Perché tornare alla Costituzione

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Cattolici e costituzione

Nella vicenda del referendum costituzionale non sembra che i cattolici abbiano svolto un ruolo di qualche rilievo. Come è sempre accaduto in tutte le prove “binarie”, da quella sul divorzio in poi, il loro voto si è distribuito tra il “sì” e il “no” in proporzioni che, presumibilmente, corrispondono a quelle totalizzate da ciascuna delle posizioni in lizza.

Né le loro voci si sono fatte sentire fino a caratterizzarsi in una maniera che fosse, se non originale, almeno distinguibile nella colonna sonora dei rumori e dei clamori della battaglia. Anche gli atteggiamenti più enfaticamente collegati con motivazioni confessionali, come quelle del family day di Gandolfini e Adinolfi, portavano acqua al mulino della politicizzazione dello scontro, nel senso di concorrere alla defenestrazione del… traditore Renzi.

Ma c’era, poteva esserci, nella circostanza, un compito, una mission particolare per i cattolici italiani, tale da animarne una qualche presenza, una traccia, qualificante e in qualche modo unificante, oltre le scontate lacerazioni della contesa? Qualcosa da non bruciare nella fornace della polemica e da preservare per un “dopo” che comunque sarebbe arrivato?

Un’occasione perduta

Nel mio itinerario di avvicinamento alla scadenza del voto avevo tentato di suggerire a soggetti che ritenevo interessati una linea che aiutasse le parti in contesa a convergere su un punto essenziale: il primato dei principi e dei valori della Costituzione sulle forme di organizzazione e di funzionamento delle istituzioni, cioè sul “regolamento del condominio”, come più volte mi è accaduto di classificare l’oggetto del referendum.

Immaginavo, o sognavo, che tale richiamo di alto significato etico-politico avrebbe spinto a ricordare che le riforme proposte dovevano servire non ad inserirsi in un generico “costituzionalismo” ma ad applicare meglio la nostra specifica Costituzione, quella varata nel 1948 dopo gli anni della dittatura fascista.

L’idea era di realizzare, sul campo, una lezione di pedagogia democratica tale da rimettere il “perché” della riforma prima dei tanti “come” in cui essa era declinata. Entrambe le opzioni in lizza avrebbero potuto giovarsene accrescendo la propria capacità persuasiva. Quelli del “sì” per sostenere che avrebbero realizzato più speditamente gli interventi necessari per attuare una delle parti neglette della Carta; e quelli del “no” per dimostrare che lo avrebbero fatto egualmente senza bisogno di cambiare le regole in vigore.

Orgoglio dissipato

Se si eccettuano un accenno delle Acli e, fuori area cattolica, una autonoma suggestione di Fabrizio Barca, la proposta è caduta nel vuoto; ed oggi ci si rende conto di aver consumato una straordinaria quantità di energia per decidere di partire o di restare ma senza sapere dove andare.

Ecco: io penso che su una situazione di questo genere non dico i cattolici, intesi come corpo sociale più o meno organizzato, ma le coscienze cristiane debbano e possano trovare materia di riflessione e di confronto non tanto per l’episodio ormai concluso ma per gli impegni del futuro.

Qui viene al pettine il nodo storico, culturale e politico, del rapporto tra pensiero cattolico e Costituzione della Repubblica. Progressivamente, con il trascorrere del tempo e con il sedimentarsi delle scorie politiche della prima e della seconda repubblica, si è scolorito l’orgoglio con cui, originariamente, si vantava una consistenza “cattolica” della Carta, rivendicando la paternità di alcune delle sue proposizioni più incisive e impegnative.

La repubblica «fondata sul lavoro» (art. 1) come “invenzione” di Fanfani, la dottrina delle «formazioni sociali» (art. 2) luoghi di crescita della persona, come attribuzione di Dossetti, il principio della pari dignità e del contrasto alla disuguaglianza (art. 3) come mediazione di Moro, la «funzione sociale» della proprietà (art. 42) come lascito di Taviani.

Non era un semplice travaso di dottrina sociale cristiana e di Codice di Camaldoli nelle formule della Carta fondamentale della repubblica, ma un’elaborazione laica che aveva permesso la convergenza con le altre tendenze – socialisti, comunisti e liberali – e che non era un banale compromesso ma una compiuta sintesi politica.

Una prassi fuori rotta

Era stato proprio Moro a mettere in chiaro il significato dei principi fondamentali rispetto all’attività legislativa: «L’effetto giuridico (dei principi) è quello di vincolare il legislatore, di imporre al futuro legislatore di attenersi a questi criteri supremi che sono permanentemente validi», sottraendoli «all’effimero giuoco di alcune semplici maggioranze parlamentari».

Rileggere oggi una simile proposizione, riportata da Guido Formigoni nella sua penetrante biografia di Moro (Lo statista e il suo dramma, Il Mulino 2016) dà la misura degli scostamenti di rotta che si sono realizzati negli anni sotto la spinta degli eventi, delle contingenze politiche e anche di un certo indebolimento degli spiriti.

Grandi al riguardo le responsabilità dei politici cattolici che hanno tenuto a lungo il timone del governo. Ma anche nella società civile, nei corpi intermedi, nella scuola, la “popolarità” della Costituzione non è stata coltivata e alimentata.

Le “scorciatoie” della “seconda repubblica”.

Si pensi al progressivo annichilimento dell’educazione civica, spesso ridotta a massime di galateo. Si pensi alla disinvoltura con cui si è dato credito a figure culturali che suggerivano di cambiare dal lavoro al mercato il fondamento della repubblica. Si consideri, per restare in ambito cattolico, l’approccio alquanto selettivo e utilitaristico con cui si sono valorizzati gli articoli sulla famiglia e sulla scuola lasciandone in ombra altri, come quello sulla libertà religiosa.

Su un altro aspetto, in parte connesso con il referendum, conviene ora accendere un lume di attenzione: la propensione di una parte dei cattolici in politica, specie nella storica sinistra della DC, a presentare le riforme elettorali e istituzionali come risolutive dei problemi della politica e della società italiana.

Ricordo che, ai tempi in cui queste tendenze si manifestarono – erano quelli di tangentopoli –, mi accadde di rilevare che si trattava di «una scorciatoia» al pari della «via giudiziaria» alla quale molti si affidarono anche per esentare la politica dall’obbligo di fare vera autocritica in proprio.

Ora però, se tutto ciò che precede non è privo di relazione con la realtà, non vale sostare ulteriormente su quel che si sarebbe potuto fare e non si è fatto. Occorre invece domandarsi se, alla risoluzione della crisi che ci coinvolge tutti, non possa concorrere una qualche iniziativa di riabilitazione della Costituzione nei suoi principi e nei suoi valori.

Motivi di speranza

Mi sento di sostenerlo, anche sulla base di una piccola esperienza personale. All’indomani del referendum, in un incontro di giovani a Roma, si è parlato di “futuro della Costituzione” e lo si è fatto, in particolare, sul criterio della corrispondenza tra i diritti da affermare e i doveri da osservare come premessa della convivenza civile.

Prima del dibattito, quei giovani avevano compiuto un pellegrinaggio nei luoghi e tra le figure della testimonianza antifascista e della lotta per la riconquista della libertà.

Mi sono sempre chiesto perché in Italia lo studio del fascismo, delle sue «ragioni» e del suo «consenso» sia stato sempre declassato o rimosso, mentre solo la cognizione dei guasti della dittatura consente – è la mia esperienza – di comprendere pienamente il valore della democrazia e delle sue istituzioni.

Dall’incontro romano ho tratto la sensazione che, se si trova il messaggio giusto – mettendo in luce, ad esempio, la propensione totalitaria delle formazioni neopopuliste –, c’è il modo di “riorganizzare la speranza” anche in mezzo alle contraddizioni e agli sfasci che la situazione presenta.

La mia opinione è che, dall’area cattolica, intesa come giacimento di sensibilità e di culture refrattarie alla conservazione dell’esistente, possano venire ancora energie costruttive in grado di farsi carico, con le competenze adeguate, delle contraddizioni del tempo presente.

La Costituzione è la bussola da non smarrire. L’umanesimo (chi ricorda il convegno ecclesiale di Firenze?) è la dimensione da attivare, nella ricerca delle cose buone o riducibili al bene. Il primo nodo da tagliare è quello del lavoro, da considerare come priorità assoluta; con tutti gli aggiornamenti necessari, mai però fino a piegarlo a mera variabile delle convenienze del mercato.

La Costituzione può essere insomma lo strumento più idoneo per liberare il campo dai tanti luoghi comuni che ci assalgono da tutte le fonti d’informazione e di orientamento. Cominciamo a leggerla insieme. Per alcuni sarà alfabetizzazione e scoperta, per altri recupero e sostegno. Per tutti offerta della possibilità di non disperare.

Lasciarsi interrogare dalla Carta

La ricerca cattolica in Italia si è applicata, dall’unità in poi, sulle forme e sulle modalità operative con cui incidere in politica, tutte superate dal processo storico ma non cancellate dalla memoria. Due esempi. All’astensione modello non expedit si è fatto ricorso in occasione del referendum sulla procreazione assistita. Il Patto Gentiloni (legato al nome di un avo dell’attuale Presidente del Consiglio) è stato tacitamente riprodotto nella fase di convogliamento della «presenza cattolica» verso il «moderatismo» berlusconiano.

D’altra parte, il lungo sostegno al partito di ispirazione cristiana, dopo la dittatura fascista, si era logorato nell’aridità delle lotte di potere, mentre dopo il Concilio non s’è mai incoraggiato (eufemismo per dire il contrario) il manifestarsi di presenze plurime animate da una comune tensione spirituale ed etica.

Sono capitoli complessi da rivisitare criticamente, anche per far tesoro delle valenze positive che essi contengono. Ma non si trova un momento in cui tra i credenti si sia assunta in modo consapevole e sistematico la Costituzione come progetto di riforma anziché soltanto come libro su cui giurare.

Il luogo comune da sfatare è che la Costituzione sia vecchia e superata. Si provi a lasciarsi interrogare dalle sue proposizioni fondamentali, mentre non si riesce a rispondere alle questioni di un’attualità drammaticamente mutevole. Si troverà che un criterio di condotta esiste e vuole essere seguito, anche se è più esigente della semplice acquiescenza allo status quo. Che non sia un impulso alla mobilitazione della santa inquietudine del cristiano?

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