El Salvador: cristiane come noi

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martirio

Venerdì 2 dicembre ricorreva il 42° anniversario del martirio di quattro missionarie cattoliche americane in El Salvador: le suore di Maryknoll Maura Clarke e Ita Ford, la suora orsolina Dorothy Kazel, e Jean Donovan, missionaria laica di Maryknoll.

Il 2 dicembre 1980, Clarke e Ford stavano tornando da un incontro di Maryknoll in Nicaragua e incontrarono Kazel e Donovan all’aeroporto di San Salvador. Durante il viaggio di ritorno, furono avvicinate da membri della Guardia nazionale salvadoregna, che rapirono, violentarono e uccisero tutte e quattro. I loro corpi furono scoperti due giorni dopo in fossato.

Gli omicidi, dopo anni di crescenti violenze e violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito contro i civili nel Paese devastato dalla guerra, hanno suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica in El Salvador e negli Stati Uniti.

Col popolo, dalla parte dei poveri

Negli ultimi giorni del suo mandato, il presidente Jimmy Carter sospese tutti gli aiuti economici e militari al governo di El Salvador, che da anni combatteva con armi americane pagate con dollari americani.

Poiché molti sacerdoti, suore e missionari laici erano sostenitori dei poveri in El Salvador e critici nei confronti del governo, furono visti come nemici politici dai gruppi di destra e dai sostenitori del governo; uno slogan militare che circolava all’epoca era “haz patria, mata un cura” – “sii patriota, uccidi un prete”.

Sebbene il governo salvadoregno sostenesse che la colpa fosse degli estremisti di destra, i membri della Guardia nazionale salvadoregna furono in seguito condannati per il crimine, mentre si diffuse l’ipotesi che l’attacco fosse stato ordinato da figure di alto livello dell’esercito salvadoregno.

Nel 1993, un rapporto della Commissione per la Verità delle Nazioni Unite ha concluso che Carlos Eugenio Vides Casanova, direttore della Guardia Nazionale nel 1980, e José Guillermo García, ministro della Difesa nel 1980, avevano organizzato una copertura ufficiale del coinvolgimento del governo negli omicidi.

“El Salvador era diventato un luogo molto pericoloso per essere missionari”, ha scritto Margaret Swedish in un saggio del 2020 per America. “La repressione da parte dell’esercito e dei suoi squadroni della morte paramilitari alleati era diventata selvaggia e diffusa nel 1980. Gli attivisti studenteschi, quelli per i diritti umani, gli organizzatori del lavoro e dei campesinos e i leader dell’opposizione politica erano tutti presi di mira.

I corpi venivano ritrovati nei fossati lungo i bordi delle strade, nelle discariche o galleggiavano nei fiumi, spesso con i pollici legati dietro la schiena. Catechisti, missionari laici, sacerdoti e altri operatori pastorali venivano minacciati e uccisi”.

Swedish ha scelto una citazione dalle lettere delle quattro donne, tutte missionarie con lunga esperienza, per mostrare che in qualche modo conoscevano il pericolo che le attendeva, ma la loro fede e il loro impegno le hanno spinte a rimanere comunque in El Salvador: “Se li abbandoniamo quando soffrono la croce, come possiamo parlare in modo credibile della risurrezione?” (Maura Clarke). “La maggior parte di noi sente che vorrebbe rimanere qui… Non vorremmo abbandonare la gente” (Dorothy Kazel). “Più volte ho deciso di lasciare El Salvador. Potrei quasi farlo, se non fosse per i bambini” (Jean Donovan). “Credo davvero che dovrei essere qui, e non so nemmeno dirvi perché… Tutto ciò che posso condividere con voi è che la presenza palpabile di Dio non è mai stata così reale” (Ita Ford).

Collusioni americane

Il governo salvadoregno aveva però i suoi sostenitori negli Stati Uniti, che non vedevano l’ora di coprire i responsabili. Jeane J. Kirkpatrick, che presto sarebbe diventata ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite sotto il neoeletto Ronald Reagan, sostenne che “queste suore non erano solo suore, erano attiviste politiche”.

Un anno dopo, il Segretario di Stato americano Alexander Haig affermò, in una testimonianza davanti alla Commissione Affari Esteri della Camera, che le quattro donne avevano cercato di superare un posto di blocco ed erano state uccise in una sparatoria.

Dopo il ritrovamento dei corpi delle quattro religiose, la redazione di America reagì rapidamente, scrivendo in un editoriale del 20 dicembre 1980 che, mentre alcuni elementi della Chiesa latinoamericana avevano criticato “l’eccessivo coinvolgimento politico” di sacerdoti e suore, “le quattro donne la cui vita è stata brutalmente tolta in un vile attacco su una strada controllata da posti di blocco governativi non potrebbero essere definite sovversive politiche nemmeno dal più ostinato dei reazionari”.

Le quattro donne, scriveva la redazione, “erano impegnate nel più antico dei ministeri cristiani, dare da mangiare agli affamati e prendersi cura dei senzatetto, in questo caso le migliaia di contadini sradicati dalle loro case dagli aspri combattimenti che hanno imperversato in El Salvador nell’ultimo anno”.

Il loro lavoro e la loro vita sono stati una testimonianza del Vangelo, e nella morte “si sono uniti all’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero di San Salvador e ad altri sacerdoti e leader di comunità cristiane la cui preoccupazione per i senza potere è stata, come il Vangelo stesso, un segno di contraddizione per i potenti, e di conseguenza hanno sigillato con il loro sangue il loro impegno per i poveri di Gesù Cristo”.

Negli anni successivi sono stati scritti numerosi libri sulle quattro martiri e il luogo del ritrovamento dei loro corpi (ora segnato da un semplice memoriale) rimane meta di pellegrinaggio per salvadoregni e stranieri.

Donne vicino a noi

In una recensione su America nel 2016 della biografia di Maura Clarke scritta da Eileen Markey (A Radical Faith: The Assassination of Sister Maura), Elizabeth Kirkland Cahill ha osservato che i martiri moderni come queste quattro donne di Chiesa ci offrono esempi di persone che possono sembrare proprio come noi; nella maggior parte dei casi questi martiri erano cresciuti in comunità riconoscibili dalla maggior parte degli americani.

Markey, nel suo libro, “riesce brillantemente a trasformare la martire Maura, simbolo del massimo impegno cristiano, in un essere umano riconoscibile, incarnato, immediato e sorprendente nella sua individualità. E così facendo, Markey ci apre ogni sorta di possibilità. Perché se Maura, la martire, è come noi – imperfetta, assetata di Dio, che risponde alle sfide del suo tempo e del suo luogo come meglio può – allora forse noi possiamo essere come Maura”.

“Desidero ardentemente che una generazione più giovane conosca la loro storia perché esprime un filo storico che attraversa la nostra storia fino ad oggi” – ha scritto Swedish. “Una storia che è presente sul nostro confine meridionale, dove centinaia di centroamericani languono nella miseria perché ci rifiutiamo di aprire loro il nostro confine e nell’aumento del sentimento anti-immigrati degli ultimi anni”.

In una messa commemorativa a Roma nel 40° anniversario del martirio delle quattro donne, il 2 dicembre 2020, il card. Michael Czerny ha osservato che, anche nella morte, gli sforzi di evangelizzazione delle quattro donne sono continuati. “Il loro, misteriosamente ma senza dubbio, è il trionfo, perché atti vigorosi e coraggiosi di solidarietà e di compassione persistono in condizioni terribili e rischiose. Le rivendicazioni brutali non sono riuscite e non riescono a fermare l’evangelizzazione”.

  • Pubblicato sulla rivista dei gesuiti statunitensi America.
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