Madrid-Barcellona: tragicommedia?

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Alla Catalogna si è rivolto su Vida Nueva di fine ottobre il card. Fernando Sebastian, già segretario della Conferenza episcopale spagnola, arcivescovo emerito di Pamplona, molto vicino a papa Francesco, invitando i responsabili politici a invertire la rotta, ma le sue parole sono tuttora oggetto di disapprovazione se non di scherno anche negli ambienti ecclesiali.

Il suo ragionare è semplice: territorio, periodo romano, cristianesimo, riconquista cristiana, unificazione politica, difesa contro le ambizioni napoleoniche, lotta contro le rivoluzioni e domini marxisti sono comuni sia a Madrid sia a Barcellona. «Venire ora a parlarci del diritto all’autodeterminazione è vivere in un altro mondo», osserva il cardinale.

Fernando Sebastian

Intolleranze contrapposte

Critico nei confronti degli indipendentisti è anche il noto teologo José Ignacio Gonzalez Faus, che incontro al Centro Cristianisme I Justicia dei gesuiti della capitale catalana, professore emerito della facoltà di teologia della Catalogna, membro dell’area teologica del Centro, autore di numerosi libri. Non è che Gonzalez Faus sia meno duro nei confronti di Mariano Rajoy e del suo partito, il Partito Popolare, che ritiene corrotto e incapace di governare la Spagna.

Gonzalez Faus è esplicito: «Vi sono amori che uccidono. Molti indipendentisti hanno dato buon esempio di questo. Pretendendo di amare la Catalogna, hanno amato in realtà se stessi o la loro idea particolare di Catalogna; ma non la Catalogna reale. Se mi è concesso di dirlo in maniera brutale ma molto icastica, abbiamo visto alcuni governanti non semplicemente ingannare (lo fanno disgraziatamente tutti i politici), ma masturbando il loro popolo». Giudizio severo da parte di una firma nota e assai ascoltata de La Vanguardia.

Continua ancora Gonzalez Faus, attaccando il Partito Popolare catalano e Ciudadanos (centro liberale): «L’intolleranza radicale e dogmatica che hanno fatto vedere in tutta questa tragicommedia, rifiutandosi anche di accettare la soluzione di un referendum già pattuito, è un’altra forma di amare se stessi dicendo di amare il proprio paese. Per questo, gli uni e gli altri, devono imparare che questa terra che dicono di amare ha esattamente l’altra metà della sua popolazione le cui posizioni distano anni luce dalle proprie. Entrambi, indipendentisti e unionisti, hanno pieno diritto di pensare come pensano. In questo contesto, amare veramente la Catalogna significa per un indipendentista amare anche quelli di Ciudadanos; e per un ciudadano significa amare anche gli indipendentisti».

Ma non è una partita di calcio

I mass media sono scesi in campo con prepotenza, anche se ci sarebbe bisogno – molti lo ritengono un’esigenza – di un periodo di riflessione, bandendo risvolti emotivi. Non ci sono vistose bandiere, la gente sembra apparentemente non interessarsi molto delle contrapposizioni in atto, godendosi il clima quasi primaverile della bellissima e storica capitale Barcellona.

Di fatto, però, soprattutto a motivo della detenzione dei due massimi dirigenti del movimento indipendentista, accusati di «sedizione», il clima si è inasprito. Molte le conferme da parte di esponenti della Chiesa, che raccolgo a Barcellona e dintorni. Persino il Centro dei gesuiti naviga nell’incertezza, ma nel contempo, «quello che potrebbe succedere qui – dice Gonzalez Faus – è facile da immaginare. Le elezioni del 21 dicembre penso che non porteranno nulla di nuovo, benché possano normalizzare alcuni processi; ma non elimineranno gli odi né metteranno la fraternità e il dialogo al sopra di tutto».

La parola dialogo è sulla bocca non solo degli uomini di Chiesa e dei vari movimenti ecclesiali, ma appare non accolta, tanto che le due parti contrapposte vengono paragonate alle squadre di calcio del Barça e del Real Madrid.

Pare strano, ma è drammaticamente vero e tragico, che si stia creando sia in Spagna che in Catalogna un tipo di relazioni, dove quasi tutti tirano fuori il “peggio” dell’altro. Pare che in quest’ultimo periodo le stesse abbazie storiche della Catalogna, Montserrat e Poblet, si siano accostate ai movimenti indipendentisti, ai quali danno un forte appoggio sia l’arcivescovo di Tarragona, Jaime Pujol Balcells, della prelatura dell’Opus Dei, sia il vescovo di Solsona, Xavier Novell Gomà, un conservatore incallito, un separatista pasionario.

Equilibrato, invece, l’arcivescovo di Barcellona, il card. Juan José Omella Omella, in stretto contatto con la Segreteria di stato vaticana, che segue con preoccupazione gli eventi.

Danni collaterali

I «danni collaterali», provocati dalla contrapposizione in atto, sono enormi, osservano al Centro dei gesuiti. «Per ricostruire la convivenza tra famiglie, gruppi e amicizie rotte dalla questione indipendentista, ci vorrà molto tempo».

Oltre al fatto che i salari sono scesi del 6%, vi è il dramma dei bambini immigrati che dormono nei sottopassaggi del centro, cui si aggiungono i drammi familiari, dimenticati a causa della zuffa indipendentista.

L’assurdo è palpabile: mentre la popolazione si prendeva a botte, i politici fingevano di azzuffarsi, sapendo di fare cosa utile per prendere voti: Rajoy li ha procurati agli indipendentisti e questi a Rajoy. Vengono ricordate le parole di Josep Tarradellas (1899-1988), un politico della sinistra repubblicana di Catalogna: «In politica si può far di tutto, meno il ridicolo». È esattamente quello che stanno facendo molti ridicolizzando la Catalogna, perché amano più se stessi che la propria terra.

Il pericolo della destabilizzazione

È preoccupante quanto viene detto dai mass media, che un vecchio gesuita di lungo corso mi conferma: sulla Catalogna vi sarebbero le mire di potenze straniere sia finanziarie sia politiche con l’intento di minare alla base l’Unione Europea.

Gli analisti più attenti sembrano non avere dubbi: se la situazione si aggravasse, magari facendo dei morti, il conflitto Madrid-Barcellona avrebbe notevoli e gravi ripercussioni in tutta l’Unione Europea. Non è detto che non si possa arrivare allo scontro aperto. Il pericolo della destabilizzazione è in agguato.

C’è chi sostiene che la manovra sia nei piani della Nuova Destra, che sta investendo non pochi paesi dell’Unione Europea. «La posta in gioco più grave di questa crisi ci sembra la legittimità di una strategia rivoluzionaria come modus operandi nella lotta per il potere nell’Unione Europa del XXI secolo» (Barbara Loyer, Limes, 10/ 2017).

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