Politica: Il ruolo dei cattolici

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Ferve da alcuni mesi, ormai, il dibattito sul ruolo che i cattolici possono avere nell’attuale momento politico del nostro Paese. Non a caso ha avuto particolare solennità la celebrazione del centenario della fondazione del Partito popolare di don Luigi Sturzo, il 18 gennaio del 1919, dopo una lunga stagione che aveva visto la Chiesa estraniarsi dalla vita politica e concentrarsi, piuttosto sulle iniziative di solidarietà nell’ambito sociale.

Una situazione analoga a quella odierna, caratterizzata da una forte presenza dei credenti nel volontariato e, in generale, in tutto il terzo settore, a cui però non corrisponde una reale incidenza sul terreno politico.

Nella Prima Repubblica: una collocazione al “centro”

È così, del resto, dalla fine della Prima Repubblica, che aveva visto l’egemonia incontrastata della Democrazia cristiana, un partito capace di incarnare la tradizione cattolica nella prospettiva democratico-liberale, la cui collocazione al centro dell’arco parlamentare era stata alla base di un duraturo successo, facendola apparire al suo elettorato il «giusto mezzo» moderato fra i due «opposti estremismi» di desta e di sinistra.

Il nuovo bipolarismo inaugurato dalla Seconda Repubblica – reso possibile dalla metamorfosi sia della «destra» che della «sinistra», trasformatesi rispettivamente in «centro-destra» e «centro-sinistra» – ha avuto come conseguenza lo svuotamento di quel ruolo «centrista» e lo smistamento dei cattolici, come del resto di tutta l’area moderata, nell’uno o nell’altro polo, con una prevalenza di quello guidato da Berlusconi.

La «dissoluzione» dell’anima cattolica in politica

In questa diaspora, però, la presenza degli ex democristiani è diventata decorativa. L’anima del cattolicesimo, così come si era espressa, pur con limiti e contraddizioni, nel progetto democratico-liberale della DC, è stata soffocata o dallo spregiudicato neoliberismo economico berlusconiano, o, sull’altro fronte, da una nuova versione della sinistra che, abbandonando Marx al suo destino, si concentrava sulla rivendicazione dei diritti individuali, mettendo in secondo piano quella dei diritti sociali.

In entrambi i casi, la dottrina sociale della Chiesa, che era stata (con i limiti e le contraddizioni sopra segnalati) lo sfondo etico dell’impegno politico dei cattolici, veniva liquidata.

Si trattava ormai di scegliere fra una dichiarata difesa degli interessi privati – di cui il leader-imprenditore era il profeta – calpestando le esigenze della solidarietà e una linea culturale che contestava come anacronistici alcuni caposaldi della visione morale cristiana, come la sacralità della vita e la famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio.

Per la verità, non si può dire che questa alternativa, in sé drammatica, abbia fatto soffrire particolarmente i credenti.

Sia ai fautori della prima scelta che a quelli della seconda venivano in aiuto, per sopire ogni scrupolo della coscienza, da un lato la diffusa ignoranza dell’insegnamento della Chiesa in materia politico-sociale; dall’altro la convinzione, inculcata dai media, che ormai questo insegnamento era un residuo arcaico del passato e risultava irreversibilmente superato dalle leggi inesorabili dell’economia (per quanto riguarda il cinico liberismo del centro-destra) e dall’evoluzione della coscienza morale (per quanto riguarda il libertarismo etico del centro-sinistra).

La ribellione e la sfiducia del ceto medio

A mettere in crisi questo trend non è stata, perciò, una presa di coscienza dei cattolici, ma la ribellione – scomposta finché si vuole, ma comprensibilissima – di un ceto medio sempre più impoverito dalla politica del centro-destra e che non trovava alcuna risposta al suo disagio nelle battaglie libertarie, squisitamente borghesi ed elitarie, del centro-sinistra.

Ai membri di questo ceto – la grande maggioranza del Paese – la classe politica, con il suo seguito di cortigiani da essa foraggiati (tra questi gli intellettuali), è apparsa, a un certo punto, una casta autoreferenziale, che si serviva delle istituzioni della Repubblica per meglio perseguire i propri interessi.

Da qui il violento abbandono, da parte del populismo, del linguaggio e degli stili di comportamento che avevano caratterizzato il politically correct.

Da qui la diffidenza verso giornalisti ed «esperti». Da qui il disprezzo verso le istituzioni e la svalutazione dello stesso Parlamento, ritenuto ormai una mediazione inutile fra il «popolo» e i suoi leader al governo. È la storia di questi ultimi mesi.

Un nuovo ordine tra democrazia diretta e autoritarismo

A questo punto, però, è la stessa logica liberal-democratica che ha ispirato la nostra Costituzione a essere rimessa in discussione, come mai era accaduto finora.

Si rischia – ma ormai, alla luce dei fatti, sembra più che un rischio – di andare verso una forma di democrazia diretta il cui esito, in tutti gli esempi storici che abbiamo, è sempre stata la dittatura.

I leader investiti «direttamente» dal popolo, si chiamino «duce», «führer», «caudillo» o «capitano», rifiutano ogni limite perché diventano – almeno tali si presentano – l’incarnazione della «volontà popolare».

Peraltro, lo spettacolo offerto dal PD – intento a dirimere le sue controversie interne ed emblema perfetto dell’autoreferenzialità di cui parlavamo – esclude che esso possa essere un’alternativa politica e culturale.

In ogni caso, dunque, è saltato il bipolarismo della Seconda Repubblica.

La vecchia «sinistra» sembra messa all’angolo, la vecchia «destra» si barcamena fra opposizione e convergenza, mentre si profila un blocco impressionante la cui forza coagulante è il rifiuto della tradizione democratico-liberale.

I cattolici e la crisi politica odierna

A questo punto i cattolici vengono di nuovo tirati in ballo, perché di questa tradizione essi sono stati il principale baluardo e hanno contribuito, con socialisti e liberali, a condensarla nella nostra Costituzione.

Peraltro, anche dal punto di vista religioso, sia le politiche sui migranti del «governo del cambiamento», sia gli atteggiamenti sprezzanti della Lega nei confronti della Chiesa istituzionale, sembrano ormai aver superato, agli occhi delle gerarchie ecclesiastiche, la soglia di sopportabilità.

La ferma presa di posizione della Conferenza Episcopale Siciliana e di molti vescovi di varie diocesi italiane nei confronti del Decreto sicurezza evidenziano una opposizione sempre più marcata.

Certo, molti cattolici seguono i 5stelle e moltissimi la Lega.

Forse, però, Salvini ha fatto un passo falso nel rivendicare la guida del mondo cattolico anche sotto il profilo dell’interpretazione del vangelo, polemizzando con i «vescovoni» e presentandosi come alternativa ad essi.

Per quanto colpiti dagli argomenti della Lega, molti credenti non se la sentirebbero di staccarsi dalla Chiesa cattolica per aderire a quella del leader leghista.

Anche perché la loro matrice religiosa è spesso conservatrice e chi accusa il papa di essere troppo vicino al protestantesimo non può poi rifiutare il magistero dei vescovi per seguire il principio del «libero esame», che risale a Lutero.

I cattolici e una nuova opposizione

Lo scontro, dunque, sembra inevitabile. Il problema ormai è solo di sapere che forma debba assumere l’opposizione dei cattolici all’attuale maggioranza. Sembra escluso che possa dar luogo alla nascita di un partito «cattolico» o di «cattolici», come fu la Democrazia cristiana.

All’estremo opposto, il cardinale Bassetti, presidente della CEI, proponeva la creazione di un «Forum civico», che, senza alcuna pretesa di contrapporsi al governo – anche perché resterebbe sul piano pre-politico –, riunirebbe intorno a un tavolo cattolici e laici, per alimentare la prospettiva solidarista ed europeista, contro tutti i muri (ma già qui ci sarebbe uno scontro con i giallo-verdi).

Altri, in questi mesi, stanno lavorando alla nascita di un movimento specificamente politico – destinato a diventare in tempi brevi un vero e proprio partito –, che abbia a monte una ispirazione cristiana, ma sia aperto ai contributi di matrice liberale e socialista, per riunire le forze che diedero vita nel dopoguerra alla Costituzione.

Un progetto ambizioso, che ha contro di sé l’onda culturale del populismo e che perciò può avere qualche speranza di successo (almeno parziale) solo se, in contemporanea, si intensificano gli sforzi per un rinnovamento culturale.

Questa volta, però, i cattolici non sarebbero più la rassicurante forza moderata di centro, come ai tempi della DC, ma dovrebbero declinare sia la loro dimensione di fede sia la prospettiva democratico-liberale in senso radicalmente alternativo all’esistente, dando vita a una vera e propria «rivoluzione»…

Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo, scrittore ed editorialista. Il post è stato pubblicato nella sua rubrica «I chiaroscuri», ospitata sul sito www.tuttavia.eu, lo scorso 18 gennaio 2019.

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2 Commenti

  1. Luca delnegro 28 gennaio 2019
  2. Nicoletta Lozio 24 gennaio 2019

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