In morte di Pannella, tra demagogia e fraternità

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Incontrarsi con lui era come scontrarsi. Anche quando era ragionevole andare d’accordo. Il suo modo di porsi e di esporsi, dichiaratamente ispirato alla non violenza, aveva sempre un fondo di supremazia che pretendeva di affermarsi. Marco Pannella era così, un personaggio senza sfumature, da prendere o lasciare. Sempre assertivo, in apparenza mai dubbioso; ma capace di trascinare persuadendo e di persuadere trascinando.

Ora che si è conclusa la sua vicenda terrena, e con essa il lungo epicedio degli affetti che ne ha preceduto il trapasso, non è ozioso intrattenersi – al di là delle espressioni di circostanza – sul ruolo che egli ha svolto attraversando la società italiana nel tempo che, convenzionalmente, va dal “centrismo” degli anni cinquanta alla “Seconda repubblica” e oltre.

Sul versante cattolico

Soprattutto interessante può risultare un’indagine sul suo rapporto con il mondo cattolico nel travaglio non concluso dei conflitti sui “diritti civili”. Sapendo però che un esame di questo tipo suscita, di rimbalzo, un interrogativo speculare: se e quanto gli atteggiamenti assunti nel tempo dal campo cattolico (vescovi, laici, partito) abbiano contrastato o agevolato il corso radicale legato al nome di Marco Pannella.

Il quesito è sommario ma chiaro: è stato il movimento pannelliano a determinare il corso che ha portato fino ad oggi a introdurre nell’ordinamento il divorzio, l’aborto, la fecondazione assistita, le unioni omosessuali, oppure si è trattato di un moto di fondo della convivenza civile che si sarebbe comunque sviluppato e che Marco Pannella e i suoi hanno saputo leggere nelle cose e portare allo sbocco politico?

Entrambe le ipotesi hanno il supporto di validi argomenti. Nessuno può sottovalutare il peso che hanno avuto le iniziative radicali, compresi i digiuni e gli imbavagliamenti televisivi di Pannella e Bonino, nel far camminare processi legislativi altrimenti stagnanti. E anche nel fare esprimere un’opinione pubblica diffusa, ma sommersa dal prevalere di formule refrattarie all’evoluzione dei costumi.

Ma con altrettanta nettezza si deve riconoscere che la direzione del movimento evolutivo non si registrava solo in Italia, ma si era spesso già affermata altrove e che, dunque, era impossibile contenerla affidandosi alla sorte delle battaglie campali e bisognava percorrere altri sentieri.

Lo sconfitto vincente

Il tema è troppo importante e sarebbe sciupato se lo si volesse esaurire in poche note. C’è un’intera fase storica da mettere a revisione. Dentro la quale ricollocare la figura di Marco Pannella, la sua visione, il suo modo di essere leader che si presentava vincente anche quando era sconfitto. Un esempio è quello del referendum del 1981 sull’aborto, quando il quesito “radicale” (liberalizzazione totale dell’aborto) fu sconfitto al pari di quello “cattolico” (ammissione dell’aborto terapeutico), mentre venne confermata dal voto popolare la “mediazione” della Legge 194 che circondava l’aborto di condizioni e precauzioni, la cui importanza rimane anche se non hanno avuto piena applicazione.

Ebbene, oggi nessuno può credere che quel referendum non sia stato vinto dai radicali. Abilità del leader o sbadataggine degli altri?

Un discorso da rileggere

Di Marco Pannella, a parte alcuni incontri casuali, ho vivo il ricordo del suo intervento al congresso delle Acli del 1981, l’ultimo della mia presidenza. Pannella esordì ringraziando il presidente Rosati per «l’invito inusitato». In verità si era invitato da solo: mi aveva fatto telefonare dal segretario di turno (si chiamava Negri) per annunciare che, in mancanza di credenziali, si sarebbe presentato … nudo all’ingresso.

Prendere o lasciare? Decisi di prendere. Ed ascoltai un discorso veramente pannelliano nel senso torrenziale del termine; e che tuttavia, riletto oggi, dice del personaggio molto più di quel che mi appariva allora.

L’osservanza, innanzitutto, delle regole della retorica compresa la captatio iniziale, giocata sulla condivisione della mia solidarietà per i minatori inglesi allora in sciopero contro la Tatcher. Ma la sostanza non dissimulava il dissenso sull’impianto politico della mia relazione, effettivamente intrisa di nostalgia per la “solidarietà nazionale” ormai archiviata dopo l’assassinio di Moro e la morte di Berlinguer. Qui Marco Pannella si rivolgeva non a me ma ai leader della DC, del PCI e del PSI, ospiti dell’assemblea. Direttamente alle Acli era invece riferita una citazione di Luigi Sturzo, anni ’50, in dialogo con i liberali/radicali del Mondo: «Quando le passioni saranno spente, forse scopriremo insieme … quanto io, Luigi Sturzo, sia vicino a voi e quanto siamo vicini gli uni agli altri».

Meglio dei comunisti

Ricordò anche gli incontri di Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini con i cattolici dei loro tempi, per concludere – ed era quel che gli premeva – che i radicali «si trovano meglio con i cattolici che con i comunisti». Lodò infine l’iniziativa delle Acli contro i «mercanti di morte» (commercio delle armi) con la stessa forza con cui biasimò, a proposito degli euromissili, l’essere noi andati a manifestare a Comiso e Ginevra anziché bloccare il governo a Roma.

Il concetto centrale tuttavia, risultò intrigante. Noi radicali – disse – vogliamo cose che a voi cattolici non piacciono come il divorzio, l’aborto ed anche l’eutanasia; ma dovete spere che, «se noi sbagliamo, nel nostro errore, e non per nostro merito, c’è un’infinita tensione cristiana». Parlò poi della «bestemmia luciferina» per cui in nome di un «cattivo uso della scienza» si vuole imporre ad ogni costo «la sopravvivenza nello strazio e nel dolore di coloro che la natura e Dio, invece, volevano che cessassero la loro avventura umana». Ed ecco la perorazione finale: «giudicate voi se è demagogia o fraternità quel che cerchiamo di dirvi delle nostre differenze e dei pensieri diversi che ci distinguono e ci uniscono».

Gli piaceva il Dies irae di Mozart, messo in onda dalla sua Radio radicale alla notizia della sua morte. Che riposi in pace.

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