Don Bepi Grosselli, “pezzo da Novanta”

di:
Giuseppe Grosselli

Giuseppe Grosselli, Roberta Giampiccolo, Don Bepi, una vita trentina

A quanti, alla vigilia di Natale, gli porgevano doppi auguri, don Giuseppe Grosselli – per tutti da sempre don Bepi – 90 anni il 27 dicembre rivelava come le sue preghiere fossero da sempre rivolte al Signore per tutta la grande cerchia di persone vicine e lontane.

Una confessione che potrebbe essere la sintesi di una vita di prete raccontata ora in libreria in un testo dal titolo Don Bepi, una vita trentina perché don Bepi, per così dire, «è nato» insieme al settimanale diocesano Vita Trentina che ha celebrato quest’anno i 90 anni dalla prima pubblicazione, il 23 dicembre 1926, e all’incontro con le persone, un po’ come il settimanale, ha dedicato la sua esistenza.

Una vita di prete, quella di don Bepi, che va ben al di là della cerchia delle montagne trentine: un testimone che ha attraversato la storia del Novecento, anticipando spesso il futuro. Così è stato per il suo impegno nella pastorale del lavoro, la promozione della donna nella società e nella Chiesa, l’apertura ai problemi della globalizzazione, le nuove sfide del turismo della montagna, la responsabilità per la salvaguardia del creato.

Grazie alla sensibilità di Roberta Giampiccolo – che il direttore Diego Andreatta definisce nella prefazione, una «spalla» per anni nella sua passione pastorale –, il testo racconta la vita di un prete dalla robusta tempra di montanaro, forgiato da tante difficoltà e vicende, ma che non ha mai abbandonato la sua missione, la sua fede, il suo umorismo, la sua voglia di vivere a contatto con i giovani e con tutti quanti incontra ancora oggi sulla strada (una memoria di ferro che, sollecita, accompagna la vita e gli eventi di ciascuno).

Un prete vulcanico

«Non ho potuto studiare, come volevo e quello che volevo, per qualificare il mio servizio, perché, secondo il volere dei miei capi, dovevo essere, di volta in volta, una macchina produttiva di molte attività», confessa con un po’ di nostalgia, subito allontanata «mi sono buttato a pesce e ho affrontato il rischio di farmi da solo».

Tante le figure incontrate lungo la strada, ma su tutte ricorda un’omelia del vescovo Alessandro Maria Gottardi, nel corso della celebrazione di Natale 1970 all’interno di una fabbrica a Mori: «Siamo in un’epoca storica da paragonarsi alle svolte più marcate della storia. Sono persuaso che dovremmo sviluppare di più il senso della profezia, agendo prudentemente più sull’acceleratore che sul freno. Forse occorrerà lasciar maturare assieme il frumento e la zizzania, per non affossare un movimento che può rivelarsi ricco e prezioso».

In quegli anni entra nell’Ordine dei Giornalisti fornendo contributi che sono diventanti pietre miliari per tanti giovani, talvolta una luce che rischiarava le ombre. E, oggi, dichiara senza riserve: «Vivo, felicemente, l’era responsabilizzante e liberante del Papa latino-americano-globale… nell’attesa della venuta del Grande Capo, quando “la mia tenda sarà divelta e portata lontano” (Is 38,12)».

Nato nel 1926 a Calavino, in Valle dei Laghi – papà negoziante e fotografo, mamma profuga a Mittendorf durante la Grande Guerra – cresce in parrocchia, come tutti i bambini di quegli anni in Trentino, bilanciando «i veleni della propaganda fascista». A 12 anni la decisione di entrare in seminario a Trento, poi sfollato in valle di Ledro per via della guerra. Al liceo alcuni preti che incidono il cuore e la mente, Angelo Guadagnini, Dante Clauser, Celestino Eccher, Vinicio Mussi… Ordinato nel 1950, gli affidano la guida di una classe e l’insegnamento della musica; nel frattempo segue la pastorale italiana in alcune parrocchie sudtirolesi (allora diocesi di Trento fino al Brennero) e fa anche da cappellano della comunità di profughi dall’alluvione del Polesine.

È solo l’inizio: nel 1966 diventa assistente delle Acli, ma il suo impegno a favore della promozione delle donne, non solo lavoratrici extradomestiche, nasce ancora prima. Collabora con il CIF e organizza Gruppi di fabbrica per la dignità del lavoro, in particolare quello femminile, sottopagato, ma anche gruppi di spiritualità e tante gite in montagna. L’anno successivo viene nominato delegato per la pastorale del lavoro, un settore che mons. Gottardi considerava cruciale e un incarico che terrà per trent’anni (di tutto il travaglio del Movimento, e della specificità di Trento e Bolzano, racconterà in un testo EDB intitolato «La pastorale del lavoro», 1987).

Nel frattempo segue l’Istituto superiore di Formazione Sociale, nato a Saval (Verona) per volontà della CEI e comincia a promuovere la musica e la coralità (non si contano i cori nati sotto la sua guida da quelli dei paesi fino ai Vigili Urbani di Trento e al «Bella Ciao»). Nel 1974, la Comunità dei preti operai nel quartiere di San Martino. Un cronista locale scrisse così: «Alla domenica lo ascolto: la sua predica sa di sudore, di fatica, di esperienza e giunge direttamente al cuore dei giovani». Di lì la passione per diffondere la Dottrina sociale della Chiesa, dalla Populorum  progressio in poi.

Nel 1989 diventa anche delegato per la Pastorale del Turismo, forte della sua esperienza di appassionato montanaro e dell’animazione delle Case per ferie delle Acli nelle valli di Fiemme e Fassa. «Da allora non cessai di fare “il parroco del turismo”, che vive accanto, che tira la carretta, che le inventa tutte, che sussidia e sprona, perché il fenomeno turistico possa crescere in qualità». Scrive Vademecum per turisti, illustra capitelli e chiesette alpine, anima incontri nelle vallate, reinventa le tradizioni, avvicina alla spiritualità della montagna …

Nello stesso anno, a 39 anni dall’ordinazione, corona il sogno di diventare parroco, a Montevaccino, sobborgo della collina est di Trento, una benedizione per il piccolo centro, da lui animato con la sua riconosciuta vivacità.

Neppure un intervento in cardiologia nel 2005 è riuscito a fermarlo: continua il suo lavoro nell’Ufficio di Curia in via Barbacovi, fa da cappellano ancora una volta nella parrocchia di San Martino e… nel tempo libero continua a studiare e scrivere (come la ricerca sul contributo cattolico alla resistenza in Trentino, «Fuochi accesi», Vita Trentina 2013).

Nel numero speciale dei 90 anni del Settimanale, era uno dei «Pezzi da Novanta». Sorride e confessa «Vivo la vita al rallentatore (sic!) – e non è poco – “nell’attesa della Tua venuta”, come ripeto tutti i giorni alla messa, alzando il tono della voce».

Giuseppe Grosselli, Roberta Giampiccolo, Don Bepi, una vita trentina, Edizioni Vita Trentina (settimanale diocesano), Trento 2016, pp. 120, € 9,00.

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