrt eine solche kompakte Darstellung für Außenstehende bereitzuhalten.

Ja, das westliche Denken ist nicht über allen Zweifel erhaben. Eine Geschichte vom zweiten Tag macht dies mehr als deutlich. David Schweikard (Flensburg) spricht über die philosophischen Paradoxa von Begriffen wie ‚Toleranz‘ und ‚Solidarität‘. Dabei kommt er zu dem Schluss, dass diese prekären Begriffe einem Dialog nicht unbedingt zuträglich sind und dass stattdessen lieber ein Konzept wie ‚Gleichheit‘ als Fundament jeder Begegnung angesetzt werden sollte. Nach Schweikards Vortrag meldet sich ein Erasmus-Student, der in einer der hinteren Reihen Platz gefunden hat. Wie denn diese Sache mit der Gleichheit funktionieren solle, fragt er, wenn wir es auf der einen Seite z.B. mit einem mächtigen Staat wie Deutschland zu tun haben und auf der anderen Seite mit einem militärisch besetzten Gebiet, das von ebendiesem Deutschland nicht einmal als Staat anerkannt wird.

An solchen Punkten versagt der Habermassche Geist der, in dem sich die westliche Welt selbst gefällt. Der Gedanke idealer und rationaler Kommunikation ist nicht mehr als das: eine Idee, in der, wer eine Stimme hat, sie auch gebrauchen darf, wer aber ohne Stimme ist, gleich nichts ist.

Am vorletzten Tag ist der Konferenzraum überfüllt. Das verwundert wenig, denn ein integrales Thema steht zur Debatte: der Islam und die Frau. In ihrem emphatischen Vortrag zeigt Zeina Barakat (Flensburg), dass es durchaus möglich ist, den Koran in feministischer Perspektive zu verstehen und valide Gegenargumente zur latent patriarchalen Deutung anzubieten. Im Sinne eines Gegendiskurses führt Barakt das Plenum durch den Koran und dekonstruiert so manche Sure im Sinne eines gendergerechten Paradigmas. Auch Wietske de Jong-Kumru (Flensburg) trägt mit konkreten Fallbeispielen zur Debatte bei, indem sie am Beispiel muslimischer Aktivistinnen in den Niederlanden die strukturelle Gewalt anzeigt, mit der muslimische Feministinnen zu kämpfen haben. Die Diskussion ist angeheizt und verweist so um so mehr auf die Virulenz der Thematik. Der Gegenwind, den die weibliche Perspektive bekommt, macht uns auf eine subtile, aber wirkmächtige Kuriosität aufmerksam: Denn man möchte fast meinen, dass, wenn schon ‚der Islam‘ aus der westlichen Perspektive als das Andere wahrgenommen wird, ‚die Frau‘ noch einmal etwas ganz anderes zu sein scheint, das für so manche noch wesentlich skrupulöser ist.

Dies ist es auch, was der Verfasser dieser Zeilen auszudrücken versucht, wenn er am letzten Konferenztag über die Rolle der Frau in Michel Houellebecqs Roman ‚Unterwerfung‘ spricht. Es gibt unterschiedliche Formen des Anderen. Da ist derjenige andere, den wir (aner)kennen (zur Not auch als unseren Feind), aber da ist noch ein anderer Anderer, ein unmöglicher, inakzeptabler Anderer, der selten gesehen, aber fast immer vernachlässigt wird. Doch es gibt die Möglichkeit, eine Idee von diesem Anderen zu bekommen, z.B. mit Hilfe von Geschichten. Und so widmet sich der finale Konferenztag der Darstellung des Islams in der Literatur.

Iulia Patrut (Flensburg) und Nadjib Sadikou (Flensburg) geben einen einschlägigen Überblick zunächst über die Rezeption und Verarbeitung des Islams in der Geschichte der deutschen Literatur. Es versteht sich fast von selbst, dass der Name Lessing hier fällt. Ferner werden bekannte Namen der Migrantenliteratur wie Rafik Schami, Navid Kermani und Feridun Zaimoglu diskutiert. Dem letztgenannten widmet Marcello Neri (Flensburg) seine Aufmerksamkeit, genauer gesagt, dessen Roman „Siebentürmeviertel“. Anhand des Romans verdeutlicht Neri die Differenz zwischen selbstregulierenden, organischen Strukturen einer gewachsenen Gemeinschaft und den normativen, institutionalisierten Strukturen eines Staates; anders gesagt, die Differenz zwischen Kultur und Verwaltung.

Ja, es existieren viele Bilder von uns und den anderen. Und man spricht wie selbstverständlich über diese Bilder. Aber wenn man einmal genau hinsieht, dann kommt man nicht umhin, diese Bilder von der Realität her zu befragen (und nicht umgekehrt). Und man kommt gerade dann nicht umhin, dies zu tun, wenn sich in einer der hinteren Reihen einer dieser anderen meldet und seine Geschichte erzählt. Vielleicht liegt es in der Natur des Formats Summer School, dass hier ein jeder ‚Schüler‘ des Anderen ist. In diesem Sinne trägt eine solche Summer School zur Bildung bei, deren unbedingte Notwendigkeit immer wieder hervorgehoben wird. In diesem Sinne ist eine solche Summer School sogar wirkliche Politik, nämlich Politik jenseits der Verwaltung. In diesem Sinne war die Summer School „Islam & Democracy“ an der Europa-Universität Flensburg ein Erfolg.

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