Verso le amministrative: incognita Cinquestelle

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Movimento Cinquestelle

Movimento Cinquestelle

Una ricognizione alla vigilia delle “amministrative” di mezzo termine offre un panorama con poche certezze e molte incognite.

La prima certezza – ma probabilmente è l’unica – consiste nell’avvenuto superamento della tendenza bipolare tipica della “seconda repubblica”. Dal 2013 i ceppi politico-elettorali in lizza sono diventati tre e non è detto che la nuova legge elettorale riesca a riportarli a due. In ogni caso, conviene considerarli singolarmente dato che le loro tensioni interne influenzano e condizionano i loro rapporti con il… resto del mondo. Cominciando, nelle note che seguono, con il Movimento5stelle, l’aggregato “nuovo” che si ispira ai dettami di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio.

Nel prossimo voto esso è chiamato a verificare se, al tetto del 25% raggiunto nelle elezioni generali del 2013, corrisponde o meno un radicamento equivalente, cioè esteso e stabile, nelle comunità locali. I sondaggi danno l’immagine di un soggetto saldamente insediato sul secondo gradino del podio nazionale, ma non certificano che altrettanto avvenga nelle periferie consultate. E, se è vero che in alcuni casi, come quello della Capitale disastrata del dopo-Marino, si realizza il traino di una candidatura ritenuta competitiva, è altrettanto vero che il fenomeno non si riproduce altrove. Anzi.

Il “metodo Condorcet”

Due episodi intriganti hanno segnato la fase della fabbricazione delle liste locali. Quello delle città-capoluogo, in cui l’autorità suprema (l’entità decisoria di ultima istanza) ha vietato la partecipazione alle elezioni: Rimini, Ravenna, Latina, Caserta e Salerno. Non sono realtà di poco conto; e, se un soggetto a vocazione nazionale si è risolto ad operare tagli così netti, delle due l’una: o ha constatato una condizione di estrema debolezza, tale da sconsigliare ogni partecipazione, oppure ha dovuto registrare insanabili dissidi tali da dissuadere il detentore del marchio (prerogativa monocratica di Grillo) dal concederne l’uso.

Ma anche là dove i candidati sono stati presentati – ed è il secondo episodio – le cose non sono andate sempre bene. A Torino tutto s’è svolto senza intoppi, ma a Napoli s’è dovuto ricorrere ad un candidato… lombardo, sia pure coniugalmente accreditato in loco.

A Milano poi c’è stato un vero e proprio rovesciamento del risultato del voto con l’esclusione del primo eletto (una signora giudicata inadatta) e la lievitazione del secondo.

Il caso milanese è interessante perché i responsabili locali avevano ritenuto di avvalersi, nella circostanza, del “metodo Condorcet” col quale i votanti assegnano ai candidati una precisa posizione in ordine di preferenza. Ma l’aver scomodato un famoso matematico del Settecento non è bastato a scongiurare la… volontaria rinuncia della vincitrice.

La critica che la base da tempo esercita a proposito dell’inaffidabilità dei meccanismi di selezione dei candidati attraverso il voto elettronico dei meet-up dovrà esplorare vie nuove e diverse. Magari scoprendo le detestate “primarie”.

La “suprema autorità”

Ma, per chi osserva le cose da fuori, c’è un punto da mettere a fuoco. Può una forza politica, che ha già i numeri per proporsi come guida del paese, mantenere il proprio ordinamento entro uno schema che potrebbe definirsi, indifferentemente, come feudale, o di “centralismo democratico”, o essere accostato a quei regimi in cui esiste una “suprema autorità” che sovrasta ogni espressione liberale dell’autonomia dei singoli e dei gruppi?

Chi abbia la pazienza di inserirsi in quel forum permanente che si svolge sui “social” della rete (e che non sempre è solo chiacchiericcio), si rende conto che la questione è assai sentita alla base. Dove non si sopporta di essere chiamati (dagli avversari) come “robot a cinquestelle”; e dove non si reputano sufficienti gli aggiustamenti che hanno portato a togliere il nome di Grillo dal simbolo e a insediare per gli ambiti parlamentari un “direttorio” che però esercita una sovranità assai limitata.

Ci si chiede, tra l’altro, come si farà a designare i ministri in caso di andata al governo: si dovrà chiedere al Capo dello Stato di aspettare il placet dei “superiori”?

La speranza coltivata ad inizio legislatura di una progressiva emancipazione del movimento dalla propria gabbia autarchica non pare comunque destinata ad avverarsi a breve. Domina ancora l’idea di aprire il Parlamento «come una scatola di tonno» e ci si comporta di conseguenza, senza neppure graduare gli obiettivi e misurare gli effetti delle tattiche adottate.

Per ogni screzio di condominio si ricorre alla.. bomba atomica, cioè si chiedono le dimissioni o di un ministro o dell’intero esecutivo. Si ricalca in tal modo il comportamento dei primi movimenti socialisti i quali ritenevano che il parlamento andava “usato” come luogo in cui fare propaganda. Con gli effetti che si moltiplicano quando c’è la diretta televisiva.

Semmai, qualche segnale di maggiore flessibilità si può rinvenire nella disponibilità manifestata, pur con molte contraddizioni, sui temi delle unioni di fatto; ma non sai se si tratta di scelte ponderate o di adattamenti corrispondenti a esigenze del momento.

Informatica e politica

Sono limiti che ognuno può constatare e che vanno a sommarsi ai dubbi e alle incognite che circondano, e non solo in Italia, le potenzialità… eversive dell’informatica applicata alla politica. «Quando ho scoperto che la gente crede più in ciò che dice Internet che nella realtà, ho capito che avevo il potere di farle credere qualsiasi cosa», ha detto un hacker sudamericano, vantandosi di aver manipolato le elezioni in Messico.

Sia pure senza enfasi, le stesse opinioni circolano anche da noi. La prospettiva è quella di uno scontro dall’esito non scontato.

Abbozzando ora una sintesi provvisoria a proposito del movimento grillino si può sostenere che esso non si accredita per la propria diversità proclamata (“uno vale uno”, democrazia diretta, selezione informatica “oggettiva”); ché, anzi, proprio su questi temi, oltre le smentite dei fatti, si accentuano le perplessità e i dubbi degli interlocutori e degli stessi attivisti.

Il credito del movimento è da collegarsi invece ad una diversità percepita tra gli elettori in termini comparativi con gli altri soggetti politici in campo: il Pd e la galassia delle destre. Della serie: i “Cinquestelle” avranno pure dei difetti ma sono meglio degli altri e comunque esprimono una spinta «per mandare a casa questi politici ladri e disonesti», come si legge in un blog toscano.

Se quest’opinione è fondata, non basta denunciare le carenze democratiche del movimento e metterne in luce l’insidia; o, peggio, dichiarare lo stato d’assedio ogni volta che da quella sponda si avvia un’iniziativa di propaganda. Bisogna contrastare il credito là dove esso si registra e si percepisce. Vuol dire, in volgare, essere dovunque meno ladri e più onesti.

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