Anniversari: Giovanni Falcone e don Puglisi

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Il 23 maggio ricorre il 28° della strage di Capaci (Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e la sua scorta) e il 7° anniversario della beatificazione di don Pino Puglisi.

Catanzaro, 23 maggio 2020

«Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».

Per ricominciare davvero, bisogna ripartire dalle parole di san Francesco d’Assisi. Sono giorni difficili, calati in tempi impossibili: la pandemia non solo ha sconvolto le abitudini di vita dei popoli, ma ha scavato differenze ancor più profonde del solito tra chi era già ricco (e ora lo è di più), e tra chi povero era e adesso non solo lo è ancora di più, ma deve condividere questa sua condizione con molta altra gente.

È andato in crisi un sistema non solo economico e un altro nuovo ancora non si vede, e ci si trova sospesi tra il volere di chi vorrebbe (anche in fretta) tornare al passato per non cambiar nulla e di chi, invece, vorrebbe puntare su nuovi stili di vita e inediti modelli di sviluppo economici-finanziari. Nel mezzo, arranca un’umanità confusa, che sconta la preesistente carenza di valori e punti di riferimento priva com’è di una bussola che indichi la strada giusta.

Eppure, una stella brilla e, come la cometa, segnala il percorso. Se solo gli uomini accettassero, come i magi, di mettersi alla ricerca della verità, si accorgerebbero in realtà che poco o nulla c’è da inventare: dovrebbero solo cercare. Semplicemente guardando al calendario, ad esempio, ci si avvede d’una data, il 23 maggio, che molto può dire e dare. In uno stesso giorno di anni diversi, infatti, sono racchiusi il ricordo della strage di Capaci, con la mattanza del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della loro scorta, e l’anniversario della beatificazione di don Pino Puglisi. Nelle loro vite, nel loro tragico destino, ci sono il segno di una testimonianza essenziale, ma ancor più il simbolo del chicco che non muore ma, piantato nel campo della vita a generare speranza.

È evidente, palpabile: se è vero che ogni persona che passa nella nostra vita lascia qualcosa di sé portandosi un po’ di noi, è altrettanto vero che il sacrificio di quegli eroi, di quel martire, tiene ancora accesa nei cuori il desiderio di bene, di pulizia, di mitezza e di fortezza, perché inquieta, richiama ad una rinascita etica, civile e religiosa e invita a scegliere da che parte stare. Dove conducono, se non a questo, le esperienze e le storie di gente come Puglisi e Falcone, ma pure Pier Santi Mattarella, Giorgio Ambrosoli, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Paolo Borsellino, Rosario Livatino, Rocco Chinnici, Antonino Scopelliti, Lea Garofalo, giusto per citarne alcuni?

Di questi testimoni fino all’estremo, fino al sacrificio, ci si è accorti e in genere ci si accorge purtroppo soltanto al momento della barbarie, così come essi stessi si scoprono eroi senza volerlo e senza saperlo, con naturalezza, come se ciò facesse semplicemente parte della loro natura. Vissuti semplicemente e caduti sul campo con tanta dignità, sono uomini e donne da ammirare e ai quali essere grati; da imitare e, forse – nonostante il tragico destino –, anche da invidiare, perché hanno vissuto veramente.

Per tutti la loro fine è stata come una grande tragedia, ma non una sconfitta. Non a caso essi giganteggiano nel tempo sui pigmei che li hanno uccisi e la loro vita è ormai un patrimonio di bellezza per chiunque voglia cambiare e sognare.

Non c’è nulla da inventare: basta guardarsi dentro. Come scriveva Italo Calvino, «tutto è già cominciato prima: la prima riga della prima pagina di ogni racconto si riferisce a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro».

  • Vincenzo Bertolone è arcivescovo di Catanzaro-Squillace.
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