La Cassa del Mezzogiorno

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anniversario CdM

Il 10 agosto si sono compiuti i settant’anni dalla creazione della Cassa del Mezzogiorno. L’impegno di ricordare quest’avvenimento non nasce dalla semplice nostalgia per le speranze che il nostro paese si poneva per unificare realmente il paese nel lungo periodo della ricostruzione. Il ricordo ci deve servire per riflettere se ci sia oggi la possibilità di mettere in atto un progetto che, senza ripetere il passato, cerchi però di rinnovare la speranza di riprendere il cammino dello sviluppo, nei confronti del quale il contributo del Mezzogiorno è insostituibile.

In riferimento al passato, mi limito a ricordare (come già ha perfettamente illustrato Viesti su queste colonne) che, nei primi 25 anni della sua vita, la Cassa del Mezzogiorno non solo ha contribuito a costruire il più lungo periodo di sviluppo del nostro paese, ma ha posto in essere le condizioni perché il reddito procapite del sud si avvicinasse a quello del nord. Caso purtroppo unico nel nostro dopoguerra: oggi la distanza è ritornata ad essere quella del lontano 1950.

Certo, nemmeno allora si trattava di un periodo d’oro: basti pensare all’emigrazione, alle debolezze del processo di industrializzazione e, come riconosciuto dagli stessi protagonisti, all’insufficiente attenzione nei confronti della coesione sociale e della preparazione delle risorse umane.

Nonostante questi limiti, il contributo della Cassa allo sviluppo del Mezzogiorno è stato decisivo e, soprattutto, unico nella storia italiana.

Le ragioni di questo successo della prima stagione della Cassa, che hanno permesso la realizzazione di grandi progetti concreti con un rispetto dei tempi che non si è mai ripetuto, sono dovute alla chiarezza degli obiettivi e alla semplicità delle procedure adottate, rafforzate da una struttura decisionale di alto livello tecnico. Una struttura diretta da Gabriele Pescatore, presidente capace ed energico, rimasto in carica per un ininterrotto periodo di ventun anni.

La parabola discendente della Cassa è cominciata quando il nucleo centrale formato da poche centinaia di tecnici specializzati è cresciuto a dismisura e ha subito un processo di frammentazione per effetto di crescenti fenomeni di lottizzazione politica e per il modo con cui le Regioni sono entrate nel processo decisionale della Cassa. Esse hanno infatti assunto un crescente potere a livello centrale, accompagnato da una scarsa capacità di realizzazione a livello regionale. L’opposto di quanto ci si potesse aspettare dall’arrivo delle Regioni.

A questo si è aggiunto l’effetto della rivoluzione conservatrice contraria ad ogni intervento pubblico. Una rivoluzione che, nel Mezzogiorno, si è tradotta perfino nella cancellazione delle strutture di credito speciale e di tutti gli strumenti straordinari di politica a sostegno delle aree più arretrate, nell’illusione che esse potessero risorgere spinte dalla pura forza del mercato.

Non è pensabile oggi riprodurre la Cassa e nemmeno le condizioni in cui essa ha operato nella parte gloriosa della sua storia. Abbiamo però la possibilità di riprendere con nuovi strumenti gli obiettivi che essa si proponeva settant’anni fa.

Il tutto in una situazione di grande debolezza del Mezzogiorno, ma anche con la presenza di strutture e di aree fortemente dinamiche e capaci di concreti progressi.

Non possiamo, in primo luogo, trascurare le grandi potenzialità esistenti nelle aree di Napoli, Bari e Catania, a condizione che queste realtà siano messe in rete e creino fra di loro un sistema integrato.

In secondo luogo, abbiamo, dopo tanto tempo e per poco tempo, le risorse europee in teoria sufficienti a portare avanti un progetto di rinnovamento del Mezzogiorno.

A questo si aggiunge la prospettiva, fino a ieri impensabile, della “fiscalità di vantaggio” che, se messa in atto, costituisce un incentivo automatico e quindi una spinta positiva per ogni tipo di attività economica.

Manca, invece, la capacità di direzione politica e amministrativa in grado di incanalare e rendere produttive queste prospettive.

È quindi indispensabile, in accordo con la Commissione Europea, creare una struttura a livello centrale fornita di un’elevata capacità tecnica per elaborare una strategia complessiva di intervento, per definirne le caratteristiche e le priorità. Una struttura che abbia l’autorità di imporre alle Regioni i tempi e i modi di attuazione delle iniziative riguardanti il loro territorio.

La necessità di dare vita a una strategia nazionale per impiegare le risorse della Next Generation non riguarda soltanto il Mezzogiorno. Essa è necessaria per tutta l’Italia, ma assume una particolare rilevanza dove è indispensabile recuperare un divario che sembra ormai divenuto incolmabile.

Non si tratta di estromettere le Regioni dal potere decisionale, ma di rendere l’attuazione delle decisioni rapide e fra loro compatibili. Al governo centrale deve rimanere la facoltà di sostituirsi alle Regioni in caso questo sia necessario per mettere in atto le decisioni prese.

Se non saremo capaci di dare vita a questi cambiamenti non potremo nemmeno spendere i pur sostanziosi fondi finalmente disponibili.

Per questo motivo è così importante ricordare le modalità con le quali la Cassa del Mezzogiorno ha raggiunto i suoi risultati nella sua fase migliore e riflettere nello stesso tempo sulle mancanze del progetto originario, a partire dall’insufficiente investimento nelle risorse umane e quindi dalla scuola, che dovrà avere un ruolo di assoluta preminenza.

Nello stesso tempo, abbiamo tuttavia l’obbligo di riflettere sulle ragioni della decadenza della Cassa: l’indebolimento della capacità tecnica, la frammentazione del potere decisionale dovuta alla lottizzazione politica e la perdita del ruolo dello stato nell’indirizzare e dirigere la realizzazione dei processi di sviluppo.

La disponibilità di nuove risorse e il mutamento del contesto internazionale rendono possibile un cambiamento di rotta. Non è quindi tempo di mediazioni, ma di decisioni innovative.

  • Ripreso dal sito del prof. Romano Prodi (articolo pubblicato su Il Messaggero del 9 agosto).
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