Sia pace in terra… e nello spazio

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Come evitare che la guerra russo-ucraina in corso interrompa tutte le collaborazioni spaziali, con enormi danni scientifici ed economici? Qualcosa di simile si è rischiato all’indomani della crisi di Crimea (2014), quando sembrava dovesse saltare la riunione annuale del Comitato per la ricerca spaziale in Russia. Un incontro fra il presidente del Comitato Giovanni Bignami e Vladimir Putin allentò la tensione, quanto meno nello spazio. Dalla rivista online Scienza in rete.

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Per chi lavora in ambito spaziale, le ripercussioni politiche della crisi in Ucraina vanno ben oltre i complicati equilibri sul pianeta Terra. I venti di guerra stanno soffiando nello spazio e hanno già raggiunto Venere e Marte la cui esplorazione, prevista per il futuro più o meno prossimo, era basata su una collaudata collaborazione tra l’agenzia spaziale russa (Roscosmos) con la NASA e l’ESA.

Scambi rodati e sinergie

Forte dello straordinario successo dei lanciatori Soyuz, il cui look non è cambiato dal tempo dello Sputnik, e del più recente e più potente Proton, Roscomos ne aveva fatto «merce di scambio» nell’ambito di collaborazioni con NASA e con ESA. Le agenzie e le istituzioni occidentali mettevano la strumentazione delle sonde e l’agenzia russa forniva il lanciatore in cambio dell’accesso ai dati degli strumenti.

La missione dell’Agenzia Spaziale Europea INTEGRAL, dedicata all’astronomia gamma, è partita dalla base di Baikonur in Kazakistan nel 2002 a bordo di un Proton. In cambio del lancio, gli scienziati russi hanno diritto a una porzione garantita di tempo di osservazione. Nel 2003 e 2005 è stato il turno di Mars Express e Venus Express, sempre dell’ESA, lanciate in direzione di Marte e di Venere a bordo di un lanciatore Soyuz. E la lista potrebbe proseguire: non è un caso che, deciso il pensionamento della Shuttle nel 2011, la NASA abbia fatto affidamento sulla controparte russa Roscosmos per il trasporto dei suoi astronauti alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che è un progetto congiunto russo-americano, figlio della caduta del muro di Berlino e della fine della guerra fredda.

Certo, la stazione ha una parte russa e una americana ma i portelloni sono sempre aperti perché gli astronauti occidentali e i cosmonauti russi vivono a contatto di gomito. Affidarsi alla Soyuz (la navetta per gli astronauti ha lo stesso nome del lanciatore) era stata una scelta obbligata visto che solo i russi potevano fornire servizi di lancio certificati per il trasporto di persone. Il monopolio aveva fatto lievitare i prezzi, ma non c’era scelta. Le navicelle russe non concedono niente al comfort, ma, in compenso, sono estremamente sicure anche grazie al lanciatore collaudatissimo.

Proprio la grande affidabilità del lanciatore aveva aperto le porte a una collaborazione commerciale tra Roscosmos e ArianeSpace per lanciare i Soyuz dallo spazioporto europeo di Kourou nella Guyana francese. Una base di lancio equatoriale apriva un nuovo mercato per i lanciatori russi che, commercializzati da ArianeSpace, avevano smesso di essere concorrenti temibili dei vettori europei.

La crescita della Space Economy aveva aumentato la richiesta di lanci del vettore Soyuz, sia dalla Guyana, sia da Baikonur, e questo aveva pareggiato i buchi di bilanci aperti dalla mancanza degli astronauti occidentali che potevano fare affidamento sulle capsule Dragon di Elon Musk. In più, Roscosmos aveva ricominciato a vendere i posti sulla navetta Soyuz ai turisti spaziali.

Un panorama sconvolto 

Un panorama che la guerra e le sanzioni hanno scosso dalle fondamenta. Quello che non era mai successo durante gli anni bui della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica è avvenuto nel volgere di qualche giorno alla fine di febbraio a seguito dell’invasione dell’Ucraina.

Per rispondere alle sanzioni occidentali che colpiscono gli import tecnologici russi, Roscosmos ha ritirato il suo personale dalla base di Kourou. Una decisione che, di fatto, impedisce di usare i Soyuz dalla base della Guyana. In effetti, anche i lanci commerciali del vettore Soyuz dal cosmodromo di Baikonur sono stati cancellati.

Ne ha già fatto le spese OneWeb, che ha visto annullare il lancio di un carico di 36 satelliti che erano già sulla rampa, pronti a partire. E poco si sa del lancio di due satelliti della costellazione Galileo, che era previsto per aprile. Si teme anche per il lancio della missione ExoMars, che avrebbe dovuto partire da Baikonur a bordo di un vettore Proton a fine settembre. L’ESA ha dichiarato che è improbabile che la tempistica possa essere rispettata. E con Marte non si scherza: le finestre di lancio si aprono ogni 26 mesi, quando il pianeta è più vicino alla Terra, tecnicamente, in opposizione. La prossima opportunità sarà nel novembre 2024.

L’interruzione dei voli di rifornimento alla ISS, minacciata via Twitter dal capo di Roscosmos, renderebbe problematica la gestione della stazione che è un progetto che si regge sulla sinergia russo-americana. Senza le Soyuz (e le navette cargo Progress) che portano anche il carburante per stabilizzare l’orbita, la gigantesca struttura perderebbe quota e, anche se non nell’immediato, sarebbe destinata a deorbitare.

Per fortuna, le pesantissime minacce verbali non sembrano avere avuto conseguenze: la manovra del reboost orbitale della ISS è stata fatta l’11 marzo, come da programma prestabilito. Mi chiedo quale sia lo stato d’animo a bordo, ma non dubito sulla professionalità dell’equipaggio internazionale dove tutti si conoscono e sono abituati a lavorare e a vivere a strettissimo contatto.  Se la ISS sembra sopravvivere ai tweet inferociti di Dmitry Rogozin, di sicuro la solidissima collaborazione tra le agenzie spaziali russa e tedesca (DLR) ha subito un durissimo colpo.

Contemporaneamente all’annuncio delle sanzioni, la DLR ha cancellato tutte le collaborazioni spaziali con la Russia, venendo prontamente ricambiata. Una decisione che ha implicato lo spegnimento del telescopio eROSITA a bordo della missione russa Spektr-RG che si trova nel punto lagrangiano L2 a 1,5 milioni di km dalla Terra.

Lo strumento, pur perfettamente funzionante, è stato messo in safe mode, una specie di ibernazione che interrompe le normali operazioni. Curiosamente il governo americano è stato meno perentorio di quello tedesco e, a eccezione della ISS, le collaborazioni sono state interrotte senza, però, essere cancellate.

Il precedente: la Crimea (2014)

È un panorama del tutto inedito che ha colto di sorpresa la comunità spaziale convinta che lo spazio fosse un non luogo privilegiato lontano dalle insensatezze terrestri. Invece, stiamo vedendo vacillare tutte le collaborazioni stabilite nel corso di decenni, sia a livello scientifico sia a livello commerciale.

Questa situazione di penosa incertezza mi ha riportato alla mente gli avvenimenti della primavera del 2014, quando il mondo assisteva alla prima crisi della Crimea, non grave come quella attuale, ma molto sentita a livello internazionale specialmente dopo l’abbattimento accidentale (ma non per questo meno tragico) dell’aereo della Malaysia Airlines, avvenuto il 24 marzo. Volare sulla Russia era visto come pericoloso e molti colleghi si chiedevano se fosse il caso di annullare la partecipazione al grande meeting che il COSPAR aveva pianificato per l’agosto di quell’anno a Mosca.

Per chi avesse un vuoto di memoria, ricordo che il COSPAR è il Committee on Space Research fondato nel 1958, nel pieno della guerra fredda, proprio per facilitare il dialogo tra scienziati che vivevano nei due blocchi contrapposti. L’Unione Sovietica, ora Russia, è sempre stata un socio di maggioranza dell’organizzazione, insieme agli Stati Uniti, alle nazioni europee, alla Cina, all’India, al Giappone.

Per evitare il fallimento del congresso al quale erano iscritti molte migliaia di scienziati da tutto il mondo, i colleghi russi avevano chiesto aiuto a mio marito Giovanni (Nanni) Bignami che all’epoca era Presidente del COSPAR. Un vecchio amico russo gli ha detto che solo un suo incontro con Putin avrebbe potuto sbloccare la situazione.

Vodka e … ghiaccio

Ricordo che Nanni era piuttosto scettico sulla possibilità che Putin gli concedesse udienza, ma non si oppose al tentativo, pur ritenendolo futile. Invece arrivò la convocazione: l’incontro sarebbe avvenuto al Museo della cosmonautica a Mosca dove Putin doveva andare per farsi riprendere a parlare con gli occupanti della ISS in un collegamento deciso da tempo, a beneficio di una platea di studenti.

Dopo lo show, Nanni ebbe un faccia a faccia con Putin. Ovviamente c’era l’interprete ma Nanni conosceva abbastanza il russo per seguire dal vivo le parole di Putin che era seccatissimo dall’atteggiamento dell’Ucraina, visto il risultato per lui schiacciante del referendum in Crimea. Parlò più della crisi in Crimea che del COSPAR, tuttavia gli diede assicurazioni che non ci sarebbero stati pericoli e che tutti i partecipanti alla conferenza sarebbero stati i benvenuti.

Nanni tornò a casa con un cofanetto con l’opera completa di Tolstoj, una bottiglia di Vodka (che divenne la Vodka di Putin nel nostro lessico familiare) e una sensazione di freddo alla schiena. Lo sguardo glaciale del suo interlocutore non l’aveva per niente rassicurato ma, in qualità di Presidente del COSPAR, aveva deciso di andare avanti con l’organizzazione del congresso per non mettere a repentaglio un’occasione di incontro internazionale che riteneva più che mai necessaria.

Sarei curiosa di conoscere il suo parere sulla situazione attuale. Purtroppo Nanni non c’è più ed è in momenti come questo che si sente di più la sua mancanza. Credo che sarebbe stupefatto e molto rattristato, la sua visione era profondamente internazionale e considerava le collaborazioni tra scienziati di nazioni diverse un bene fondamentale. Forse avrebbe colto l’occasione per proporre qualcosa di nuovo. In fondo, in ogni crisi c’è un’opportunità di rinascita.

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