Quanto conta Conte?

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crisi di governo

Anche se, a rigore, la regola e la prassi costituzionale prescriverebbero di farlo nella sua sede propria che è il parlamento, è comunque apprezzabile che il premier Conte abbia sentito il dovere di rivolgersi agli italiani e di averlo annunciato con enfasi («dirò cose importanti»). Evidentemente nella consapevolezza che vi sia bisogno, eccome, di dare spiegazioni dopo un anno di governo, dopo un voto europeo che ha radicalmente cambiato i rapporti di forza tra i due partner di maggioranza e a valle di una campagna elettorale contrassegnata da un quotidiano, estenuante conflitto tra loro. Ancor prima del contenuto del discorso del premier, merita fissare il senso politico della sua conferenza stampa: una drammatizzazione, la consapevolezza che il governo così, cioè nel clima che si è instaurato da mesi, non possa andare avanti.

Già questo testimonia che nella sostanza, anche se non ancora formalizzata, la crisi politica del governo è già aperta. Di qui la palese contraddizione di un lungo intervento nel quale, dopo la enfatica rivendicazione dei risultai di un anno di governo, Conte ha sciorinato un ambiziosissimo, sterminato programma di legislatura. Nel mentre dichiarava di non poter escludere una chiusura traumatica domani. Un discorso onesto e volonteroso il suo, un richiamo alla coesione e alla responsabilità della sua maggioranza che tuttavia dubito possa essere raccolto e che temo non porrà fine alle fibrillazioni di un esecutivo, le cui contraddizioni sono genetiche e insanabili.

Avvocato del popolo o dei vice?

A cominciare da quella che riguarda appunto lui, Conte. Si legga l’art. 95 della Costituzione che fissa il profilo del Presidente del Consiglio: egli «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri». Possiamo credere davvero che Conte garantisca l’unità di indirizzo del governo (diviso un po’ su tutto) e che, di più, diriga la politica del governo? Già la formula retorica con la quale egli si definì al suo esordio, quella di «avvocato del popolo», a fatica dissimulava la realtà, quella di avvocato dei due vicepremier. Ora, dopo la sanzione elettorale del preciso rovesciamento dei rapporti di forza tra Lega e 5 stelle (che lo avevano indicato premier e dai quali oggi vuole marcare una distanza rappresentandosi come figura terza di garanzia), quel precario equilibrio non regge più.

Un terremoto che, secondo logica, travolge anche il calcolo delle convenienze di partito che potrebbero suggerire la sopravvivenza del governo: il terrore di elezioni ravvicinate da parte dei pentastellati e segnatamente di Di Maio (non ricandidabile, secondo statuto grillino); la resistenza di Salvini ad andare all’incasso senza la certezza di potere fare a meno di FI e comunque l’esitazione a porre fine a un corso politico che lo ha premiato alla grande. Dunque, mi pare difficile che i buoni auspici di Conte possano scalfire la durezza dei dati reali. Egli dice di rivolgersi «alla nazione», ma i destinatari effettivi stanno di fianco a lui, sono formalmente i suoi vice. Entrambi poco disponibili a dargli ascolto, ancorché per ragioni diverse.

Salvini perché, non da ora, ma ancor più dopo le europee, è deciso a imporre lui l’agenda del governo; Di Maio perché punito dagli elettori, sotto scacco e con alle spalle un movimento allo sbando e diviso. Del resto, nel suo discorso, su un paio di punti specifici, Conte è stato significativamente evasivo: il Tav (sul quale tempo fa si era esposto con un no) e l’eventuale rimpasto di governo, che non ha escluso, ma circa il quale ha osservato che non è materia sua. Come a dire che a deciderlo saranno i partiti. Come un po’ su tutte le questioni controverse. E comunque, a riprova dell’improbabile ascolto che è destinato a sortire il suo accorato discorso, sta la reazione a caldo del destinatario principale di esso, Matteo Salvini, il quale gli ha risposto mettendo in fila le sue irrinunciabili priorità e soprattutto sostenendo una linea di aperto scontro con la UE. L’opposto della linea negoziale enunciata da Conte.

Spese fuori controllo

A ben vedere, il voto europeo ha fatto solo esplodere contraddizioni che stanno all’origine di un governo bicefalo e stravagante. A cominciare dalla bizzarria del “contratto”, istituto privatistico inadatto a fare da base a un governo, che presuppone semmai visioni e idee-forza comuni o almeno compatibili. Un contratto che pretendeva di coniugare programmi la cui ispirazione confliggeva in radice.

Un contratto che dapprima si è limitato a giustapporre promesse elettorali dal sapore demagogico e poi ha condotto il governo a sommare in modo incrementale misure diverse (a cominciare dalle due costosissime misure-bandiera dei due partner, reddito di cittadinanza e quota cento), tutte rigorosamente in deficit. Incurante dei conti pubblici fuori controllo, dell’impennata degli interessi sul debito, dei vincoli europei.

Acuendo il nostro isolamento internazionale. Una dura realtà politica ed economica, una condizione critica pesante cui difficilmente può porre rimedio la leggerezza politica di Conte.

 

 

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