Amatissimo maestro scomodo

di:

Don Milani

Attualità viva ma non sorprendente di don Lorenzo Milani a mezzo secolo dalla morte: egli è stato sempre qua, da allora ad oggi. Ed è cosa buona che un papa venuto dalla fine del mondo infine gli abbia reso merito e che sia caduta la proibizione vaticana di diffondere il suo testo principe, Esperienze pastorali, che comunque non era affatto scomparso dalla circolazione, come non si era eclissato nessuno dei suoi scritti maggiori. Se ce ne fosse bisogno questo profilo di Pacifico Cristofanelli, pubblicato nel 1975 e ora riproposto con puntuale aggiornamento, sarebbe un’ottima attestazione di quella perdurante presenza.

Non ho conosciuto don Milani da vivo ma la sua viva parola era già con me al momento della morte. A rimedio della mancata conoscenza a un anno dalla sua partenza sono salito a Barbiana a vedere il luogo della scuola e la tomba, in una specie di pellegrinaggio della FUCI nella quale militavo, come allora si diceva.

Noi fucini eravamo affascinati dalla diversità di don Milani rispetto a ogni altra nostra frequentazione in quegli anni inquieti del primo dopo Concilio. Non parlava mai del Vaticano II, il suo linguaggio restava tridentino, tutto legato al tema del peccato, dei sacramenti, della vita eterna. Ma la sua lotta a fianco dei poveri, la sua rivendicazione del primato della coscienza, la sua libertà di parola ci travolgevano. Quelli di noi che hanno coltivato la vocazione all’insegnamento hanno continuato ad averlo – nei decenni – come amatissimo maestro scomodo.

Riprendendo oggi in mano i suoi testi, colpisce a ogni pagina la parziale ma provocante somiglianza a papa Francesco. Una somiglianza che ci aiuta a intendere come venisse da lontano e avesse la forza per andare al largo quella sua tenace identità di prete in talare, tradizionale e rivoluzionaria a un tempo. Proprio come oggi ci sorprende, antica e nuova, la «indifferenza» ignaziana del papa gesuita.

Li avvicina la severità della vita, l’avversione alle vacanze, il primato dell’impegno educativo. «Il sapere serve solo per darlo», diceva don Milani; «Il sale della vita cristiana è per offrirlo», dice Francesco. Li accomuna l’anti-intellettualismo. «Il mondo ingiusto l’hanno da raddrizzare i poveri», affermava il priore di Barbiana. «I poveri vogliono essere protagonisti», sentenzia Francesco. «Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola», diceva l’uno. «È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri», proclama l’altro. «Non dobbiamo aver paura di sporcarci», dice il primo e l’altro: «È difficile fare del bene senza sporcarsi le mani».

Li unisce la scelta dei poveri. Don Milani non usa questa espressione ma ne ha un’altra equivalente: «A venti anni decisi di stare con i poveri». La parola Vangelo li calamita entrambi e le pagine che ambedue citano più di frequente sono le «Beatitudini» e la «Parabola del Giudizio» di Matteo 25.

Appare dunque ragionevole che il superamento tardivo della censura ecclesiastica di Esperienze pastorali sia avvenuto anche per interessamento del papa delle periferie.

Nel novembre del 2013 il cardinale Giuseppe Betori arcivescovo di Firenze invia al papa una documentazione sulla vicenda di quel volume ancora «sotto la proibizione di stampa e di diffusione». Francesco passa il dossier alla Congregazione per la dottrina della fede e questa comunica al cardinale che «non c’è stato mai nessun decreto di condanna». Ci fu soltanto «una comunicazione all’arcivescovo di Firenze nella quale si suggeriva di ritirare dal commercio il libro e di non ristamparlo o tradurlo». Ma oggi «le circostanze sono mutate e pertanto quell’intervento non ha più ragione di sussistere». Conviene dunque «riprendere in mano» il volume e «confrontarsi» con esso, conclude il cardinale in un’intervista dell’aprile 2014 a Toscana Oggi.

Verrebbe da osservare che confrontarsi con Esperienze pastorali sarebbe stato provvidenziale nel 1957, quando il volume fu pubblicato e ritirato, ma oggi è forse un’operazione accademica. Il senatore Pietro Ichino (discepolo laico di don Milani) ha raccontato il 18 aprile 2014 sul Corriere della sera l’influenza che esercitò su di lui, nella prima giovinezza, don Milani, spesso ospite in casa Ichino a Milano, e ha concluso così la rievocazione della «reticente» correzione ecclesiastica della messa al bando di Esperienze pastorali: «Spero che da papa Francesco, maestro di umiltà per la Chiesa, venga il riconoscimento esplicito che la condanna di allora fu un grave errore». Quel riconoscimento non è venuto, ma Francesco una volta ha ricordato don Milani come «un grande educatore italiano» (10 maggio 2014): parole nelle quali è implicita l’ammissione dell’errore.

Del resto la consapevolezza di quell’errore era stata vasta e precoce nella comunità cattolica italiana, pur nel silenzio ufficiale. Arturo Carlo Jemolo in un articolo per La Stampa del 17 maggio 1972 si doleva che «la Chiesa non abbia certi ardimenti» e perda «per eccesso di prudenza» l’occasione di utilizzare i suoi «uomini migliori»: e tra i non utilizzati citava Buonaiuti, Dossetti, don Milani.

Riconosciuto, o mezzo riconosciuto l’errore, chiarito che i conti con don Milani li abbiamo comunque fatti e che tante sue parole sono diventate nostre, possiamo concludere che tutto è pacifico con l’ascolto della sua lezione? Che garanzie abbiamo, cinquant’anni dopo, di leggerlo senza interpretarlo male due volte per pagina? Segnalo il volume di Cristofanelli come una guida efficace a non mitizzare il personaggio don Milani, che equivarrebbe a neutralizzarlo celebrativamente; avendo anzi cura di percepirne per intero la scomodità, condizione indispensabile per averlo ancora come maestro.

Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it

Il testo riprende la Prefazione firmata dall’autore per l’edizione aggiornata del volume di Pacifico Cristofanelli, Il maestro scomodo. Attualità del pensiero di don Lorenzo Milani, EDB, Bologna 2017 (1a ed. 1975).

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Un commento

  1. Patrizia Pane 20 luglio 2017

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