In ricordo di Roberto Bernasconi

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Giovedì 17 marzo 2022 è morto il diacono Roberto Bernasconi, direttore, dal 2007, della Caritas diocesana di Como. Era ricoverato a seguito di un malore che lo ha colpito il 1° marzo scorso, dopo poche ore dalla preghiera del rosario recitato in cattedrale per la pace in Ucraina.

Rammento che nelle giornate degli incontri residenziali della Delegazione regionale della Caritas o dei convegni di Caritas italiana, il diacono Roberto era il primo, fra noi, a svegliarsi: prestissimo – persino alle 4 o alle 5 – per iniziare il suo personale cammino di preghiera presso il santuario o la cappella di cui aveva saputo la sera precedente.

All’ora della colazione e all’inizio dei lavori era poi sempre di buon umore e prontissimo a ragionare sulle idee e sui progetti, ma soprattutto a cominciare a «muovere le mani», oltre la testa, in maniera molto concreta, per i poveri: per aiutare, per accogliere, per alleviare sofferenze. Il suo stile, benché organizzato – da vero direttore – era, per certi versi, molto simile a quello di preti e di figure uccise proprio nel «fare la carità», come don Renzo Beretta e don Roberto Malgesini, che lui aveva ben conosciuto.

Sempre aveva voglia di fare – subito – qualcosa, conservando la serenità nonostante tutte le disgrazie intorno e con la sua tipica gioia di vivere per fare del bene.

Da persona più facile allo scoraggiamento, ho ammirato queste sue caratteristiche, evidentemente ben radicate in lui spiritualmente.

Voglio qui ricordare tre momenti intensi in cui abbiamo fatto delle cose insieme.

Nel 2012, dopo il terremoto che ha preso parte dell’Emilia, ma anche tutto il basso mantovano a sud del Po, Roberto è stato tra i primi a telefonarmi e poi ad arrivare, con gli amici delle Caritas lombarde, per dare, appunto, una mano. Abbiamo presto stabilito dei «gemellaggi» tra ogni Diocesi-Caritas lombarda e le Unità Pastorali mantovane più colpite.

Le vecchie case, gli edifici storici e soprattutto le chiese erano andate giù, senza morti, ma solo perché la prima forte scossa del 20 maggio era stata di notte anziché al mattino. Tutte le chiese erano comunque inagibili. Alla Diocesi-Caritas di Como era stata affidata l’UP di Sermide. Insieme col parroco della zona, don Renato – col sostegno in denaro di Caritas italiana dalla colletta nazionale –, abbiamo in poco tempo stabilito ove far sorgere la prima tendostruttura che avrebbe fatto da Centro di comunità e anche da chiesa, quindi da punto di comunione, di organizzazione, di celebrazione e di preghiera della zona.

Poi – da Roberto stesso – è nata l’idea, grazie anche ad un suo amico generoso imprenditore del settore, di edificare nella più piccola comunità della diocesi di Mantova, Quatrelle, circa 500 abitanti, una piccola struttura prefabbricata, atta a durare nel tempo. Così è stato. Prima del freddo dell’inverno dello stesso anno, dopo diverse visite da Como a Mantova, la struttura è stata inaugurata e soprattutto abitata dalla piccola comunità del posto.

Nell’estate del 2016 – dopo le emergenze dei migranti-profughi giunti massicciamente dalla Libia nel 2011 e poi nel 2014, di cui ci eravamo insieme occupati nel coordinamento regionale immigrazione – ho raggiunto Roberto nella sua Como, perché era esplosa un’altra grave emergenza dei migranti: quella volta si trattava soprattutto di giovani «minorenni stranieri non accompagnati», accampati attorno alla stazione San Giovanni e in tutta la città e rivolti verso il confine con la Svizzera che li stava respingendo.

Ho accompagnato Roberto in tutte le parrocchie − tante − e in tutti Centri della Caritas in cui si stavano offrendo pasti, vestiti, assistenza e ospitalità. Sono rimasto impressionato. Roberto conosceva tutti: preti, operatori, volontari, ragazzini stranieri (di cui si era fatto tutore per offrire le garanzie legali richieste dalla legge).

Per tutti aveva parole di sprone e di incoraggiamento. In quella circostanza abbiamo concordato di piazzare una tendostruttura dismessa dal territorio terremotato di Mantova per le esigenze di allestimento di un campo di assistenza per quei ragazzi, anche a fronte delle resistenze di chi – tra le autorità politiche locali − non ne voleva sapere. L’operazione andò in porto: giusta occasione per dire che Roberto era sempre molto disponibile a lavorare, giorno e notte – naturalmente gratis – con le autorità, ma sui diritti dei poveri e dei migranti non ha mai fatto certamente sconti a nessuno.

 Nell’autunno del 2019 – nell’ultima mia circostanza, di una certa ufficialità, accanto al diacono Roberto – ha avuto luogo l’inaugurazione del Centro di comunità e chiesa di Campi Ancarano nel Comune di Norcia, dopo diverse visite che, anche insieme, abbiamo reso a quella zona col direttore di Spoleto-Norcia, Giorgio Pallucco, coi legami instaurati col parroco, don Luciano, a seguito dei disastri del terremoto dell’ottobre del 2016.

Ricordo bene come fosse felice quel giorno, con sua moglie Laura, con la sua Caritas di Como, con i tre vescovi delle tre diocesi (Spoleto-Norcia, Como e Mantova), soprattutto con la gente semplice del posto: penso di poter scrivere che Roberto era molto felice quando era sicuro di aver contribuito a rendere felice – o meno infelice – la povera gente.

Come mi ha detto oggi la sua – solare – moglie Laura, il suo cuore, già marcato, da un anno e mezzo, da stent coronarici, era già evidentemente inscritto nel disegno della vita e della grazia, ma è assai significativo che sia giunto alla crisi proprio nei giorni dell’ennesima emergenza umanitaria a cui si è sentito ancora chiamato a portare immediato soccorso, quella delle donne e dei bambini dall’Ucraina. Roberto era uno che davvero «si muoveva a compassione» (Luca 10,33).

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