Umbria, cuore verde-Lega

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La vittoria schiacciante del centrodestra a trazione Salvini in Umbria, cuore verde d’Italia, era largamente prevista e attesa. Sia perché esso aveva già conquistato i principali Comuni della regione, sia perché i rapporti di forza si erano già misurati alle elezioni europee, sia perché le elezioni umbre facevano seguito allo scioglimento anticipato della legislatura regionale a seguito dello scandalo nella sanità che aveva investito la presidenza a guida Pd.

Il rilievo del test elettorale

E tuttavia il risultato, nonostante si tratti di una piccola regione, assume un rilievo nazionale. Per più ragioni.

In primo luogo, perché esso cade a valle dell’avvicendamento delle maggioranze nel governo nazionale e dunque gli osservatori, forse esagerando un po’, cioè sopravvalutando le dimensioni del test e sottovalutando le peculiarità del caso umbro, lo hanno interpretato come un primo giudizio degli elettori sul gradimento del governo Conte 2. E, rispettivamente, come la rivincita di Salvini dopo lo smacco subìto nello scorso agosto quando, al governo gialloverde da lui egemonizzato, è subentrato l’esecutivo giallorosso, originato da una sua mossa rivelatasi avventata e autolesionista.

In secondo luogo, il rilievo nazionale assegnato al voto umbro è da ascrivere all’esperimento concepito da Pd e 5stelle di un’alleanza elettorale a sostegno di un candidato civico da riproporre eventualmente nelle prossime competizioni regionali (Emilia, Calabria, Toscana, Marche, Puglia…..). Cioè per testare l’idea, esplicita per Zingaretti, più incerta per Di Maio, di far evolvere l’improvvisata ed emergenziale coalizione nazionale in un’alleanza politica di portata strategica, orientata a prospettare un nuovo bipolarismo imperniato su un centrosinistra duale sull’asse Pd-M5s capace di competere con una destra a guida Salvini oggi manifestamente maggioritaria. Evidentemente, l’esperimento non ha funzionato. Per molte ragioni, che qui non possiamo esaminare.

Dobbiamo invece ragionare sugli effetti. Molteplici: l’indebolimento della figura del premier, bon gré mal gré, coinvolto nella bruciante sconfitta; l’impatto sui 5stelle e il loro mondo in ebollizione, al vertice e alla base e, in particolare, l’ulteriore logoramento della già vacillante leadership di Di Maio; lo smacco per Zingaretti, di tutti il più determinato a conferire carattere strategico all’alleanza con i 5stelle, ma incalzato da fuori da Renzi e – non è un mistero – da ex (?) renziani tuttora presenti e organizzati nel Pd, scettici sulla linea del segretario.

Fibrillazioni

Non è difficile prevedere che tali tensioni interne alla maggioranza giallorossa si faranno sentire da subito, nell’imminente passaggio parlamentare della legge di stabilità. Cioè su un governo che, anche per i tempi e i modi della sua genesi, non vanta basi solide ed è tuttora privo di un’anima e di un orizzonte politico.

È dunque da temere che riprenda, forse più acuta di prima, la dialettica interna alla maggioranza, il gioco dei posizionamenti, la ricerca spesso artificiosa della visibilità dei quattro partiti che sostengono il governo.

Esso – inutile nasconderlo – si è formato per una sola, decisiva ragione: scongiurare elezioni che, con buona probabilità, avrebbero consegnato il paese a Salvini. E cioè il governo e il parlamento che avrebbe eletto il nuovo capo dello Stato di qui a un paio d’anni. Una motivazione forte – si vedano anche il ripristino di un buon rapporto con le istituzioni della UE e la positiva reazione dei mercati – e tuttavia insufficiente a dare respiro a un governo proiettato verso la fine della legislatura.

Solo una visione comune ai partner di governo può assicurare qualità alla sua azione, attrarre progressivamente consensi, contenere la competizione/conflittualità interna e, ripeto, porre le basi di un nuovo, sano bipolarismo.

Le democrazie mature si nutrono di una fisiologica competizione tra offerte politiche e di governo tra loro alternative. Se cioè respirano con due polmoni. La destra, pur attraversata da una qualche dialettica interna tra sovranisti (dominanti) e moderati (minoritari, nel tramonto di FI), è avanti nel processo di stabilizzazione, anche a motivo di una leadership oggi indiscussa; per converso, il centrosinistra è decisamente in ritardo.

Il Conte 2 ha un senso e chances di durata solo se pensa (e pratica) se stesso come laboratorio di una proposta e di un fronte alternativo a una destra altrimenti vincente e senza competitor.

Ha ragione Gofferdo Bettini, consigliere di Zingaretti: è sconcertante il primo compiaciuto commento di Renzi alla debacle umbra, dalla quale egli si è tenuto opportunisticamente lontano (come se bastasse…): a suo dire, esso spianerebbe la strada a Italia viva. Difficile (o forse no) comprendere la logica di chi rivendica di avere stoppato l’ascesa di Salvini la scorsa estate e poi, con la sua quotidiana azione di logoramento del governo Conte 2, oggettivamente avvantaggia il leader leghista.

Qualcuno si è chiesto perché mai Salvini, titolare di un consenso sette-otto volte superiore a quello accreditato a Renzi dai sondaggi, contro ogni consuetudine, abbia accettato di ingaggiare con lui una seguitissima sfida tv, facendogli chiaramente un favore. Forse appunto perché il giovane ex premier, in questa fase, gli rende un buon servizio.

Un chiarimento contro ogni ambiguità

In sintesi, procedendo così, all’insegna di un’endemica conflittualità interna, la maggioranza e il governo non possono andare avanti. Urge un chiarimento tra i partiti e dentro di essi. Il Pd deve confermare o revocare (ma quale l’alternativa?) la prospettiva strategica del rapporto con i 5stelle attraverso un passaggio di portata congressuale che ponga fine a incertezze e ambiguità, a cominciare da quelle coltivate da chi non ha lasciato il Pd ma mostra di pensarla come chi ha seguito Renzi.

Il M5s, la forza più di tutte sconfitta, non può reiterare la furbesca teoria – un tempo utile nella raccolta del consenso ma che alla lunga non regge – secondo la quale destra e sinistra pari sono, nonché trascinarsi il nodo irrisolto della guida del movimento e della opacità delle sue dinamiche interne.

Italia viva deve, a sua volta, porre fine al tatticismo/opportunismo di chi fa dentro e fuori dalla maggioranza e, sotto il profilo politico-identitario, parlare chiaro: quale la sua traiettoria? quella di una formazione centrista nel quadro di un nuovo centrosinistra? quella di un partito che possa fare da ago della bilancia, alleandosi indipendentemente con la destra o con la sinistra? quello di una sorta di FI. 02, che erediti voti e posizionamento politico che furono di Berlusconi, candidandosi a egemonizzare un centrodestra desalinizzato (inverando la profezia di Giuliano Ferrara su Renzi “royal baby” del Cavaliere)?

Insomma, senza un chiarimento operato con trasparenza, attraverso una discussione pubblica impegnativa (un tempo si sarebbero fatti congressi di partito), le forze di maggioranza (parlamentare) non possono andare avanti. Meglio allora le elezioni che, a un certo punto, quando la confusione e le opache manovre la fanno da padrone, sono pur sempre una misura di “igiene politica”.

E comunque, così procedendo, tra diffidenze e litigi, alle elezioni ci si va, volenti o nolenti. In tal caso, sarebbe bene andarci preparati, mettendo i cittadini elettori di fronte a scelte chiare e leggibili. Una lenta agonia del governo nuoce al paese e alle stesse forze che, a parole, lo sostengono.

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