Italia, la crisi demografica

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La replica è giunta puntualmente. Dopo il sorprendente calo dei residenti registrato in Italia nel 2015 – il primo dopo quasi un secolo di continua crescita –, ecco nei nuovi dati del 2016 la conferma di un’ulteriore riduzione numerica della popolazione italiana.

Il recente Rapporto dell’Istat Indicatori Demografici 2016, nell’anticipare il bilancio anagrafico dell’anno appena concluso, indica infatti in 60 milioni e 579 mila i residenti in Italia al 1° gennaio 2017, ossia 86 mila in meno rispetto all’anno precedente, così da portare a 217 mila il calo complessivamente registrato a partire dalla punta massima di 60 milioni e 796 mila residenti raggiunta alla fine del 2014.

Indicatori Demografici 2016

Numero di figli per donna. Elaborazione di dati ISTAT dal 1946 in poi (Wikipedia).

La questione demografica

Questa seconda consistente diminuzione di popolazione, che da isolata “eccezione” rischia di trasformarsi in “regola”, riporta la questione demografica al centro del dibattito sul futuro del nostro Paese, rendendo attuale e irrinunciabile una seria riflessione sulle cause che stanno alla base delle tendenze in atto, nonché sui problemi che ne derivano e, ove esistano, sulle possibili contromisure per risolverli o, quanto meno, per attenuarne gli effetti negativi.

Un tema che certamente sta al centro di qualsiasi valutazione circa la crisi demografica del nostro tempo è la pesante caduta della natalità. In tal senso il resoconto dei dati statistici è eloquente e inesorabile. Il bilancio del 2016 segna un nuovo record al ribasso nella storia del Paese. Il primato negativo delle 486 mila nascite registrato nel 2015 viene “migliorato” dalle 474 mila del 2016. Con una riduzione del 2,4% a livello nazionale che si distribuisce quasi ovunque sul territorio, con la sola eccezione della Provincia di Bolzano che, con un incremento del 3,2%, assume un ruolo di società demograficamente “virtuosa” che varrebbe la pena di indagare meglio e forse anche emulare (per quanto possibile).

In valore assoluto, i nati da cittadine straniere sono stati 92 mila, il 2,2% in meno dell’anno prima. Di questi, 61 mila sono quelli avuti con partner straniero e quindi essi stessi stranieri: lo scorso anno erano 72 mila e risultano in calo costante dagli 80 mila del 2012. D’altra parte, non sorprende che anche il comportamento delle coppie immigrate rifletta sempre più (forse ancor di più delle autoctone) le difficoltà dell’essere genitori in un Paese che non aiuta certo la famiglia a produrre e formare quel capitale umano di cui la società ha bisogno.

Il costo dei figli, la carenza di strutture di cura, la crescente difficoltà nel conciliare maternità e lavoro sono tra i fattori determinanti nel percorso di rinvio, spesso destinato a diventare rinuncia, che caratterizza scelte riproduttive sempre meno attente alla distinzione di passaporto.

Le donne straniere, che tradizionalmente evidenziavano una fecondità più accentuata e sono tuttora favorite da una struttura per età nettamente più giovane, hanno avuto in media 1,95 figli nel 2016 – sono già da due anni sotto il livello di ricambio generazionale, là dove nel 2008 erano largamente al di sopra (2,65 figli per donna) – mentre le italiane sono rimaste ferme a un assai più modesto 1,27.

La conseguenza di queste tendenze è che il saldo naturale (nascite meno decessi) registra anche nel 2016 – nonostante sul fronte della mortalità si sia tornati ai livelli di due anni fa (dopo l’anomalo rialzo del 2015) – un valore fortemente negativo (-134 mila), che rappresenta il secondo maggior calo dal 1918, superato unicamente da quello registrato nel 2015 (-162 mila).

Il lavoro e la longevità

Al tempo stesso, il saldo migratorio netto con l’estero resta positivo (+135 mila unità), ma sconta gli effetti delle note criticità di un mercato del lavoro che ha perso attrattività e talvolta spinge persino all’abbandono del territorio nazionale. Non a caso, delle 157 mila uscite dall’Italia nel corso del 2016 – che rappresentano un nuovo massimo per l’epoca recente – solo 42 mila coinvolgono cittadini stranieri. Le restanti 115 mila uscite riguardano italiani, con un aumento del 12,6% rispetto all’anno precedente, a testimonianza di un progressivo rilancio delle nostre emigrazioni, spesso di giovani, alla ricerca di opportunità che in patria si rivelano sempre più rare.

Nel complesso gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2017 sono 5 milioni 29 mila (8,3% della popolazione totale). Mostrano un lievissimo aumento rispetto all’anno precedente (+2,5 mila), ma solo perché frenato da 205 mila uscite dal collettivo degli stranieri per acquisizione della cittadinanza italiana (il 38% è relativo a minorenni); un fenomeno che, nonostante la tanto criticata legge attualmente in vigore, ha portato le acquisizioni di cittadinanza – molte delle quali per “trasmissione” a minori da parte di un genitore (ex art.14 legge 91/1992) – dalle 29 mila del 2005, alle 66 mila del 2010, sino a1le 178 mila del 2015 e, per l’appunto, alle 205 mila del 2016.

Rispetto all’immagine strutturale della popolazione residente, i dati al 1° gennaio 2017 indicano un’età media di 44,9 anni, due decimi in più rispetto al 1° gennaio 2016 (corrispondenti a circa due mesi e mezzo) e due anni esatti in più rispetto alla stessa data del 2007. Gli ultra65enni superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale (erano 11,7 milioni nel 2007, pari al 20,1%). I residenti ultra90enni sono attualmente 727 mila, laddove quindici anni fa ammontavano a 402 mila, mentre al 1° gennaio 2017 si stima che siano ancora in vita oltre 17 mila ultracentenari, per altro destinati ad accrescersi nel tempo.

Rilanciare la natalità

Come si vede, le dinamiche in atto e le trasformazioni che ne derivano impongono azioni di governo e una revisione dei modelli di riferimento e degli atteggiamenti che hanno contraddistinto il recente passato. Considerata la gravità della crisi demografica che sta colpendo il nostro Paese, sembra particolarmente necessario interrogarsi su quali siano le principali e non semplici sfide che siamo chiamati, da subito, ad affrontare. E in tal senso una priorità inderogabile è senz’altro il rilancio della natalità.

È il momento di fare il tanto atteso salto dal “dire” al “fare”. Si tratta di passare da interventi spesso occasionali (talvolta solo di facciata) e privi di una visione coordinata e coerente, a un piano d’azione che sia invece ben chiaro rispetto a “chi” e a “come” si deve agire. Ciò che oggi serve è un’esplicita politica “demografica” mirata al sostegno della natalità e, conseguentemente, della famiglia come “luogo” naturale nella “produzione” e formazione delle future generazioni.

Occorre, dunque, abbandonare l’idea che ci si possa limitare a gesti dimostrativi (a bonus bebé più o meno circoscritti e temporanei) o che siano sufficienti iniziative di – pur doveroso ma diverso negli obiettivi – contrasto alla povertà. È necessario restituire agli italiani di “classe media” le condizioni per fare “quando giovani” il loro primogenito e per affiancargli, allorché adulti, uno o più fratelli.

Per allinearci a un paese che ci è vicino e simile per dimensione demografica, come è la Francia, ci mancano all’appello quasi 300 mila nati. Forse abbiamo qualcosa da imparare!

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