Il san Tarcisio d’Ungheria

di:

Eminenza reverendissima!
Eccellenze reverendissime!
Carissimi fratelli in Cristo!

«Signore, fa che la mia vita sia degna della mia vocazione, in modo da essere santo», scrisse János Brenner nel suo diario spirituale all’età di 19 anni. In quel tempo, entrò come novizio nell’Ordine cistercense. Se amiamo incondizionatamente, se con tutta la nostra personalità ci rivolgiamo a Dio (cf. Dt 6,5), se invochiamo il Signore (Es 22,26; Sal 91,15), saremo sempre ascoltati: «Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele: il Signore mi ascolta quando lo invoco» (Sal 4,4). La promessa del salmo si è adempiuta nella vita di János Brenner.

1. Era nato nel 1931 a Szombathely, da una famiglia attenta, amorevole e cattolica, nella zona dell’Ungheria occidentale, terra di santi. Già nel 303, durante la persecuzione dei cristiani da parte di Diocleziano, san Quirino morì qui, come martire. Qui nacque nel 316 san Martino, santo d’Europa, che, in seguito, divenne patrono della Chiesa nell’Impero Franco. Ma il cristianesimo perseverò anche dopo la caduta dell’Impero Romano. Intorno al 515, nacque san Martino di Braga, colui che convertì il Portogallo di oggi. In quel periodo le popolazioni accettarono la fede cattolica. Qui è nato il beato László Batthyány-Strattmann, il medico dei poveri. E in questa terra è nato il servo di Dio, József Mindszenty.

I genitori di János Brenner non erano cattolici solo per tradizione, ma il centro del loro cuore era occupato da Dio. Partecipavano quotidianamente alla santa messa e facevano la santa comunione.

La madre di János era l’esempio di un amore generoso e di donazione. Diceva: «Se donavo qualcosa a qualcuno, il giorno seguente ricevevo tre volte tanto».[1]

L’atmosfera di fede, preghiera e fiducia circondava il bambino che stava crescendo. La nonna pregava molto, affinché suo figlio fosse sacerdote. Questa preghiera, allora, non venne ascoltata, ma i suoi nipoti, László, János e József, tutte e tre ricevettero la grazia della vocazione sacerdotale.

La vocazione di János divenne evidente nel periodo della scuola. Durante il periodo in cui frequentò la scuola elementare diocesana, ovvero durante il 1938, l’anno del Congresso eucaristico, organizzò una rappresentazione teatrale dedicata alla vita di san Tarcisio, martire dell’eucaristia.

Avevano chiesto chi voleva interpretare san Tarcisio. János Brenner aveva alzato tutte e due le mani, perché voleva interpretare il santo martire. Sensazione? Messaggio? Segno della divina Provvidenza? Risposta misteriosa di Dio all’amore di un cuore puro e infantile?

2. A partire dal 1942, János studiò nel liceo-ginnasio Lajos Nagy di Pécs dell’Ordine dei cistercensi. Era ancora studente, quando nazionalizzarono le scuole e quando il mondo cambiò all’improvviso intorno a lui. Tuttavia, la via diritta della fede e dell’amore lo portarono direttamente sulla strada del sacerdozio: entrò nell’Ordine dei cistercensi. In questo modo, seguì l’esempio del fratello maggiore, che due anni prima, aveva scelto la stessa vocazione.

Vide che il destino dei sacerdoti, nel mondo che stava emergendo, non era un riconoscimento sociale o una carriera. Fece le domande più evidenti a se stesso. Non chiese dove si sarebbe sentito meglio, dove fosse più piacevole la vita. Sapeva di voler servire solo ed esclusivamente nella Chiesa: voleva servire Dio.

Questa dedizione personale lo ha ispirato a scrivere quella frase memorabile che scrisse nel suo diario personale: «Il mio cuore pieno di gratitudine e di amore vuole ringraziarti (Signore) per quella grande e ancora più grande grazia, per cui mi ha chiamato a servirti».

Nell’agosto del 1950, dopo gli esercizi spirituali, entrò nel monastero cistercense di Zirc. Ma la tranquilla preparazione durò solo alcune settimane. Il 7 settembre 1950, la Direzione del consiglio presidenziale, con la sola parola «privò il funzionamento degli ordini religiosi». In altre parole, gli ordini religiosi vennero soppressi.

In seguito, i novizi andarono a vivere a Budapest in diverse famiglie, mentre, come laici, studiavano teologia presso l’Accademia delle scienze teologiche.

Nel frattempo, anche l’università venne riconfigurata dal comunismo: la facoltà di teologia venne accantonata dall’università e passò alla Conferenza episcopale. Naturalmente si erano dimenticati di dare la sede alla facoltà, così l’insegnamento venne fatto presso il seminario centrale, dove rimase «temporaneamente» fino alla primavera del 1998.

Rimase agitato il destino di János Brenner anche durante il periodo da seminarista.

Il primo anno accademico lo portò a termine insieme agli studi del noviziato fatti in segreto. Dopo di questo, non potè, però, più emettere la professione religiosa. I suoi superiori lo mandarono nel seminario diocesano; in questo modo divenne seminarista della diocesi di Szombathely. Perciò continuò gli studi nel seminario locale. Ma, nell’estate del 1952, anche questo seminario fu chiuso, e così il seguente anno lo dovette iniziare a Györ.

In un tempo minaccioso e tempestoso, si preparava a diventare sacerdote, restando sempre sereno. I suoi compagni ricordano sempre il suo sorriso, la sua attenzione e la sua dedizione. Sembrava che, con la sua serenità, con la sua speranza avesse innalzato l’intera comunità per portarla a Dio.

Arrivò l’ordinazione sacerdotale che avvenne nell’estate del 1955. Come motto per l’ordinazione scelse la frase di san Paolo: «Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8,28).

La sua prima messa la celebrò a Szombathely, nella Chiesa dedicata a san Norberto, dove i suoi due fratelli László e József lo aiutavano e dove il suo professore di teologia di allora, József Winkler, tenne l’omelia. Quel József Winkler, che più tardi, nel 1959, il papa nominò vescovo, ma le autorità resero impossibile la presa di possesso. La sua consacrazione episcopale avvenne solo cinque anni dopo la sua nomina.

In questo contesto, il motto del sacerdote novello János Brenner porta con sé un significato particolare.

3. Il sacerdote János ricevette una sola obbedienza dal suo vescovo. Il suo luogo sarebbe stato Rábakéthely.

Si era avvicinato a tutti, anche alle persone più semplici con umiltà e amore. Un fedele si ricorda di lui: «C’era un certo calore che a parole non riesco a spiegare. La gente lo amava e cercava di andare lì, dove egli era presente… c’era qualcosa in lui che attraeva le persone. Il suo grande peccato: i giovani e gli anziani lo amavano. Conquistò molte persone con la fede, per la Chiesa».[2] Servì i fedeli per due anni e mezzo. Tutti sentivano che in lui vi era un grande amore.

In questo periodo, naturalmente, essere prete significava avere un compito difficile. La pressione politica si era intensificata. Prima sono stati attaccati gli ordini religiosi, le scuole, in seguito i seminari, e ora si volgeva verso i sacerdoti delle parrocchie.

Ma il rev.do János continuò il dialogo personale con Dio. Pregava in questo modo: «Signore, sono cosciente che non risparmi nessuno dei tuoi dalla sofferenza, perché riceveranno immensi benefici da Te».[3] Forse, in quel momento, sentiva che il suo destino sarebbe stato il martirio.

Fu allora che scoppiò la rivoluzione del 1956. Durò poco tempo. Molti fuggirono in Austria verso la frontiera aperta. E, dopo alcune settimane, arrivò la repressione. Ci furono tanti processi e molte condanne a morte. In tutta la nazione la raffica degli spari uccise il popolo che protestava.

Nel 1957, all’ordine del giorno, arrivò anche l’intimidazione alle confessioni di fede. Davanti agli occhi del rappresentante dello Stato, la popolarità del giovane cappellano era una lisca negli occhi. Chiese pure al vescovo di trasferirlo da un’altra parte. Tuttavia, il rev.do János, accettò il rischio: «Non ho paura, sono disposto a rimanere qui»,[4] disse al suo vescovo. Anche se da un punto di vista umano avrebbe dovuto avere paura e ciò lo sapeva anche lui. Dovette affrontare non solo le intimidazioni, ma anche il pericolo di vita.

Verso la fine dell’autunno, avevano cercato di ucciderlo, mascherandolo come un incidente stradale. Si salvò, ma aveva compreso le intenzioni delle autorità. Perseverò. Svolse la sua opera pastorale con gioia.

4. «Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio». Questo motto si è adempiuto il 14 dicembre 1957. Poiché la fine della sua vita non è stata un semplice omicidio, un incidente apparente. Ma gli fu concessa la grazia di essere il martire dell’eucaristia. Per questo, giustamente, lo nominiamo il san Tarcisio ungherese.

Verso mezzanotte un giovane, un suo chierichetto, bussò alla porta della parrocchia. Gli disse che suo zio era gravemente malato e aveva chiesto con urgenza la presenza di un sacerdote. Il cappellano si vestì, andò in chiesa, prese l’olio per l’unzione degli infermi e il Santissimo. Poi, andò nel vicino paese, dove fu chiamato. Ma, ad un centinaio di metri dalla chiesa, venne assalito. Allora fuggì. Non andò verso la parrocchia, ma portò il Santissimo alla persona malata, mentre la banda di assassini lo stava aspettando proprio davanti alla casa del presunto uomo ammalato.

Lo uccisero brutalmente con trentadue coltellate. Non si era potuto proteggere, ma aveva difeso l’eucaristia dall’umiliazione. Lo hanno trovato con la sua mano sinistra fredda che stringeva ancora sul suo cuore il Santissimo.

L’esame successivo mostrò la straordinaria brutalità adottata. Lo calpestarono sul collo. Non volevano farlo solo fuori come persona, ma volevano umiliare in lui il sacerdote, la sua fede e Colui che rappresentava per tutta la vita.

5. Sebbene, in quel momento, l’indagine sull’identità dell’omicida non fu trovato, tutta la comunità credente aveva compreso quello che era successo. Dopo il funerale, il vescovo, Sándor Kovács, nella sua circolare scrisse quella frase che aveva un significato profetico: «La sua vita è stato un esempio. La sua morte è stato un austero sacrificio che il Signore Iddio accetterà per la salvezza dei suoi fedeli».[5]

I fedeli hanno pregato per molti decenni, sulla tomba del sacerdote János. È stata eretta anche una cappella sul luogo del suo martirio. Molti hanno pregato per la sua beatificazione. Il suo esempio è una grande testimonianza dell’eucaristia e del sacerdozio di Cristo.

Gesù Cristo è il centro della nostra fede cristiana e della nostra vita. Se noi lo amiamo con tutto il nostro cuore, egli abbraccia l’infinito, il mondo intero (cf. Col 1,17) e anche le nostre vite. La sua presenza possiamo viverla specialmente nella santa messa e nell’adorazione eucaristica.

Lui stesso ha voluto nell’Ultima Cena essere presenza viva e nutrimento. Egli stesso ha affidato agli apostoli di celebrare questo in sua memoria. Questa è la memoria comune per cui noi cristiani viviamo e siamo uniti. Perciò, i rappresentanti dell’amore di Cristo sono i sacerdoti consacrati, che adempiono generosamente alla loro vocazione.

Invochiamo l’intercessione di János Brenner, il buon pastore, il martire dell’eucaristia. In particolare, ora, mi rivolgo ai chierichetti: preparatevi con cura e amore alla santa messa e a tutte le cerimonie liturgiche. Costituite gruppi dedicati a János Brenner, dove con lo studio e con l’esercizio conoscerete esattamente la misteriosa dignità e la forza irresistibile e liberatrice della santa messa e dell’eucaristia.

Prepariamoci tutti insieme al Congresso eucaristico del 2020! In questo tempo di preparazione, invochiamo l’aiuto del nostro martire e sacerdote János Brenner mediante le preghiere e il lavoro.

60 anni fa, durante una notte buia invernale l’ideale sembrava morire. Ora, dopo decenni con la decisione di papa Francesco, sta qui davanti a noi un nuovo, grande patrono, il beato János Brenner. Spesso crediamo che la nostra fede cristiana e la nostra Chiesa siano affaticate, o siano sotto attacchi e persecuzioni. Ma poi, all’improvviso risplende su di noi la luce brillante che ci avvolge con il potere e la saggezza di Dio (cf. 1Cor 1,24).

Ringraziamo il santo padre per questa beatificazione e invochiamo Dio con le parole del poeta: «Tante siano le tue gocce di sangue che cadono sulla neve, tanti siano i giovani cuori che seguono la tua santa vocazione, il sangue del martire ne crea in abbondanza… Nostro Signore, asciuga le nostre lacrime e, nonostante piangiamo, siamo felici; la luce del sangue del martire brilli sulla nostra santa fede: risorgiamo».[6] Amen.


[1] István Császár – Viktor Attila Soós, Magyar Tarzíciusz. Brenner János élete és vértanúsága 1931-1957 [Il San Tarcisio ungherese. Vita e martirio di János Brenner], senza luogo, 2003, p. 34.

[2] Ibidem, p. 33.

[3] Ibidem, p. 35.

[4] Ibidem, p. 37.

[5] Ibidem, p. 49.

[6] Ibidem, p. 51  (poesia del rev.do Kéroly Kerekes).

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