Sicurezza? No, propaganda

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Decreto sicurezza bis

È sostanzialmente unanime il coro delle voci critiche di studiosi, magistrati, cultori del diritto circa il cosiddetto «decreto sicurezza bis» tenacemente voluto dal Ministro dell’interno (cf. SettimanaNews). Obiezioni motivate in punto di palese difformità dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali.

Sanzionare il dissenso

Sui due punti cardine del decreto: il giro di vite sulle manifestazioni pubbliche e sulle ONG che operano salvataggi in mare. Con arresti, confische, multe milionarie. Questioni decisamente diverse, impropriamente accostate, ma una ispirazione comune alle norme: un pesante, ostentato inasprimento delle sanzioni.

I summenzionati, convergenti giudizi critici parlano di inutilità, irrazionalità, incostituzionalità, sproporzione dell’apparato sanzionatorio, con la violazione di principi e di diritti fondamentali. Sia con riguardo alla libertà di manifestazione del pensiero e di associazione, sia di azione umanitaria delle ONG.

Vero bersaglio pratico e simbolico del decreto, contro ogni evidenza statistica (a fronte di un drastico calo degli sbarchi, quello intestato alle ONG è di uno a dieci rispetto agli sbarchi complessivi dal mare, i quali, a loro volta, sono di gran lunga inferiori agli ingressi via terra).

Un decreto strumentale

Del resto, a rimarcare la strumentalità del decreto, bastino qui tre dettagli formali.

Perché un decreto, che costituzionalmente presuppone «necessità e urgenza»? Dove sta l’emergenza, a fronte del richiamato del fenomeno? Sull’altro versante, quello delle eventuali illegalità nel corso di manifestazioni pubbliche, la legislazione vigente è già singolarmente severa, in quanto risale al tempo del terrorismo.

Significativo il bis che connota il decreto sicurezza: se le parole hanno un senso ciò sottintende che il «sicurezza 1», varato meno di un anno fa, non era stato ben congegnato e comunque si è rivelato incompleto. Salvo accedere all’idea, la più plausibile, che si voglia reiterare il messaggio, varando leggi-manifesto, rivelatisi magari inefficaci ma elettoralmente redditizie.

Di più: il «sicurezza 1», specie nella parte che inibisce l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo (con i diritti connessi: casa, lavoro, scuola) è già stato oggetto di ricorso alla Corte costituzionale da parte di due tribunali, Ancona e Milano.

Quando le emozioni diventano legge

In sintesi, ancora una volta, da parte del governo, assistiamo a un «modus legiferandi» (e, a monte, a una concezione e a una pratica politica) esattamente opposto alle più elementari e collaudate norme che dovrebbero presiedere alla buona legislazione.

Scrivere leggi sotto la pressione emotiva di emergenze, tanto più in quanto artificiosamente create, per incassare un dividendo elettorale. L’attitudine non già a risolvere problemi cui l’opinione pubblica è sensibile, ma ad agitarli strumentalmente e propagandisticamente. Sovrapporre impropriamente la questione immigrazione con la questione sicurezza, cui corrisponde la totale inerzia nelle vere, concrete iniziative atte ad affrontare organicamente il tema complesso, epocale, che ci accompagnerà a lungo (altro che emergenza!), dei movimenti migratori.

E quindi gli accordi con i paesi d’origine; la revisione del trattato di Dublino circa il porto sicuro più vicino; canali di ingresso regolari e disciplinati; sistemi di integrazione diffusa sul territorio; ricollocamenti; buone relazioni con i paresi dell’UE, cioè l’opposto del l’isolamento e del discredito internazionale che si è guadagnato il nostro governo.

Disertare l’Europa

Davvero sconcertante – ma straordinariamente eloquente – la sistematica diserzione, da parte del nostro Ministro dell’interno, dei vertici con i suoi omologhi ministri dei paesi europei dove appunto si discute di immigrazione, per poi protestare la insensibilità e l’ipocrisia dell’Europa.

Leggi così mal congegnate produrranno di nuovo l’effetto di scaricare a valle, sui magistrati, la responsabilità di sciogliere i nodi che il legislatore non ha sciolto, costringendoli a sollevare obiezioni di costituzionalità. Salvo poi accusarli di esercitare un ruolo improprio di opposizione politica.

Ma, già a monte, in sede di promulgazione del decreto, si reitera la tendenza a mettere in difficoltà il presidente della Repubblica, cui le opposizioni politiche e sociali fanno appello, anche per compensare ed esorcizzare la loro debolezza.

Con buoni argomenti di merito, ma chiedendo al capo dello Stato interventi che non sono nel suo potere, in una Repubblica parlamentare.

Disordine istituzionale

Più che il merito del decreto già di per sé censurabile, dunque, a fare problema è il disordine politico-istituzionale che esso rivela ancora una volta e, semmai, acuisce: un governo paralizzato e diviso che si contenta di provvedimenti-manifesto ad uso propagandistico.

Un attore, la Lega, minoritario in parlamento, ma che, a tutti gli effetti, la fa da padrone; un partner di governo, i 5 stelle, letteralmente ridotti a stampella di Salvini in quanto terrorizzati dalla minaccia di una interruzione della legislatura che ne sanzionerebbe il fallimento; opposizioni senza nerbo, che a parole invocano nuove elezioni ma che manifestamente le vivrebbero come una sciagura.

È da sperare almeno in una «resistenza umana e civile» (così padre Spadaro, direttore di Civiltà cattolica) da parte della opposizione sociale, compresa quella di parte cattolica. In gioco sono fondamentali diritti di libertà e, ultimamente, il senso umanità della nostra convivenza che si va drammaticamente estenuando.

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