La prima volta dei 5 Stelle

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Storia semiseria di un matrimonio mancato. Si potrebbero raccontare così le traversie di Beppe Grillo e i “liberali europei”, culminate nell’annuncio della confluenza dei rappresentanti grillini nel gruppo parlamentare dei secondi, seguito dalla ratifica via web da parte dei “cittadini” italiani e poi, improvvisamente, il recesso unilaterale dell’interlocutore europeo, che lascia gli altri nel più cupo sconforto.

L’ironia viene spontanea ed è anche appropriata visto che, dopotutto, uno dei protagonisti, Grillo, è un comico di professione. La superficialità con cui, prima di essere certo della nuova alleanza, aveva denunciato il patto che finora lo aveva legato all’antieuropeo Farage va annoverata di diritto tra gli svarioni più grossolani della grammatica politica.

Matrimonio d’interesse

Che si trattasse di un matrimonio d’interesse era indubbio. Il leader del gruppo liberale al Parlamento europeo, il belga Verhofstadt, aveva bisogno di rinforzare, numericamente, la sua posizione per candidarsi alla presidenza dell’assemblea. L’adesione dei 17 italiani gli avrebbe consentito di presentarsi come espressione del terzo raggruppamento della rappresentanza continentale, dopo i popolari e i socialisti. Ma il suo gruppo, che pure a suo tempo aveva ospitato personaggi come Di Pietro e Bossi, di matrice tutt’altro che liberale, si è ribellato e lo ha costretto a ritirare il consenso all’operazione.

Da parte sua, il gruppo grillino immaginava la confluenza nel più vasto schieramento “liberale” come un rafforzamento di presenza e di influenza, rispetto alla pochezza di una formazione, come quella di Farage, del tutto antagonista e per giunta destinata a svanire con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Nel computo dei vantaggi presunti erano da annoverare anche la maggiore influenza nei lavori d’assemblea e l’aumento delle risorse economiche a disposizione. Ma il ritiro dell’interlocutore ha mandato in frantumi il giocattolo e, per giunta, ha lasciato i grillini nella terra di nessuno, in cerca di una nuova improbabile sponda.

Errori di strategia

Era solo un’operazione a valenza “tecnica” e dunque senza riflessi politici rilevanti, come aveva sostenuto disinvoltamente l’on. Di Maio; oppure è stato un rigetto del ceto dirigente liberale, spaventato dalla prospettiva di una contaminazione con soggetti tanto diversi, come ha recitato Grillo a fallimento consumato?

Soprattutto sul versante italiano le conseguenze sono oggetto di esame sia da parte degli interessati sia da parte degli osservatori. Ci si interroga sul ruolo della leadership: come è stato possibile un così rilevante errore di calcolo delle possibili variabili in una manovra impegnativa e complessa? Non era doveroso tener conto delle resistenze che nell’area “liberale” si sarebbero manifestate; o si è immaginato che anche lì la ratifica dell’accordo sarebbe avvenuta con la stessa facilità ottenuta, sulla parola del capo, nella votazione grillina? Veri errori di strategia.

Deficit culturale

Errori ai quali va affiancato un deficit culturale che continua a manifestarsi nel movimento. Il quale pretende di mantenere il proprio marchio ideologico anti istituzionale, che lo spinge a considerare le istituzioni rappresentative come scatole di tonno da aprire a piacimento, nel momento stesso in cui immagina di collaborare con altre entità che, viceversa, imperniano la loro stessa esistenza sulla partecipazione alla vita delle istituzioni. Come si fa a patrocinare l’uscita dall’euro mentre si stipula un’alleanza organica con chi dell’euro e dell’Europa unita in generale ha fatto le proprie icone di programma e di propaganda? Anche il più spregiudicato pragmatismo non può permettersi licenze etiche così rilevanti.

L’altra faccia della medaglia

Ma c’è anche un altro aspetto particolarmente serio della vicenda che sarebbe sbagliato lasciare in ombra e che – tutto considerato – porta ad esprimere una punta di rammarico per la mancata riuscita di un’operazione pur così spregiudicata e dunque criticabile.

Il fatto che va segnalato è il seguente: per la prima volta, da quando esiste, il Movimento 5 Stelle ha cercato e tentato di stipulare un’alleanza con un altro soggetto dichiaratamente diverso.

Errori di conduzione e fallimento dell’impresa non tolgono valore a tale circostanza. Senza che vi fosse stata un’elaborazione culturale ed anzi con l’evidente presunzione di traslocare tutto il proprio bagaglio ideologico nel nuovo contenitore prescelto, si è comunque imboccata una via fin qui ritenuta impedita. «Né alleanze, né cooperazione con altri» è la parola d’ordine oggettivamente trasgredita da un’intenzione chiaramente manifestata.

Il ricordo va alla situazione post-elettorale italiana del 2013, quando Bersani prima e Letta poi invitarono i 5 Stelle a “scongelarsi” iniziando ad avere una vita di relazione alla pari degli altri soggetti politici, nel contrasto o nella convergenza.

Democrazia inclusiva

Era la visione di una democrazia inclusiva che non respinge pregiudizialmente nessuno e anzi tende a coinvolgere il massimo possibile di energie nello sforzo di costruzione e di governo della società. A quella visione in Italia si è contrapposta l’idea di un movimento impermeabile e autarchico, con un ordinamento speciale e con una gerarchia insindacabile.

Rispetto a questo impianto, quel che è accaduto in Europa rappresenta un’apertura sin qui impensata. Non nell’ordine delle convinzioni ma delle convenienze. Ma in politica i processi maturano anche così, attraverso la graduale estensione delle pratiche di relazione e del … contagio democratico che ne deriva.

La storia della democrazia italiana, se non se ne fa la caricatura, descrive uno sviluppo inclusivo come quello descritto: tante forze, originariamente chiuse in una solitaria concezione del potere, si sono progressivamente aperte al confronto e poi al dialogo e infine alla collaborazione.

Dall’episodio di Bruxelles, ovviamente, non si possono trarre vaticini ottimistici di alcun genere. Anzi, nell’immediato l’onta per il rigetto subito, e per il modo in cui si è manifestato, darà fiato alle tendenze più integraliste ed esclusiviste del Movimento 5 Stelle. Ma un diaframma è caduto, un varco si è aperto anche se è stato immediatamente richiuso. E se ci sarà una prossima volta è certo che non sarà più la prima.

 

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Un commento

  1. pino 11 gennaio 2017

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