Il magistrato Saverio Borrelli

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Il nome di Francesco Saverio Borrelli è scolpito nella memoria collettiva come quello del magistrato che ha guidato l’inchiesta Mani Pulite. Lo si può comprendere, considerato il rilievo che essa ha assunto nella vicenda della Repubblica, una sorta di spartiacque tra le cosiddette (impropriamente) prima e seconda Repubblica. Con il letterale collasso dei partiti che della nascita e dello sviluppo della democrazia italiana erano stati gli artefici. Un collasso che, in verità, è da ascrivere alla loro degenerazione e, a monte, al 1989, cioè alla caduta del muro di Berlino.

Ma la figura Borrelli non si risolve nell’inchiesta Mani Pulite, con le sue luci e le sue ombre. Come ha osservato Mattarella, Borrelli è stato uomo fedele alle istituzioni, che si è consacrato al rispetto della Costituzione e delle leggi. Rigoroso custode dell’indipendenza della magistratura e del principio secondo il quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.

Per unanime testimonianza dei suoi colleghi e collaboratori, egli si è distinto per la sua esemplare etica della responsabilità (il “vero capo”): come capo della procura non si è mai tirato indietro, coordinando e dirigendo un pool di magistrati molto diversi tra loro, quando necessario anche moderandone e correggendone gli indirizzi. Sempre però, nei passaggi più difficili, prendendone le difese dagli attacchi di chi avrebbe voluto una magistratura distratta o compiacente.

Consapevole della doverosa resistenza all’illegalità e alla sopraffazione, Borrelli vedeva nel “senso del diritto” un prezioso, estremo argine ad esse, ma era altresì convinto che vi fosse una dimensione morale della resistenza (un po’ tutti hanno ricordato il suo “resistere” ripetuto tre volte). Una dimensione che la deve trascendere e animare, che investe la coscienza, i comportamenti, la cultura della legalità.

I suoi detrattori lo dipinsero come “toga rossa”. Niente di meno plausibile. In lui semmai si poteva rinvenire traccia di quella cultura democratico-azionista che faceva del senso del dovere professionale e civile una sorta di religione laica. Anche a lui si può applicare la cifra, coniata da Corrado Staiano per Giorgio Ambrosoli, di “eroe civile”. Cioè di uomo, professionista e magistrato integralmente dedito al suo dovere. Con signorilità e intransigenza, disponibile a pagare di persona. Non un eroismo cercato, il suo, ma praticato nel concreto esercizio dei propri doveri ordinari.

Fu protagonista suo malgrado, perché ebbe responsabilità eminenti in una stagione specialissima e drammatica della nostra vita civile, ma era, per indole, alieno da protagonismi, come si dimostra dal riserbo appartato che seguì al suo pensionamento e anche da qualche suo malcelato dissenso da colleghi magistrati che si regolarono diversamente, sfruttando la popolarità acquisita nelle inchieste sulla corruzione politica.

In un tempo nel quale non solo la politica sembra non avere appreso la lezione, ma la stessa magistratura sconta degrado e inquinamento, la figura di Borrelli, la sua integrità morale, il suo tratto aristocratico, il suo severo impegno professionale e civile ci richiamano al dovere di non dimettere la speranza che un’altra Italia è possibile. Se e in quanto la resistenza comincia da noi.

 

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