La nonviolenza per una politica di pace

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Se il secolo scorso è stato devastato da due micidiali guerre mondiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, oggi l’umanità è purtroppo in presenza di una non meno terribile guerra mondiale combattuta «a pezzi» che sta provocando enormi sofferenze. In presenza di inaudite forme di violenza, l’unica risposta per costruire la pace è la pratica della nonviolenza come «lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme» (n. 1), abbracciando l’educazione in famiglia fino ad «un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari» (n. 5). «Facciamo – è l’invito di Francesco – della nonviolenza attiva il nostro stile di vita» (n. 1).

È questa la proposta di papa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, che si celebra il 1° gennaio e che nel 2017 giunge al suo 50° anno. Firmato l’8 dicembre scorso, festa dell’Immacolata Concezione, per chiedere «alla Vergine di farci da guida» (n. 7), il messaggio ha come tema “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”.

Citando Paolo VI e il primo messaggio per la pace del 1968, Francesco mette in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali».

Una scelta ragionevole

Per Francesco la nonviolenza è la scelta più ragionevole. Ad essere illusoria e irrazionale è la violenza, perché essa impedisce di raggiungere obiettivi di valore duraturo e non fa altro che provocare enormi sofferenze (guerre in diversi Paesi e continenti, terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili, abusi a danno dei migranti e delle vittime della tratta, devastazione dell’ambiente) e scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi signori della guerra. «La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti» (n. 2).

Non arrendersi al male e spezzare la catena dell’ingiustizia

Sull’esempio di Gesù Cristo, che «insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cf. Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cf. Mt 5,39)», affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità è la «la magna charta della nonviolenza cristiana». Non arrendersi al male, ma di rispondere al male con il bene, spezzando così la catena dell’ingiustizia (n. 3).

A conferma, papa Francesco cita un intervento di Benedetto XVI del 18 febbraio 2007, in cui si affermava che la nonviolenza «è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo di più viene da Dio». E ancora: «La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana» (n. 3).

La «strategia di costruzione della pace» ha anche una sorta di «manuale»: le otto beatitudini. Francesco propone «un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità». Ciò significa: «dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale» (n. 6).

I frutti della nonviolenza

La nonviolenza non è «resa, disimpegno e passività». Al contrario, può produrre «risultati impressionanti» (n. 4). A dimostrazione di ciò, Francesco ricorda anzitutto Madre Teresa, «un’icona dei nostri tempi» per gli operatori e le operatrici di pace. Egli cita il discorso tenuto da Madre Teresa nel 1979 in occasione del ricevimento del Premio Nobel per la pace: «Nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri […] E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo». E cita la sua stessa omelia per la canonizzazione avvenuta lo scorso 4 settembre: Madre Teresa «si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro stessi» (n. 4).

Il papa ricorda pure «i successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King jr contro la discriminazione razziale»; l’impegno di «Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia» (n. 4).

Nel suo impegno «per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura», la Chiesa cattolica non è sola, ma opera insieme a «molte tradizioni religiose, per le quali «la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita» (n. 4).

La nonviolenza deve cominciare tra le mura di casa

«Il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano» (n. 2). Per questo, papa Francesco parla della famiglia come del luogo originario da cui partire per educare alla nonviolenza: «La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono. Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società» (n. 5).

Addirittura Francesco giunge a mettere sullo stesso piano «un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari», insieme alla richiesta «che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini», nella certezza che «le politiche di nonviolenza devono cominciare tra le mura di casa per poi diffondersi all’intera famiglia umana» (n. 5). Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino e ogni bambina possano, grazie all’immagine e somiglianza di Dio impresse in ogni persona, riconoscersi a vicenda come doni sacri dotati di immensa e inalienabile dignità (n. 1).

Un dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale

In conclusione del suo messaggio, Francesco assicura che «la Chiesa Cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la nonviolenza attiva e creativa» e ricorda che dal 1° gennaio 2017 sarà varato «il nuovo Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato e della sollecitudine verso i migranti, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura» (n. 6).

«Nel 2017 – conclude – impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace» (n. 7) che hanno – secondo l’esortazione di san Francesco d’Assisi – ancor più copiosa nei cuori la pace che annunciano con la bocca (n. 3).

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