Il giudice Livatino e mamma Rosalia

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8 maggio 1978, festa della mamma

Nel corso del mese mariano, una delle feste più sentite è quella della mamma, che ci fa associare la madre terrena a quella celeste. Del resto, i titoli più frequenti delle Litanie lauretane sono, appunto, quelli di “Madre” (oltre che di “Vergine” e “Regina”). Mater Misericordiae e Mater Spei sono anche due delle tre nuove invocazioni inserite nel 2020 da papa Francesco nelle Litanie.

Di conseguenza, festa della mamma e mese mariano sono in perfetta simbiosi e ci portano alla memoria il nostro cuore di bambini. «Per le mamme – scriveva Giovanni Guareschi – i figli restano sempre dei bambini e – se stesse soltanto in loro – continuerebbero a farli dormire eternamente nella culla. E, vedendo un metro e mezzo di gambe fuor dal lettuccio, non direbbero: Mio figlio è cresciuto. Direbbero: La culla del mio bambino è ristretta…».

Una madre, in effetti, è una radice che non si spezza e non inaridisce, neppure quando l’età fa dell’uomo un tronco curvo e secco.

L’amore per la madre e il riferimento ad essa come bussola di vita risalta anche nella figura del beato Rosario Angelo Livatino, l’anniversario della cui beatificazione ricorre proprio il 9 maggio, lo stesso giorno in cui nel 1993 papa Wojtyla squarciò il silenzio nella Valle dei Templi con il suo storico monito ai mafiosi e alla mafia, che divenne l’inizio di un percorso nuovo nella storia e nella vita della Chiesa.

Livatino

Rosario Livatino e i genitori

Garofani rossi

Se sbirciamo nelle Agende del magistrato, l’8 di maggio 1978 leggiamo: «Festa della mamma (garofani rossi)». Un magistrato fermo ed equo, ma soprattutto un cristiano, Livatino; perciò assassinato da un commando mafioso – allestito da ben due Stidde con il nulla osta di Cosa nostra – in odio alla sua fede cristiana. Ma anche un magistrato tenero e amante di sua mamma, Rosalia, che egli associa all’amore nutrito per la Madonna, venerata nei tanti santuari dell’agrigentino.

Il primo giorno annotato dell’agenda del “giudice ragazzino”, alla data del primo gennaio 1978, ricorda: «Io e mamma a Campobello. Papà con nonna. Serata in casa. Mettiamo quest’anno sotto la Sua benedizione».

La famiglia del Beato era formata da lui, da papà e da mamma, ma in realtà si trattava di una famiglia allargata, poiché le nonne, anche se non vivevano in casa con loro, erano molto seguite. La nonna Maria, in particolare, pur avendo bisogno di un’assistenza continua, veniva accudita con grande scrupolosità da mamma Rosalia, che spesso era accompagnata al paese o prelevata dal figlio Rosario.

Nel mese di marzo del 1980 mamma Rosalia ebbe una ricaduta della malattia al braccio sinistro, e Livatino scrive nel bilancio del mese: «Soffro nel vedere la mia povera mamma ridotta in questo stato; ho paura che lei stia scontando i miei peccati, mi sento impotente al pensiero che le mie preghiere non hanno titolo per essere ascoltate. Che Iddio l’aiuti!».

La mamma va a Firenze per un intervento chirurgico; al sentire per telefono che il 25 maggio sarà operata, egli scrive: «Signore, proteggila».

A giugno la mamma ritorna a Firenze; si legge nell’agenda di Rosario: «Che Iddio e la Madonna Santissima la proteggano».

Nel bilancio del mese di luglio, ritornata la madre a casa, egli annota: «Di bello: la mamma in casa: e questo basta a definirlo positivo. Che il Signore ci aiuti e aiuti soprattutto i miei genitori».

Mamma e figlio

Con la mamma Livatino ha un rapporto intenso, quasi vive in simbiosi. L’ascolta ad occhi chiusi in tutte le circostanze, anche quando è in età adulta e ha grandi responsabilità nel lavoro delicato in magistratura, scrive il termine mamma quasi sempre in maiuscolo. Gioisce quando la mamma sta bene e soffre e prega quando la mamma sta male. È molto disponibile con lei, abbraccia qualunque sacrificio per accompagnarla o prelevarla continuamente dalla nonna Maria. È felice quando la mamma sta in casa. Le festeggia il compleanno e l’onomastico, preparando le feste e offrendo sempre fiori rossi.

Anche sulla scia di questo esempio, che in fondo è già scritto a caratteri indelebili nell’esistenza di ognuno, Maggio – che in sanscrita vuol dire mahi, “la grande madre” – può e deve diventare anche il tempo della riscoperta di quell’evento miracoloso e sacro che è la vita, al cui centro c’è la madre, incarnata e simboleggiata da Maria, Madre di Gesù, semplice e di gran cuore come ogni madre che culli un figlio in grembo o lo guardi incamminarsi per le strade del mondo.

È necessario, del resto, tutelare questo patrimonio, poiché necessarie sono le mamme se si vuol avere futuro. Come scriveva Immanuel Kant, di una madre c’è sempre bisogno, perché è lei a piantare e nutrire i primi semi del bene e a fare del figlio l’uomo (o la donna) che sarà.

p. Vincenzo Bertolone SdP, arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace

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