Caffarra: una memoria plurale

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Asprezze, sofferenze e serenità dei ricordi. In morte del card. Carlo Caffarra (1° giugno 1938 – 6 settembre 2017) la pacificazione e la cordialità della memoria sono stati i toni largamente prevalenti.

Negli ambienti tradizionalisti non mancano denunce di imminenti derive apocalittiche, paventate e denunciate dall’arcivescovo emerito di Bologna. Nelle memorie degli anni Ottanta la sua figura di moralista era avvicinata al sodalitium pianum dei denunciatori anti-modernisti dell’inizio del Novecento e il blocco della teologia morale come definitiva attestazione dello «scisma sommerso» che interrompeva ogni continuità fra morale cattolica e prassi familiari dei credenti.

Amori e “dubia”

Su queste pagine è apparsa l’omelia di mons. Matteo Zuppi in occasione delle esequie (Carlo Caffarra: vescovo e maestro). Un testo carico di affetto e di rispetto per il suo predecessore (2003-2015) che interpreta al meglio e con autorevolezza ecclesiale sia la figura personale, la fede testimoniata, sia il suo servizio pastorale nella Chiesa di Bologna. «Ringraziamo di cuore il cardinale per come ha vissuto i suoi tre amori – i sacerdoti, le famiglie, i giovani – e come ha coinvolto tanti per questi». Mons. Zuppi aggiunge: l’imperativo della ricerca di una verità da onorare senza calcoli umani, la cristallina chiarezza dei suoi insegnamenti, la paternità e la cordialità pastorale del suo ministero.

Nei media sia locali sia nazionali viene tuttavia ripreso il suo intervento critico verso l’esortazione apostolica postsinodale di papa Francesco, Amoris laetitia: la lettera con in cinque dubia (dubbi), indirizzata al pontefice, resa nota nel novembre 2016 e sottoscritta da lui e da altri tre cardinali (W. Brandmüller, R.L. Burke, J. Meisner). Tutta concentrata sulla continuità o meno con il magistero precedente relativamente alla pratica della possibile riammissione all’eucaristia dei divorziati risposati e alla sussistenza di norme morali assolute, valide senza eccezione. Una vistosa distanza dal pontefice che il cardinale ha sempre fortemente negata, espressiva di una ricerca teologica e pastorale ancora da perfezionare.

Come ha notato F. D’Agostino: «È opportuno ricondurre questi dubia a una personalità didatticamente e teologicamente forte, che chiede, per essere giudicata adeguatamente, un’attenzione che merita pazienti e accorte elaborazioni, che richiederanno tempi non brevi» (Avvenire, 8 settembre).

La linea pastorale

Diverso il tono degli ambienti tradizionalisti che affidano al cardinale la memoria di un intervento di suor Lucia di Fatima che lo ammoniva dello scontro finale fra Satana e il Signore sul tema della famiglia e del matrimonio. Ai loro occhi sono l’intera economia sacramentale e la dottrina tradizionale a vacillare. La barbarie della disumanità svuota di senso parole come amore e responsabilità. Denunciano la pavidità di vescovi e cardinali che non si sono ribellati alle conclusioni del Sinodo. Persino l’ultimo abbraccio col papa in visita alla diocesi di Carpi (2 aprile 2017) è visto come uno scontro di sguardi e una distanza nel dialogo alla mensa.

Del tutto ignorata è la storia della sua azione pastorale in diocesi: dal congresso eucaristico alle visite alle parrocchie, dalle lettere pastorali alle «tre giorni» del clero, dall’attività del consiglio presbiterale alla (scarsa) attenzione a quello pastorale. Rimosso lo sforzo del «piccolo sinodo della montagna» e l’indirizzo per una «pastorale integrata», come anche l’impegno ad usare parte delle risorse della cospicua eredità Faac per le famiglie in difficoltà.

Segnali di una sofferenza più vera e nascosta sono stati il documento di alcuni preti nel 2015 per una nuova stagione del clero e della Chiesa locale, come anche alcuni interventi nella recente «tre giorni» del clero. Un prete anziano, dopo l’intervento del card. G. Bassetti, ha ricordato la lunga stagione in cui era censurata l’idea di «popolo di Dio» (card. Biffi) e la scarsa sinodalità esperita dal successore.

Il nuovo respiro e la condivisa percezione di libertà portati dall’attuale arcivescovo rompe la sclerosi di una tradizione senza forza e la memoria preziosa, ma anchilosata, di un passato conciliare glorioso.

Polemiche del passato

La diversità delle memorie facilita la riemersione di uno scontro non meno aspro sui temi della morale familiare e in particolare sui mezzi anticoncezionali (in relazione alla recezione dell’Humanae vitae durante il pontificato di Giovanni Paolo II) che ha visto l’allora teologo Caffarra al centro di aspre divergenze.

Riprendo quello che Bernard Häring scriveva su Il Regno (15 gennaio 1989): «Quanto colpisce non è tanto una teologia intollerante e sorprendentemente semplificatrice, bensì il fatto che egli (Caffarra) si ponga in modo consapevole come difensore in prima linea dell’ortodossia della fede e dell’adesione al papato. Egli è sempre stato indiscreto – come è noto a Roma – e ha dimostrativamente conclamato in vari modi il proprio influsso sul regnante pontefice». «Ciò che più colpisce nella situazione presente è il fatto che gli esponenti intransigenti della linea più rigorosa si ritengano come gli unici affidabili. Io stesso ho visto un elenco di tali affidabili che circola in Vaticano. Hanno forse la pretesa di essere gli unici sicuri depositari della fiducia del papa?».

Il ritardo della ricerca teologica morale è diventato evidente proprio nella recezione dell’Amoris laetitia oltre che nel vissuto del popolo di Dio, ma la responsabilità è evidentemente più diffusa. A testimonianza della signorilità del vescovo Caffarra, ricordo l’incontro che, poche settimana dopo il suo ingresso a Bologna, fece con i padri del Centro Dehoniano. Non una parola su quelle polemiche, ma piuttosto un atteggiamento positivo e di incoraggiamento per la narrazione del farsi della tradizione ecclesiale cercata e perseguita.

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