Ri-pensare l’Europa

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Il 60° anniversario dei Trattati di Roma, che hanno dato origine all’Europa unita, è stato celebrato in diverse sedi, e, in particolare a Roma, ove il 25 marzo scorso, i leader dei paesi dell’Unione Europea (UE) hanno firmato una dichiarazione congiunta con l’impegno di ritrovare il coraggio dei Padri fondatori e di condividere il sogno comune. Con la stessa penna che 60 anni fa disegnò la prima Europa unita, i leader hanno sottoscritto il proprio impegno a difenderne e a promuovere l’unità dei popoli europei.

60° anniversario dei Trattati di Roma

Il 25 marzo scorso, i leader dei paesi dell’Unione Europea (UE) hanno firmato una dichiarazione congiunta con l’impegno di ritrovare il coraggio dei Padri fondatori e di condividere il sogno comune.

Dopo le due guerre mondiali e le violenze atroci di popoli contro popoli, la Comunità è nata per favorire e tutelare la pace. Alla fine della seconda guerra mondiale, il nostro continente era ridotto a un cumulo di macerie: milioni di europei erano morti, milioni di europei erano senza casa e senza lavoro. Un continente con una lunga e straordinariamente ricca storia alle spalle si ritrovava all’anno zero. Ma prima ancora che la guerra finisse, diversi uomini sognavano un futuro diverso, un futuro senza guerre, un futuro di pace e di benessere.

Alla vigilia del 25 marzo 2017, Papa Francesco si è rivolto ai capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea con queste parole: «Ritornare a Roma sessant’anni dopo non può essere solo un viaggio nei ricordi, quanto piuttosto il desiderio di riscoprire la memoria vivente di quell’evento per comprenderne la portata nel presente. Occorre immedesimarsi nelle sfide di allora, per affrontare quelle dell’oggi e del domani. Con i suoi racconti, pieni di rievocazioni, la Bibbia ci offre un metodo pedagogico fondamentale: non si può comprendere il tempo che viviamo senza il passato, inteso non come un insieme di fatti lontani, ma come la linfa vitale che irrora il presente».

Il pericolo dei nazionalismi

Con questo spirito indicato da papa Francesco, che ha al suo centro la saggezza della pedagogia biblica, la Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) ha voluto ricordare l’evento del 60° anniversario della firma dei Trattati con una conferenza-dialogo: (Re)-thinking Europe, Ri-pensare l’Europa e dare il contributo dei cristiani al futuro del progetto europeo.

È stato papa Francesco a volere questo dialogo che si è tenuto dal 27 al 29 ottobre e che ha coinvolto leader religiosi e politici, ambasciatori e uomini e donne dei diversi Paesi. In stretta collaborazione con la Segreteria di stato, la Comece ha organizzato l’incontro in Vaticano, nell’aula del sinodo.

Ai 350 partecipanti provenienti dai diversi paesi, papa Francesco ha rivolto un discorso ricco di indicazioni e di indirizzi teorico-progettuali. Appare chiaro a tutti che è in gioco il futuro dell’Europa. Non solo il futuro dell’Unione Europea (UE), come alcuni sostengono, ma quello dell’intera Europa: se venisse a mancare il dinamismo dell’UE, chi aiuterebbe a superare gli antagonismi nazionali, chi porrebbe le basi per una pace duratura e per un’effettiva solidarietà umana, economica e sociale tra i diversi popoli?

In continuità con i precedenti discorsi europei, Francesco rilancia con forza il dialogo come concreta prospettiva di una nuova progettualità da mettere in campo, cominciando dai cristiani e dalle comunità cristiane. Occorre ridare vita con coraggio al progetto europeo ricuperando e armonizzando le sue diverse istanze e le sue diverse tradizioni. Indicazioni che devono essere approfondite dalla Politica, con la P maiuscola.

Proprio di Politica lungimirante la bisogno l’Europa di oggi se vuole affrontare la sfida del suo futuro, traendo le doverose lezioni dalla sua storia e dotandosi di positiva immaginazione per affrontare fenomeni in gran parte inediti: da soli si è sconfitti in partenza e si diventa sempre più insignificanti. La via da seguire è quella del dialogo a ogni livello, fra le diverse istituzioni e i diversi popoli, fra le diverse culture e le diverse sensibilità.

Francesco ha voluto suggerire questa strada, come prospettiva generale e come metodo da perseguire, anche attraverso il “segno” del reciproco arricchimento che si è attuato nella conferenza-dialogo.

Responsabilità dei credenti

Sostieni SettimanaNews.itÈ chiaro il rilievo che, fin dall’inizio del suo discorso, egli dà alla pratica del dialogo: «È significativo che questo incontro abbia voluto essere anzitutto un dialogo nello spirito di un confronto libero e aperto, attraverso il quale arricchirsi vicendevolmente e illuminare la via del futuro dell’Europa, ovvero il cammino che tutti insieme siamo chiamati a percorrere per superare le crisi che attraversiamo e affrontare le sfide che ci attendono».

L’Europa ha creato una civiltà straordinaria quando ha messo da parte lo scontro e si è impegnata nel dialogo: quell’«umanesimo europeo», cui papa Francesco spesso si richiama, è il frutto di questo dialogo che ricerca la pace, non solo come aspirazione ma anche come diritto, come jus pacis. Come si è espresso nel discorso ai docenti e studenti dell’università di Bologna (1° ottobre 2017), singoli, nazioni e UE sono chiamati nel dialogo a dar corpo a un progetto che faccia rifiorire l’eredità dell’umanesimo nel nostro presente: «Rinnovo con voi il sogno di un nuovo umanesimo europeo, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia». Parole che esigono una riflessione a tutto campo da parte della nostra cultura che deve fare i conti di fronte a prove non certo edificanti sulla scena culturale odierna, per proiettarsi nel futuro.

Anche qui c’è bisognoso di una Cultura con la C maiuscola, perché spesso in Europa la cultura, come la politica, si è lasciata attrarre da interessi di parte e da interpretazioni riduttive, lasciando svanire le visioni coraggiose dei grandi maestri.

Particolarmente importante è, in questo contesto, il «contributo cristiano al futuro del continente»: esso significa anzitutto «interrogarsi sul nostro compito come cristiani oggi, in queste terre così riccamente plasmate nel corso dei secoli dalla fede. Qual è la nostra responsabilità in un tempo in cui il volto dell’Europa è sempre più connotato da una pluralità di culture e di religioni, mentre per molti il cristianesimo è percepito come un elemento del passato, lontano ed estraneo?».

I cristiani non possono tirarsi indietro, perché sanno di non essere estranei e lontani. Il sottotitolo della conferenza precisa bene la finalità del dialogo: un contributo cristiano al futuro del Progetto europeo. È la finalità della missione a cui è chiamata la Comece: accompagnare il processo dell’integrazione europea alla luce della dottrina sociale della Chiesa attraverso la collaborazione e il confronto in vista della costruzione di un’Europa pacifica e solidale, aperta ai valori umanistici che hanno fatto grande il vecchio continente.

D’altronde, proprio il dialogo è la linea direttiva delle indicazioni di papa Francesco, come il concilio Vaticano II ha illustrato. Le direttive conciliari – offerte nella Gaudium et spes e in altri documenti – di un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato da un attento discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità, restano valide e ci chiamano ad un impegno ulteriore in questa fase di grandi tensioni in Europa, sia fra i diversi Paesi dell’UE (con la Brexit) sia all’interno dei singoli Paesi (con la questione catalana e con i regionalismi e i populismi diffusi un po’ ovunque).

Non tornare indietro

I partecipanti al convegno hanno affermato con forza che l’Europa non può tornare indietro, corteggiando l’abisso del male e del negativo, fino a sprofondare nei conflitti e nelle lacerazioni. Incoraggiati dal papa, tutti hanno riconosciuto che i valori dell’umanesimo, della ragione e del bene comune e l’affermazione della dignità della persona umana e della sua libertà hanno la loro sorgente nella fede in Gesù Cristo, morto e risorto.

Dobbiamo prendere nuovo coraggio di fronte alle sfide di oggi, come hanno fatto i Padri fondatori del progetto europeo: è questa la consapevolezza che emerge con forza, visto che l’Europa non è più il sogno condiviso di qualche anno fa. Se l’ottimismo sta svanendo, se i segnali indicano una tendenza alla divisione e alla frammentazione, dobbiamo ricercare tutto ciò che favorisce la ricerca del nostro comune destino. Sappiamo che le crisi ci sono sempre state, anche se quelle odierne sembrano molto dure e difficili.

Il fenomeno della globalizzazione, di enorme intensità e rapidità, ha coinvolto e coinvolge ogni paese e ogni ambito della vita. L’UE ne ha risentito profondamente: è stata scossa la fragile casa europea ancora in costruzione. I massicci flussi immigratori, con le tensioni sociali che ne derivano e con il complesso problema dell’integrazione, hanno sollevato questioni sociali, culturali e politiche che l’UE (e non solo) non ha saputo affrontare. È diventato evidente agli occhi dei cittadini europei il vuoto europeo di una seria e condivisa politica migratoria. La situazione dell’ultimo decennio, con la crisi economica, ha contributo a mettere in crisi il sogno europeo.

Ma non dimentichiamo che si celebra il sessantesimo compleanno dell’UE, un’età che è ormai più che adulta per la persona umana ma che non è affatto tale per l’Unione dei popoli europei, da secoli divisi.

Sotto molti aspetti, l’UE appare ancora adolescente, incerta sul suo futuro. Forse molti fenomeni che la caratterizzano esprimono questa sua immaturità, ma altri fenomeni indicano una crisi assai più profonda e radicale, che coinvolge la sua stessa identità, la sua tradizione culturale, i suoi valori fondativi. La questione che ci troviamo ad affrontare è drammaticamente semplice: vogliamo vivere al riparo di un muro illusorio o siamo disposti a vivere insieme in una comunità di valori?

La Chiesa vuole dare il suo contributo perche si riprenda in mano il progetto europeo, partendo da ciò che è stato fatto, dai molti passi compiuti, dalle molte realizzazioni attuate. Non si può dimenticare che il progetto europeo è un’esperienza unica nella storia dell’umanità: popoli e nazioni hanno deciso liberamente di rinunciare ad una parte della loro sovranità per lavorare insieme.

I vantaggi sono stati notevoli:

  • è cresciuto il benessere dei singoli popoli, anche se molte ferite della crisi economica mondiale sono ancora aperte;
  • è stata valorizzata la democrazia, nonostante il venir meno delle tradizionali forme della rappresentanza politica.

Ma il cammino ha bisogno non solo di aggiustamenti ma anche di revisione profonda per ricuperare dimensioni troppo dimenticate. Si pensi alla necessità di una maggiore solidarietà e di più efficace sussidiarietà per l’Europa, due concetti strettamente collegati nella dottrina sociale della Chiesa. Si pensi alle questioni antropologiche e alla questione ecologica, alla «casa comune della creazione», ai poveri e agli emarginati, alla mancanza di futuro per molti giovani.

L’Europa ha una grande responsabilità di fronte a queste domande ed ha un ruolo e una voce nel mondo. A questa nostra Europa, stanca e debole, è il caso di dire: questa è la tua ora, è l’ora di un’Europa che ha il coraggio di alzare lo sguardo e di guardare avanti. Se l’immagine papale di un’Europa come «nonna sterile» ha forse irritato la suscettibilità di diverse persone, è chiara la preoccupazione di Francesco che può essere espressa con l’interrogativo: l’Europa ha ancora voglia di vita e di futuro?

Ecco allora la necessità di porre al centro la persona umana aperta e trascendente, capace di relazione e di comunità. «Il primo, e forse più grande, contributo che i cristiani possono portare all’Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone»: è il punto di partenza della riflessione di papa Francesco. Perché le fondamenta dell’Europa sono «persona» e «comunità», mentre i mattoni sono «dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace».

Francesco ricorda che uno dei valori fondamentali portati dal cristianesimo è proprio «il senso della persona, costituita a immagine di Dio». Citando il giovane san Benedetto, che ha ispirato una concezione dell’uomo radicalmente diversa da quella della classicità greco-romana e da quella delle popolazioni barbariche, Francesco invita a far valere l’uomo, e non il semplice cittadino o il servo o il lavoratore. «Per Benedetto non ci sono ruoli, ci sono persone», mentre oggi scompaiono i volti: «non ci sono i lavoratori, ci sono gli indicatori economici», «non ci sono i migranti, ci sono le quote», le cifre.

Persona e comunità

La persona con il suo volto e il suo nome si apre alla comunità e alla responsabilità. La tendenza a vivere da soli, isolati, senza legami, è «una cosa grave», una malattia seria che ci fa dimenticare che la nostra identità è innanzi tutto «relazionale». La famiglia è e rimane il fondamentale luogo di questa scoperta, ove si impara, nelle differenze fra l’uomo e la donna, a essere generativi, capaci di aprirsi alla vita e agli altri. I cristiani devono avere coscienza della rottura avvenuta fra le generazioni e impegnarsi per il superamento del conflitto generazionale: «A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, è in atto un conflitto generazionale senza precedenti. Nel consegnare alle nuove generazioni gli ideali che hanno fatto grande l’Europa, si può dire iperbolicamente che alla tradizione si è preferito il tradimento». Così l’Europa vive «una sorta di deficit di memoria», incapace di riscoprire il valore del proprio passato per «arricchire il proprio presente e consegnare ai posteri un futuro di speranza». Tanti giovani, invece, si trovano «smarriti davanti all’assenza di radici e di prospettive», mentre l’educazione deve coinvolgere tutta la società.

In particolare, i cristiani che sono in Europa devono impegnarsi a far valere il ruolo positivo che la religione svolge nella società, per favorire quel dialogo che è necessario in ogni ambito e che diventa particolarmente necessario sul piano interreligioso. «Un certo pregiudizio laicista, ancora in auge» non riesce a percepire questo valore della religione nella sfera pubblica, ma così si instaura «il predominio di un certo pensiero unico, assai diffuso nei consessi internazionali» e che, alla fine, genera una sorta di società di indifferenti a tutto e a tutti.

L’Europa deve poi essere uno spazio inclusivo, valorizzando però le differenze. I migranti sono una risorsa, e non possono essere scartati a proprio piacimento. D’altra parte, il papa ricorda che i governanti devono gestire con prudenza la questione migratoria. Non muri, dunque, ma il fenomeno migratorio non può essere senza regole. E da parte loro, anche i migranti devono «rispettare e assimilare la cultura» della nazione che li accoglie.

Spicca, tra i vari mattoni, quello che Francesco ha indicato per ultimo, quello della pace. I cristiani in Europa sono messaggeri di pace, chiamati a farsi promotori della cultura della pace che esige «amore alla verità», «senza la quale non possono esistere rapporti umani autentici». L’Europa si impegna per la pace nella misura in cui «non perderà la speranza», quella speranza di un’Europa unita e concorde, «comunità di popoli desiderosi di condividere un destino di sviluppo e di pace», come auspicavano i Padri fondatori.

I cristiani sono chiamati a «ridare anima all’Europa», come fece san Benedetto: «egli non si curò di occupare gli spazi di un mondo smarrito e confuso. Sorretto dalla fede, egli guardò oltre e, da una piccola spelonca di Subiaco, diede vita ad un movimento contagioso e inarrestabile che ridisegnò il volto dell’Europa. Egli, che fu “messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà”, mostri anche a noi cristiani di oggi come, dalla fede, sgorga sempre una speranza lieta, capace di cambiare il mondo».

Gianni Ambrosio è vescovo di Piacenza.

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