Migranti: fine dell’era Salvini

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nuvo decreto

Dopo quasi due anni di mediazioni dall’incerto esito sui cosiddetti “decreti sicurezza” – fortemente voluti dall’allora ministro Matteo Salvini e avallati dal governo Conte I – qualcosa è accaduto: il Consiglio dei Ministri, nell’adunanza del 5 ottobre 2020, ha approvato lo schema di decreto-legge in cui vengono trattate disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare: con ciò appare un barlume di sole tra le nubi  a lungo dispiegate nel cielo dei diritti umani.

L’attuale compagine governativa – benché segnata da forti contraddizioni interne – intende restituire visibilità a qualche decina di miglia di persone costrette a rimanere nelle ombre delle nostre comunità per non incorrere in provvedimenti di espulsione non determinati da reati, bensì dalla sola ragione di esistere. Il nuovo decreto-legge consentirà infatti di evitare – anche se non mi è chiaro come sarà possibile rimediare al pregresso – nuove cadute nella clandestinità e nell’abbandono dei migranti già richiedenti asilo in Italia.

Visibilità e protezione umanitaria

Il portato più significativo è costituito, a mio avviso, dalla sostanziale restituzione della “protezione umanitaria o sociale”, la cui cancellazione, per ragioni di supposta sicurezza, non ha prodotto altro che l’incrementato del numero dei diseredati, facilmente sottoposti ai ricatti del malaffare.

Rilevante risulta la modifica dell’articolo 6, comma 1 del Testo Unico Immigrazione, in materia di conversione dei permessi di soggiorno: questo prevedeva l’esclusiva convertibilità in motivi di lavoro dei permessi per studio e solo per quote decise di volta in volta dal governo; in virtù dell’atto legislativo, d’ora in poi, diverse tipologie di soggiorno, fortemente caratterizzate da limiti temporali, potranno trasformarsi in permessi collegati alla regolarità di lavoro. Nella fattispecie potranno rientrare i permessi rilasciati per protezione speciale – in considerazione di calamità avvenute nel paese di origine – per acquisizione di cittadinanza, residenza elettiva, per motivi religiosi, per motivi sportivi, per lavoro artistico e per assistenza dei figli minori ad effetto degli interventi dei tribunali.

Queste novità consentiranno il riscatto di molte persone le cui potenzialità sono state azzerate dal divieto di esercitare qualsiasi attività lavorativa, ovvero dal divieto di sviluppare attività lavorative diverse da quelle originariamente concesse.

Famiglia: un diritto

Altra rilevante innovazione è data dall’opportunità di trasformare in permesso di lavoro ciò che era concesso per mera vicinanza ai figli minori: questa consentirà finalmente l’esercizio della piena genitorialità a padri e madri sinora impossibilitati a lavorare, quindi a guadagnare, dalla condizione di irregolarità.

Colpisce che il decreto ribadisca in più punti il diritto al rispetto della vita privata e familiare. La sottolineatura apre ampi spazi ai percorsi di tutela del diritto di vivere in una famiglia: diritto proclamato quanto negato proprio da chi afferma di voler difendere la famiglia.

Non mancano le zone d’ombra, specie negli articoli dedicati alla protezione internazionale. Da alcuni passi trasuda la volontà di accelerare – per le vie brevi – le procedure di valutazione delle istanze di asilo internazionale. L’art.2 comma 2, prevede che il Questore di riferimento trasmetta la documentazione dei richiedenti asilo intercettati alle frontiere nazionali alla Commissione competente per territorio. Questa in 7 giorni dovrebbe essere in grado di procedere all’audizione dell’interessato, per poi, entro i 2 giorni successivi, arrivare alla valutazione: 9 giorni in totale per decidere della sorte di una persona e perciò della sua famiglia!

Sulla scorta dei rilievi dapprima espressi dal Presidente della Repubblica e quindi dalla Corte costituzionale, il decreto ristabilisce il diritto dei richiedenti asilo di ottenere l’iscrizione anagrafica e la carta di identità, documenti indispensabili al riconoscimento e all’erogazione di ogni tipo di assistenza nel territorio di permanenza.

La dignità dei migranti

Nel verso della dignità si pone il dimezzamento del numero di giorni di trattenimento delle persone di cui lo stato italiano stabilisce l’allontanamento dal territorio. Positiva è pure l’introduzione della figura di un garante a cui possano ricorrere le persone trattenute nei Centri di espulsione. La facoltà di rivolgersi ad un garante – come avviene per i detenuti – mostra tuttavia come queste forme di trattenimento rivestano sembianze, non marginali, di privazione della libertà individuale.

È bene sapere che i Centri di espulsione funzionano da parcheggio, spesso senza sbocco, a motivo della strutturale inefficienza degli accordi internazionali di riammissione nei paesi di origine. Molti migranti vengono perciò indebitamente trattenuti senza aver commesso alcun reato, semplicemente perché ritenuti non necessitanti protezione internazionale. Trattenere queste persone in uno stato di fatto di detenzione nell’attesa di un eventuale rimpatrio, significa continuare ad ignorare le effettive ragioni di gravi necessità che li hanno indotti ad intraprendere il loro periglioso percorso migratorio.

Faccio ancora qualche altra puntualizzazione.

Rispetto ai “decreti Salvini” viene abbandonata la logica punitiva nei confronti delle ONG attive in mare: commento scrivendo che è stato semplicemente cancellato il “reato di umanità”.

Le procedure in materia di asilo prevedono ora la prestazione di un primo periodo di assistenza nei Centri allestiti dal Governo, ossia negli attuali hotspot, eventualmente aumentati di capienza. Mentre l’accoglienza dovrà essere garantita da strutture del S.A.I., un Sistema di Accoglienza e Integrazione in capo agli enti locali.

I servizi erogati dal SAI ai richiedenti asilo saranno declinati a due livelli: il primo prevede l’accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, l’insegnamento della lingua italiana e l’orientamento legale; il secondo livello è finalizzato alla piena integrazione per effetto di attività di orientamento lavorativo e di formazione professionale. I servizi di primo livello saranno per tutti i richiedenti protezione internazionale, mentre quelli di secondo livello saranno riservati a coloro che avranno conseguito i titoli di protezione. Con ciò si è probabilmente inteso tracciare una netta distinzione, sollecitata dalla Corte dei conti, al fine di evitare esborsi per la formazione di persone che non potranno permanere in Italia.

Formazione e lavoro

La preoccupazione economica è comprensibile, ma tale indirizzo andrà a penalizzare anche chi verrà effettivamente riconosciuto nel proprio diritto – ma dopo mesi e mesi di attesa –, ritardando quindi la capacità di raggiungere l’autonomia socioeconomica da parte di persone in grado, se adeguatamente e tempestivamente formate, di rispondere alle serie esigenze lavorative del nostro paese. Molti cooperanti italiani si recano in Africa o in Asia per promuovere strutture educative e di apprendimento professionale. Non è razionale negare questa possibilità a chi già si trovi nel territorio. La competenza professionale acquisita potrebbe peraltro essere spesa ovunque in Europa o nel mondo.

Se il nuovo decreto rappresenta dunque, sicuramente, un passo in avanti rispetto ai passi indietro compiuti coi precedenti decreti, non posso che ribadire l’esigenza ormai improcrastinabile di una completa riorganizzazione della normativa inerente all’immigrazione e all’asilo nel nostro paese.

Immigrazione: il molto da fare

Il Testo Unico Immigrazione in 22 anni ha subìto solo pezze e rattoppi. L’intera materia va rivista ora con realismo e con coraggio da parte di una politica finalmente liberata dall’ossessione di regolare ingressi e allontanamenti col piglio della guardia.

Vorrei pensare che il decreto indichi un’inversione di tendenza nel verso di un nuovo approccio e di una nuova cultura collettiva e politica in Italia su tutta la materia migratoria. Nel mentre purtroppo colgo con dolore il concomitante segnale della morte del quindicenne ivoriano Abou – trattenuto su una “nave quarantena” italiana ferma in mare piuttosto che curato in un ospedale di terraferma – che sembra confermare la linea della paura, per non dire della cattiveria, oltre che dell’insensatezza, che ha espresso i precedenti “decreti sicurezza”.

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