Spagna: l’ETA consegna le armi

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Il gruppo armato ETA il 17 marzo annuncia il disarmo unilaterale e incondizionato per l’8 aprile. Non è ancora dato di sapere in che cosa consiste il suo arsenale né dove sia collocato. Non colpisce da cinque anni, ma in questi 50 anni la «banda» – così viene chiamata nei Paesi Baschi – ha compiuto 856 assassini e fatto innumerevoli feriti.

I tre vescovi dei Paesi Baschi, con il “piano” Pace e riconciliazione, presentato il 28 marzo a Vitoria, invitano i cittadini alla riconciliazione e al perdono. Percorso non certo facile. Se le armi vengono consegnate, non è detto – osserva l’editoriale di Vida Nueva n. 3.030 – che si abbassi d’un colpo l’ostilità per lasciare posto alla riconciliazione, nonostante gli sforzi e i gesti che la cittadinanza basca ha compiuto in questi cinque anni da quando è stato proclamato il cessate il fuoco, il 20 ottobre 2011.

Gli fa eco il noto sociologo Javier Elzo, che ha di recente pubblicato un libro sull’ETA. Nel suo apporto al dossier di Vida Nueva sulla consegna delle armi e la fine dell’ETA, cita l’espressione di José Maria Tojeira, provinciale dei gesuiti in El Salvador nel 1989,  quando il 19 novembre avvenne il massacro di sei gesuiti, la cuoca e sua figlia di 16 anni a opera dell’esercito e degli squadroni della morte: è il tempo della verità, della giustizia e del perdono. Elzo vi aggiunge: della memoria e della storia. La memoria, «dovuta» a coloro che hanno sofferto, e la storia di quanto è avvenuto. Perché «rappacificare» non significa far cadere il silenzio e ignorare la sofferenza, nascondendo le vergogne sotto il tappeto. Restano le piaghe provocate dalla storia: bisogna riconoscerle e curarle.

Giudizi sui fatti che hanno insanguinato la Spagna ad opera dell’ETA già vengono da entrambe le parti: dalla ex banda armata e dallo Stato, non immune da repressioni violente e da detenzioni carcerarie inumane.

L’editoriale di Vida Nueva chiama in causa anche la Chiesa che non seppe sempre dare una risposta evangelica. Oggi è chiamata a iniziative di misericordia, ad azioni di pentimento e di riparazione. Una cultura dell’incontro che va portata nelle diocesi, nelle parrocchie, nei collegi, nelle associazioni e nei movimenti.

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