Con disciplina e onore

di:

serianni

In tanti siamo stati toccati dalla notizia della morte del professor Serianni, e non solo per l’assurda, tragica banalità delle circostanze che l’hanno provocata. In tanti. Famigliari, amici, colleghi, studenti. Ma anche chi, pur non avendolo conosciuto di persona, l’ha potuto incontrare, apprezzare e stimare, nel proprio percorso di studi o nella propria professione di insegnante, attraverso i suoi manuali di linguistica e di grammatica italiana, i suoi saggi, le sue conferenze, le sue lezioni e i suoi interventi online.

Appena saputo della sua morte, sono andata a recuperare dalla mia libreria «il Serianni», settecentocinquanta pagine della Grammatica italiana – Italiano comune e lingua letteraria, edizione UTET 1989, su cui avevo preparato uno dei miei esami universitari, e l’ho messo sulla scrivania. Poi ho iniziato a scorrere le pagine della rete che riportavano, innumerevoli, le attestazioni di stima e di affetto nei confronti di un uomo che per tutti è stato, più che un professore, un vero Maestro.

L’ultima lezione

Sul sito dell’Università La Sapienza di Roma, la sua Università, accanto alle parole di cordoglio della rettrice Antonella Polimeni è stato riportato il video della lezione di congedo dall’attività didattica tenuta dal professor Serianni il 14 giugno 2017.[1]

Nella lezione, dal titolo Insegnare l’italiano nell’università e nella scuola, il professor Serianni, con il suo consueto garbo e con la sua impareggiabile chiarezza, entra nel vivo di alcune importanti questioni, apparentemente tecniche e didattiche, in realtà di straordinaria portata culturale: il legame tra lingua e letteratura, l’inutilità della sindrome classificatoria fine a se stessa (il grammaticalismo) e la necessità di un impianto grammaticale come strumento critico per muoversi nel mondo, il potenziale educativo delle opere letterarie, l’importanza delle indagini lessicali ed etimologiche, l’errore non come realtà ontologica ma come realtà legata alle variabili in gioco nelle diverse situazioni linguistiche. E poi, ancora: come si costruisce una argomentazione? Quali sono le risorse espressive che possono rendere efficace il discorso? E quale può e deve essere il compito di chi insegna italiano, anche in contesti diversi dai licei, dove la materia italiano può diventare stimolo vivo ad un più ampio respiro culturale?

La lezione scorre pacata e al contempo stringente, aprendo e sviluppando riflessioni preziose per chi dell’insegnare italiano ha fatto una professione amata e appassionante.

Ma sono le battute finali a consegnarci le parole che più danno da pensare. Nell’avviarsi verso la conclusione, il professore ricorda Alberto Mario Cirese, ricercatore e studioso di antropologia a sua volta docente all’università La Sapienza. Durante la lezione di congedo dall’insegnamento attivo, Cirese – ricorda Serianni – ai ringraziamenti a persone fisiche aveva aggiunto anche un insolito ringraziamento a una persona giuridica: lo Stato. Cirese aveva ringraziato lo Stato perché gli aveva permesso di fare per quarant’anni quello che a lui piaceva di più – studiare e insegnare –, per di più pagandogli lo stipendio.

«Voi rappresentate lo Stato»

Riprendendo e postillando questa affermazione, cui in aula era seguito uno spontaneo scoppio di risa, Serianni così commentava: «lo Stato non è solo l’ente che eroga lo stipendio ai dipendenti pubblici; lo Stato è l’insieme dei cittadini; lo Stato siamo tutti noi. E, se lo Stato siamo tutti noi, proseguiva, ogni funzionario pubblico viene ad avere precise responsabilità verso quella parte di Stato che, di volta in volta, è diretta destinataria del suo lavoro: i pazienti per il medico ospedaliero, gli assistiti per l’impiegato dell’INPS, gli allievi per un insegnante».

«Cari studenti, sapete che cosa rappresentate per me? Voi rappresentate lo Stato».

Lo Stato, per un insegnante, nel concreto dell’esercizio del suo lavoro, sono gli studenti. Studenti nei confronti dei quali il professor Serianni – ricorda – ha sempre sentito il dovere di agire adempiendo al precetto costituzionale indicato dal secondo comma dell’articolo 54 della Costituzione: I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore.

Disciplina e onore. Parole così vere e così oneste sulle labbra del professor Serianni, che ha dato chiara prova di averle messe in atto e vissute in tutta la sua lunga, felice e feconda carriera di insegnante; e così stonate e fuori luogo se guardiamo all’indecoroso spettacolo offerto proprio in questi giorni da tanti, troppi cosiddetti “onorevoli” del nostro dissestato Parlamento.

Che tragica coincidenza. Ci lascia un grande maestro, che ha modellato l’intera sua esistenza sulla dedizione ai suoi studenti, a quella parte di Stato, cioè, verso la quale si è sentito chiamato a svolgere il suo dovere con disciplina e onore. Si svapora un’assemblea parlamentare, tra i giochini disonesti e disonorevoli di chi parole come “onore” e “disciplina” le sa usare solo per sciacquarsi la bocca nelle manifestazioni di pubblica retorica.

Addio, professore. Grazie per il suo esempio.

[1] https://www.uniroma1.it/it/notizia/la-sapienza-di-luca-serianni

 

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