Sicurezza: una domanda per il ministro

di:

salvini

Ipotizziamo per un momento che l’analisi che ha portato il ministro dell’Interno alla stesura del cosiddetto Decreto sicurezza sia corretta. Questa analisi parte dal presupposto che la maggior parte dei migranti, sbarcati sulle spiagge del nostro paese e che hanno fatto domanda di asilo, siano di fatto «migranti economici». Per molti la domanda di asilo sarebbe stata fatta in modo strumentale, con l’obiettivo di temporeggiare e sperare di ottenere una qualche forma legale per soggiornare in Italia.

Prima della promulgazione del DL 113/2018, per un cospicuo numero di costoro è stato  possibile ottenere un permesso di soggiorno per «motivi umanitari», a fronte dell’impossibilità di tornare al proprio paese. In questi casi le commissioni territoriali, anche su indicazione politica, avevano fatto riferimento all’articolo 10 comma 3 della Costituzione italiana che recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», proponendo il rilascio del permesso per motivi umanitari, che ora il Decreto elimina.

Con il permesso di soggiorno per motivi umanitari i migranti potevano ottenere un contratto di lavoro, e al momento della scadenza potevano convertire il loro permesso in un permesso per motivi di lavoro, potendo così proseguire il proprio percorso e migliorare la propria condizione di vita.

Si vuole qui riconoscere che anche grazie a loro l’Italia ha potuto e può trovare una parziale risposta alla diminuzione della popolazione in età lavorativa, e contribuire in modo sostanziale al pagamento delle pensioni a tutti coloro che nel frattempo smettono di lavorare.

Eliminando il permesso per motivi umanitari, con il DL 113/2018 i richiedenti che non avranno diritto all’asilo politico (o alla protezione sussidiaria), se non riceveranno il diniego, potranno usufruire di permessi di soggiorno cosiddetti «speciali», con caratteristiche molto differenti, tra cui il paradosso dell’impossibilità di essere convertiti in permessi per motivi di lavoro una volta concluso il motivo per cui sono stati rilasciati.

La domanda che qui si pone al ministro dell’Interno è la seguente: come pensa di risolvere il problema della diminuzione dei cittadini in età lavorativa, in rapido aumento nei prossimi anni, così da permettere alla macchina dello Stato sociale di continuare a pagare le pensioni a fronte della perdita di una fetta importante di lavoratori attivi?

Il Decreto sicurezza non prevede nessuna novità in materia di riforma del Testo unico sull’immigrazione; non prevede, ad esempio, l’eventuale possibilità per uno straniero di entrare in Italia in età adulta per cercarsi un lavoro e così contrastare il calo dei lavoratori previsto per i prossimi decenni. Secondo i dati dell’Osservatorio sui conti pubblici, infatti, nei prossimi trent’anni le persone anziane di nazionalità italiana che dovranno essere sostenute da 100 persone in età lavorativa saliranno dalle attuali 37 a 62, che tenuto conto del calo delle nascite in Italia significa, in assenza di nuovi cittadini, l’impossibilità del vigente sistema pensionistico di sopravvivere alle condizioni attuali.

Riteniamo insufficiente la risposta che il ministro dell’Interno ha dato in più occasioni, affermando che desidera un paese dove le famiglie italiane siano incoraggiate a fare più figli, perché è una strada che non trova un reale riscontro matematico. Se, infatti, da oggi magicamente tutte le famiglie raddoppiassero il numero dei figli, il riflesso sulla popolazione in età lavorativa lo si avrebbe soltanto tra più di vent’anni. Come pensa quindi il Governo di far fronte al calo demografico, e alla sostenibilità del sistema pensionistico, nel medio periodo? Stante il DL 113/2018, così come è scritto, è urgente e importante una risposta credibile dal ministro dell’Interno.

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Un commento

  1. Roberto Mela 11 novembre 2018

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