Le persecuzioni e gli attori

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«L’aumento della copertura mediatica sulle violenze perpetrate in nome della religione… riflette la crescente consapevolezza di come la libertà religiosa sia stata per troppo tempo un “diritto orfano”. Grazie al lavoro di attivisti politici e organizzazioni non governative (ONG) è stato raggiunto un punto di non ritorno nel livello di consapevolezza dell’opinione pubblica riguardo ai crimini e all’oppressione motivati dalla religione» (Aiuto alla Chiesa che soffre, Rapporto sulla libertà religiosa 2016; d’ora in poi, Rapporto ACS).

La maggiore copertura dei media sulle persecuzioni è ancora lontana dall’aver segnato la coscienza civile. Anche la coscienza ecclesiale è ancora in deficit in merito. Le persecuzioni sono davvero tornate. Oltre alle indicazioni già fornite su questo sito (Perseguitati e martiri) è utile rifarsi al alcuni rapporti in merito: quello biennale della fondazione Chiesa che soffre del 2016, quello Open Doors (Indice mondiale delle persecuzioni ai cristiani 2016; d’ora in poi Indice 2016) e la pubblicazione della Conferenza episcopale tedesca sulla libertà religiosa nella penisola araba (Arabische Halbinsel, Arbeithilfen 290; d’ora in poi AH). I vescovi tedeschi hanno fornito analoghi strumenti per Siria, Iraq, Indonesia, Egitto, Pakistan, India e Cina.

Le persecuzioni sono davvero tornate

Fonte: Aiuto alla Chiesa che soffre

Sono 8-10.000 all’anno

Quante sono le vittime delle persecuzioni anticristiane nel 2016? Il rapporto Fides ne elenca 28, raccogliendo i casi più noti e ampiamente coperti dall’informazione interna ed esterna al mondo cattolico. Indice 2016 parla di 7.100 vittime fra i cristiani. Con una impressionante crescita rispetto agli anni scorsi (1.201 nel 2012, 2.123 nel 2013, 4.344 nel 2015). L’Istitute for Religious Fredom, diretto dal teologo tedesco T. Schirrmacher, indicava all’inizio del decennio la cifra affidabile di 8.000 vittime all’anno. Numeri comunque sottostimati perché non vi sono informazioni da interi paesi, come la Corea del Nord, e perché in altri, come l’India, le morti a causa della religione non vengono riprese dai media. Sottostimati perché ci sono situazioni di guerra (Siria, Centrafrica) in cui le minoranze cristiane sono le prime vittime di scontri religiosi, politici o etnici e di cui vi sono notizie solo incerte. In altri casi, quando i cristiani sono sottoposti a gravi discriminazioni a lungo termine (l’assenza di acqua o di medicine), la morte è solo ultimamente addebitabile allo stato di perseguitati. Per questo vi sono altri centri di studi come, il Center for Study of Global Christianity e il Cesnur, che azzardano la cifra di 90.000 vittime.

I risultati molti diversi si riferiscono a realtà diverse. Come ha detto M. Introvigne: «Chi conta le persone messe consapevolmente alla tragica scelta “o rinneghi la tua fede o muori” ne conta ogni anno alcune centinaia. Chi ha una nozione più larga: non “candidati alla beatificazione”, ma persone che mettevano in conto che potevano essere uccise compiendo certi gesti o pratiche di fede, parla di alcune migliaia. Se però si parla di persone che sono uccise in senso lato perché sono cristiane, allora arriviamo ai 90.000, cioè un morto ogni sei minuti».

Cambiano anche i concetti di persecuzione, discriminazione, vessazioni e, conseguentemente, la aree interessate ai fenomeni. A seconda dei criteri adottati, l’area di possibile persecuzione va da 100 a 500 milioni di persone.

In forte crescita

Il dato comune è la costatazione dell’impressionante crescita delle persecuzioni. «Diventa sempre più difficile in un numero crescente di paesi praticare la fede cristiana» (Indice 2016). Nei 196 paesi analizzati dal Rapporto ACS vi sono «indiscutibili prove di significative violazioni alla libertà religiosa» in 38 nazioni. Il «rispetto della libertà religiosa è chiaramente peggiorato in 14 paesi, mentre in 21 non è stato riscontrato alcun segno di cambiamento». «Tra i paesi di persecuzione, 11 (poco meno della metà) sono stati valutati come luoghi in cui il rispetto della libertà religiosa è nettamente in declino. In altri sette della stessa categoria – Afghanistan, Arabia Saudita, Corea del Nord, Nigeria settentrionale, Somalia e Siria – la situazione è descritta come invariata perché era impossibile che gli scenari già estremi peggiorassero ulteriormente». Per la penisola araba, contrariamente alle pessime notizie che giungono dal Medio Oriente, si registra una situazione molto differenziata. Mentre per l’Arabia Saudita al di fuori della tradizione islamica wahabita (sunnita) «non vi è alcuna libertà religiosa» (AH) e nello Yemen i cristiani sono praticamente scomparsi, nei vicini Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Oman si può parlare di libertà di culto, ma non di religione, per gli oltre tre milioni di cristiani presenti.

Il pericolo maggiore: il fondamentalismo islamico

La seconda nota riconosciuta da tutti è il peso del radicalismo islamico. «In 35 paesi sui 50 considerati dall’Indice 2016, l’estremismo islamico è il principale meccanismo di persecuzione, sia per i paesi del Medio Oriente, dell’Africa Sub-sahariana o dell’Asia Centrale e Sud-Est. L’influenza dell’estremismo islamico, in particolare di Daesh (stato islamico), ha come effetto una radicalizzazione delle società musulmane, anche nel Kurdistan iracheno, precario rifugio per 120.000 rifugiati cristiani. La conseguenza è un crescente rigetto di ogni presenza cristiana, non solo da parte degli jihadisti, ma della società nel suo insieme che si è avvicinata alla visione fondamentalista dell’islam. La paura della crescita dell’estremismo islamico conduce alcuni stati a prendere misure restrittive generali su ogni forma di espressione religiosa al di là delle sole manifestazioni radicali. I cristiani ne diventano così vittime. È il caso dell’Uzbekistan o di Myanmar» (Indice 2016).

Secondo il Rapporto ACS, delle 11 nazioni in cui si verificano i peggiori esempi di persecuzione, 9 sono sotto pressione da parte di gruppi islamisti (Bangladesh, Indonesia, Kenia, Libia, Nigeria, Pakistan, Sudan, Tanzania e Yemen), mentre in altri 11 paesi, dove la persecuzione è a livelli comunque consistenti, 7 affrontano problemi relativamente al radicalismo islamico.

Il Rapporto ACS parla di un iper-estremismo religioso, «una cultura di morte con intento genocidario. Questo nuovo fenomeno dell’iper-estremismo è caratterizzato da metodi radicali tramite i quali cerca di perseguire i propri obiettivi che vanno ben oltre gli attacchi suicidi e includono omicidi di massa, orribili forme di esecuzione, stupri e atroci torture quali crocifissioni, ardere persone vive e gettare le vittime da alti edifici. Un tratto distintivo dell’iper-estremismo è l’evidente glorificazione della brutalità inflitta alla vittime, messa in mostra attraverso i social network». «Un obiettivo chiave dell’iper-estremismo islamico è quello di arrivare alla completa eliminazione delle comunità religiose dalle loro antiche terre di appartenenza, attraverso un processo di esodo di massa forzato».

No alla coesistenza

Tutto ciò costituisce un terzo elemento caratterizzante: il rifiuto di coesistere con i cristiani. «In Medio Oriente e in Africa, l’intento di sterminare la Chiesa in certi territori è senza precedenti: In Nigeria (Nord, Nord-Est e cintura centrale), in Siria, in Iraq, in Sudan (monti Nuba), in Somalia, in Kenia (Nord-Est) la persecuzione ha per fine di cancellare i cristiani dalle loro terre ancestrali» (Indice 2016). Mai in precedenza si sono viste migrazioni simili. Intere città sono svuotate di ogni presenza cristiana. «Un rifiuto di vivere insieme caratterizzato da persecuzioni invisibili: una sorta di morsa che persegue l’annientamento delle comunità cristiane attraverso discriminazioni e soprusi di lunga durata. I 10 paesi che vedono le persecuzioni maggiori sono: Somalia, Corea del Nord, Eritrea, Afghanistan, Maldive, Iraq, Iran, Arabia Saudita, Yemen e Siria» (Indice 2016).

Lo Stato e gli altri

Il quarto elemento è la persecuzione di Stato. «Certi stati strumentalizzano la religione per ragioni nazionaliste. Nel caso della Corea del Nord si può parlare di una religione atea. In India l’induismo è utilizzato per cementare la nazione, a danno delle altre religioni» (Indice 2016). Il caso cinese ha proprie particolarità. È in atto un giro di vita sulle religioni (in particolare buddhismo tibetano e islam) che tocca anche il cristianesimo, nei cui confronti si manifestano tendenze ambivalenti e talora contraddittorie. Quello che ha colpito nel 2016 è la continuità di una campagna contro gli edifici. Delle 2.406 chiese distrutte a livello mondiale, ben 1.500 sono in Cina. Una chiesa distrutta (spesso non ricostruibile) è una testimonianza della vulnerabilità dei cristiani e dell’impunità dei persecutori.

Oltre ai quattro dinamismi persecutori sottolineati, rimangono attivi altri che, negli anni precedenti, erano già stati segnalati. Fra questi la corruzione che svuota la legalità e si contrappone a quanti difendono il diritto, la piegatura antidemocratica della «primavera araba», i processi di islamizzazione nell’Africa sub-sahariana, i regimi politici totalitari, l’assenza del potere dello stato.

I processi di persecuzione poggiano su tre motori.

Il primo è il tribalismo esclusivo, in cui gli «altri», cioè le minoranze, sono escluse. In questo ambito, oltre all’estremismo islamico, si può collocare il nazionalismo religioso, le rivalità etniche e quando una denominazione cristiana maggioritaria si impone come unica espressione cristiana di un paese.

Il secondo motore è il laicismo estremo, per esempio, della tradizione comunista o del laicismo intollerante.

Il terzo motore sono i poteri abusivi. Qui si allude al totalitarismo e all’autoritarismo, ma anche alla corruzione, alla criminalità organizzata che occupa i territori a scapito dello stato e alla violenza anarchica frutto dell’assenza di un potere amministrativo e centrale. Sempre più spesso non sono i governi che guidano le persecuzioni, ma attori non statali. Già oggi 12 dei 23 paesi in cui si dà persecuzione i protagonisti della stessa sono gruppi fondamentalisti, etnici o religiosi. I dirigenti dei gruppi radicali, il clero, i movimenti fanatici, le folle, la famiglia clanica, alcuni partiti politici, alcuni gruppi rivoluzionari, le reti del crimine organizzato, le società segrete sono fra gli attori più pericolosi per le minoranze religiose e cristiane in particolare.

Le minoranze oppresse

Anche se i cristiani sono il gruppo religioso più preso di mira, le persecuzioni riguardano molti altri. Una dura contrapposizione viene alimentata fra sciiti e sunniti, tutti appartenenti all’islam; laddove i primi sono maggioranza, si opprimono i secondi e viceversa. Gli yazidi dell’Iraq del Nord, i musulmani rohingya in Birmania e il risorgente antisemitismo in molti paesi del mondo sono esempi.

Fra i casi più gravi si possono citare: Corea del Nord (300.000 cristiani di cui 40-60.000 in campi di concentramento), Eritrea, Pakistan, Nigeria, Sri Lanka, Mauritania, Iraq, Siria, Somalia, Libia, Kenia, Colombia ecc. Nella penisola araba le situazioni più critiche sono quelle dell’Arabia Saudita e dello Yemen. Mentre in altri stati come gli Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Oman vi è uno spazio di libertà di culto (ma non di religione), l’Arabia Saudita non permette nessuna fede al di fuori dell’islam sunnita (wahabita); non è possibile costruire chiese, celebrare, possedere Bibbie o altri libri religiosi. Impossibile ogni conversione dall’islam.

Annunci di riforme politiche potrebbero aprire alcuni spazi, ma l’irrigidimento dovuto alla contrapposizione con gli sciiti in Siria e nelle aree a sud del paese si ripercuotono immediatamente sui cristiani. La situazione dello Yemen è diventata drammatica dalla guerra del 2015. Molti delle poche migliaia di cristiani sono fuggiti, altri sono stati uccisi. Ai giovani è impedito sposare una cristiana e, se sposano un’islamica, sono obbligati a convertirsi. Il 4 marzo 2016 sono state massacrate 4 missionarie di Madre Teresa e 12 loro collaboratori, mentre un padre salesiano è stato sequestrato. Da allora sono scomparse le suore e non c’è più alcun prete. Come ha fatto notare mons. P. Hinder, si può parlare di libertà di culto in alcuni stati, ma non di libertà di religione. «Una libertà di religione in senso pieno non esiste, se non su binari predefiniti» (AH).

Le vitali e dinamiche comunità cristiane, in prevalenza provenienti dall’Asia del Sud, sono tali per la generosità dei laici e dei circa 120 preti presenti nell’intera area. Se l’Occidente vuole sviluppare un utile protagonismo, non deve cedere ai populismi, sostenere i momenti di incontro e le istanze riformiste (come quelle espresse dalla Dichiarazione di Marrakech) e non rifugiarsi in un laicismo intransigente.

In Israele (a sua volta oggetto di antisemitismo crescente) i vescovi locali hanno presentato formale denuncia contro il rabbino Benzi Gopstein per aver dichiarato che «non vi è posto per il Natale in Terra Santa», esortando a distruggere le chiese al grido di «cacciamo questi vampiri prima che bevano nuovamente il nostro sangue».

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