Nicaragua: quando il liberatore diventa oppressore

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Al suo apice negli anni ‘80 del XX secolo, il movimento di solidarietà internazionale per il Nicaragua aveva migliaia di sostenitori, inclusi molti australiani. La nazione del Centro-America stava subendo tutta una serie di gravi oppressioni per mano del dittatore Anastasio Somoza. La speranza per la pace, giustizia e democrazia erano incarnate dai Sandinisti, il movimento socialista di rivolta di cui era leader l’attuale presidente del paese, Daniel Ortega.

Il movimento si opponeva al regime di Somoza, prima della sua caduta nel 1979, e dopo di questa ai cosiddetti «contras» – un gruppo armato di insurrezione addestrato dalla CIA con lo scopo esplicito di destabilizzare il nuovo governo sandinista. In quegli anni, la lotta del popolo nicaraguegno per la libertà inspirò i membri del movimento di solidarietà a recarsi in Nicaragua per provvedere aiuti, raccogliere fondi destinati alla ricostruzione del paese su uno sfondo di pace e socialismo. Ma vi si recarono anche per fare pressione sui propri governi affinché questi agissero a sostegno degli interessi del Nicaragua.

La violenza del potere governativo

Facciamo rapidamente un salto in avanti di trent’anni e il movimento nicaraguegno di rivolta chiede ancora solidarietà internazionale, mentre i suoi membri si trovano esposti a misure di repressione da parte dei loro leader politici nazionali. Ma questa volta Daniel Ortega sta dalla parte del governo. Egli viene ritenuto responsabile per la repressione di proteste pubbliche pacifiche e si rifiuta di concedere nuove elezioni democratiche.

Nel corso delle recenti proteste contro il governo Ortega si stima che tra 250 e 300 persone siano state uccise dalla polizia o da gruppi paramilitari. Vi sono informazioni credibili sul fatto che forze paramilitari, appoggiate dall’amministrazione Ortega, abbiano dato la caccia e ucciso cittadini ritenuti essere sostenitori dei movimenti di opposizione. (…)

A una manifestazione di protesta contro Ortega, svoltasi la scorsa settimana a Città del Messico, ho incontrato Lisaura – una giovane donna nicaraguense la cui famiglia vive ancora nel suo paese di origine. «Gente indifesa viene attaccata con armi di grosso calibro e il governamento ha il cinismo di dire che non sono responsabili» – ha affermato Lisaura, con un volto preoccupato per i suoi famigliari.

Quale solidarietà internazionale?

Ci possiamo chiedere, quindi, che cosa debba essere oggi la solidarietà col Nicaragua? «La comunità internazionale può solo aiutare con un problema che deve essere risolto dai nicaraguegni» – così si è espresso Juan Sebastian Chamorro, direttore della Fondazione nicaraguegna per lo sviluppo economico e sociale, e membro dell’Alleanza civica del Nicaragua per la giustizia e la democrazia.

Secondo Chamorro i nicaraguegni continueranno nelle loro proteste e nel mettere sotto pressione il governo «per raggiungere finalmente una soluzione pacifica e democratica». L’Alleanza sta facendo pressioni affinché Ortega rassegni le dimissioni per evitare ulteriori violenze.

Lisaura e Chomorro ci dicono qualcosa su come dovrebbe essere la solidarietà internazionale con il loro paese nel 2018, in un’epoca che è in molti modi profondamente diversa da quella del 1979. La forma della solidarietà internazionale con movimenti come quello nicaraguegno è stata trasformata dalle vicissitudini dell’ordine politico regionale e internazionale, dalla crescita dei mezzi di comunicazione sociale e dall’analisi del senno di poi.

La Chiesa cattolica sta mediando la violenza governativa e supportando la cittadinanza attraverso vie che non percorse nel Nicaragua degli anni ’70 e’80 (come in Guatemala, El Salvador, Sud Africa, Filippine, Timor-Est, e altrove); ma la sua autorità morale si dibatte con le rivelazioni in corso di abuso sessuale globale e sistematica dei bambini nelle comunità della Chiesa cattolica.

Anche l’internazionalismo socialista si è trovato di fronte all’emergere pubblico di violenze di genere e patisce una marcata riduzione della sua capacità di sfidare il potere statale o di farsene carico. In tal modo, le strutture per l’analisi e la mobilitazione sono sostanzialmente scomparse. Gli attivisti che oggi potrebbero unirsi all’opposizione popolare in Nicaragua dovranno essere consapevoli delle critiche vigorose mosse ai movimenti di solidarietà: il feticismo dei movimenti popolari dell’«America Latina rivoluzionaria» che caratterizza molti idealisti nella sfera anglofona, da un lato, e, dall’altro, i molti fallimenti passati nel tenere conto di interessi molteplici, complessità storica, e complicità bianco-anglofona nelle cosiddette battaglie del «terzo mondo» che invocano solidarietà.

Il popolo ai margini e il suo diritto

Con in mano un angolo della bandiera che stava tenendo con un’amica, un’altra giovane nicaraguense preoccupata per la famiglia rimasta a casa, Lisaura mi ha detto con pressante urgenza: «I nicaraguegni hanno il diritto democratico di protestare pacificamente; il popolo nicaraguegno ha protestato in pace e il governo gli spara addosso. Abbiamo bisogno di tutto il supporto internazionale possibile per mettere pressione al governo e portarlo alle dimissioni, così che il Nicaragua possa tornare a essere libero».

Gabriel Perez Setright, in un contributo per la rivista online Remezcla, ha detto «di aver lasciato il Nicaragua circa un mese fa, penando di tornarvi verso metà luglio. Ma ora non so quando e sotto quali condizioni farò ritorno al mio paese». Gabriel nota come sia troppo pericoloso tornare a vivere nel suo quartiere largamente a favore del governo Ortega, e promette di combattere per un Nicaragua libero dal «temporario esilio» a Los Angeles.

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Egli illustra il sogno di molti giovani che fanno parte del movimento di opposizione: «Per noi le proteste sono state la nostra migliore occasione per esporre e confrontare un governo corrotto, neoliberale e autoritario, che ha concentrato potere e ricchezza a favore di una piccola élite a spese di una marginalizzazione sistemica delle donne dei territori rurali, delle comunità indigene e degli studenti provenienti da famiglie di lavoratori». (…)

Altre manifestazioni #SOSNicaragua sono programmate in diverse città del mondo, con giovani nicaraguegni che parleranno a tutti attraverso social e mobile media, e con apparizioni delle alleanze civiche nei telegiornali serali. Essi stanno ridisegnando i contorni della solidarietà internazionale, in un modo che dobbiamo sperare potrà aiutare a portare una pace più durevole per il popolo nicaraguense.

Ann Deslandes è giornalista freelance, vive e lavora a Città del Messico (versione originale inglese qui).

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