Renzi, ieri, oggi e… domani?

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Matteo Renzi entra prepotentemente nella politica italiana con le Primarie del 2012 per la scelta del candidato premier del Centro Sinistra. Porta al ballottaggio Bersani, ma, nonostante la sconfitta, mostra una forza e uno stile (“rottamatore”) che conquista consensi ben oltre il proprio schieramento politico. Questo gli attira le antipatie e la diffidenza del gruppo dirigente del Partito democratico (la cosiddetta “Ditta”), che mal lo sopporta, ma che punta su di lui per allargare il consenso del proprio schieramento.

L’ascesa di Renzi

Risulta evidente che la differenza di stile e di comunicazione tra il “rottamatore” e i dirigenti “storici” del partito nasce da due visioni del mondo e quindi da progetti sul nostro Paese piuttosto diversi. Infatti, pur condividendo gli stessi valori e principi, Renzi declina il riformismo con chiari riferimenti a Blair e Obama, mentre la “Ditta” ripropone un modello più tradizionale, ancorato a logiche consociative e a tabù propri della sinistra italiana.

Le elezioni 2013 dimostrano come il modello incarnato da Bersani non ha il consenso sperato e la “non vittoria” porta Renzi a diventare segretario del PD nel 2013 e, con uno spregiudicato colpo di mano, Presidente del Consiglio.

Nelle elezioni europee del 2014 riceve la propria consacrazione e la forza per portare avanti il suo progetto e trasformare l’Italia in un paese moderno, attraverso riforme su lavoro, scuola, pubblica amministrazione, fisco e tanto altro. Su tutte la riforma costituzionale, approvata in Parlamento con il 60% circa dei voti di Camera e Senato.

In questa sede non interessa valutare l’efficacia dei provvedimenti, è un fatto però che, in pochi anni, siano state approvate molte riforme. Renzi appare il padrone incontrastato della scena politica, il Pd diventa PdR (Partito di Renzi) arrivando ad una personalizzazione di pura facciata, perché un certo numero di dirigenti, soprattutto sui territori, non condividono il progetto renziano e aspettano il momento giusto per giubilare l’ennesimo leader del centro sinistra.

Renzi non dà peso a tutto ciò: ritiene che i risultati delle riforme, il ristretto gruppo dei fedelissimi, insieme ad una capacità di comunicazione fuori dal comune, gli permettano di superare ogni difficoltà e di mantenere il consenso.

La riforma respinta

Per un eccesso di sicurezza o per un malcelato senso di onnipotenza, Renzi offre l’occasione buona a tutti i suoi avversari, che, per almeno due anni, non avevano toccato palla: è il referendum sulla riforma costituzionale. È un azzardo, perché tutti gli avversari politici sono contro (pure quelli che avevano votato la riforma in Parlamento!), insieme a molti dirigenti della “Ditta”. In realtà, molti dirigenti, renziani di facciata, non si impegnano nella campagna e Renzi è costretto ad impegnare più energie a rassicurare i “suoi”, piuttosto che a convincere gli “altri”.

La “Costituzione più bella del mondo” è salva: festeggiano insieme i nostalgici del fascismo e del comunismo, uniti nell’avversione al progetto renziano.

È il 4 dicembre 2016, Renzi diventa lo sconfitto, si dimette da tutto, Presidente del Consiglio e segretario del Pd, riflette se abbandonare la politica… In effetti, le ragioni della scissione risiedono nella sconfitta del referendum e sono quindi squisitamente politiche, perché il partito di cui Renzi era segretario non ha accettato il suo progetto.

Cosa fare? Superata la delusione, era necessario salvare il salvabile: da un lato, mantenere un governo che proseguisse, alla meno peggio, nel solco del precedente e tenere il Pd aperto al gruppo che faceva riferimento all’ex segretario, in vista delle elezioni del 2018.

Pochi giorni dopo, arriva la sentenza di incostituzionalità della legge elettorale maggioritaria (il cosiddetto Italicum), che sarà sostituita da una legge (il Rosatellum) con impianto proporzionale; si chiude, di fatto, la Seconda Repubblica e inizia il secondo tempo della Prima Repubblica. Perché, nel sistema maggioritario, è necessario aggregarsi per contare, mentre nel proporzionale c’è la possibilità per tanti partiti di incidere con le giuste alleanze. Pensate se nel Regno Unito si passasse al sistema proporzionale, sia il Labour che i Tory si scinderebbero in almeno due o tre gruppi!

Il sistema proporzionale è l’occasione per il nuovo partito di Renzi, che infatti resta completamente fuori dal congresso del Pd, dove Zingaretti diventa segretario.

Il percorso per la scissione, che politicamente era già avvenuta, inizia con la costruzione di un’organizzazione e del momento propizio per dare l’annuncio.

Fin da subito è chiaro che bisogna aspettare i risultati delle elezioni del 2018, poi prende avvio la cosiddetta “fase dei pop corn”, in cui Renzi si oppone a qualsiasi ipotesi di ritorno al governo con i Cinque Stelle e, nel frattempo, costituisce i comitati civici, primo embrione del nuovo partito. Nei mesi successivi, è evidente che è necessario fare opposizione, la più dura possibile (e uniti è molto meglio…) in attesa di un errore da parte degli altri.

L’assist di Salvini

Il caldo estivo manda in delirio di onnipotenza il segretario della Lega Salvini, che fa cadere il governo Conte; Renzi era seduto sulla riva del fiume e coglie al volo l’occasione, apre il confronto con i Cinque Stelle e così nasce il secondo governo Conte. Con il completamento del governo, ecco il momento adatto e così arriva l’annuncio della nascita di Italia Viva.

Alla luce di queste considerazioni, appare davvero errata la valutazione del vicesegretario del Pd Orlando che, nell’ultima direzione del partito, afferma che il senatore Renzi è uscito per «malesseri individuali e legittime aspirazioni personali». Il tempo dirà se la scissione e la nascita di Italia Viva sono stati un errore. Ad oggi possiamo affermare che alcuni esponenti del centro sinistra italiano vogliono costruire un percorso nuovo, che possa modernizzare il nostro Paese.

Da notare che la scissione non avviene rispetto alle logiche di appartenenza a precedenti formazioni politiche, ad esempio ci sono ex berlusconiane (Lorenzin) che entrano nel Pd. La frattura avviene tra persone che hanno idee diverse su come dev’essere il futuro dell’Italia.

Renzi ha ritenuto che il Pd, dopo il no al referendum, non fosse lo spazio politico giusto, è un partito contendibile, ma non governabile, dove l’unità è un totem che si preserva bene se si sta fermi o ci si muove lentamente, come un dinosauro sopravvissuto all’estinzione di fine millennio.

Renzi vuole muoversi agilmente nel nostro tempo e, insieme al suo gruppo, diventare l’ago della bilancia della politica italiana nei prossimi anni. Se, così facendo, Italia Viva riuscirà ad ammodernare (almeno un po’…) il nostro paese, allora la sfida potrà dirsi vinta.

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