Hochhuth “Il Vicario”: esempio di eterogenesi dei fini

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Giovedì 14 maggio alcuni giornali hanno riportato la notizia che il giorno precedente era scomparso, all’età di 89 anni Rolf Hochhuth. Il drammaturgo tedesco aveva raggiunto fama mondiale con la sua prima opera, Der Stellvertreter. Ein christliches Trauerspiel  (Il vicario. Una tragedia cristiana).

Rappresentata a Berlino nel febbraio 1963, fu subito importata nell’area anglofona, per venire poi tradotta in più di venti lingue. La persistenza del successo è dimostrata dal fatto che, nel 2002, il regista Costa-Gravas ne trasse la sceneggiatura di un film, Amen, che ebbe ampia risonanza mediatica, rilanciando nuovamente la notorietà dell’autore.

La trama e il contesto

In Italia l’opera suscitò un particolare clamore. Ne fu allestita una rappresentazione a Roma nel 1965, ma, dopo il debutto, la sala venne chiusa da un intervento della polizia. Come spiegò, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, il ministro degli interni Paolo Emilio Taviani, essa violava il primo articolo del Concordato del 1929, che impegnava lo Stato a garantire il carattere sacro della città di Roma.

Recava infatti offesa alla figura del pontefice. Si pensò ad una sollecitazione vaticana, probabilmente non a torto, se si tiene presente l’attenzione che lo stesso Paolo VI dedicò all’opera. In ogni caso, da quell’episodio prese inizio il tormentato processo che doveva portare alla revisione del Concordato nel 1984 con gli accordi di Palazzo Madama.

La pièce metteva in scena il vano tentativo di un personaggio di fantasia, il giovane gesuita Riccardo Fontana, di ottenere da Pio XII la denuncia della Shoah. Venuto a conoscenza del genocidio degli ebrei tramite un personaggio storicamente esistito, l’ufficiale delle SS-Waffen Kurt Gernstein, che aveva in effetti cercato di rendere noto quel che accadeva nei campi di sterminio, il sacerdote si precipitava a Roma. Qui Pacelli rigettava le sue istanze, ricordandogli l’importanza di conservare una forte Germania per combattere l’espansionismo sovietico.

Nella rappresentazione teatrale la scelta del papa era dettata dal prevalere delle ragioni dell’alleanza di potere tra la Santa Sede e il Terzo Reich – non a caso il dramma si apriva con un colloquio tra il nunzio a Berlino e Gernstein che sosteneva la necessità di abrogare il Concordato stipulato nel 1933 come protesta per le violenze del governo nazista – sulle ragioni, impersonate dal gesuita, dell’etica cristiana che avrebbe richiesto un deciso intervento pubblico.

La questione dei “silenzi di Pio XII”, non era nuova, ma sollevò un acceso dibattito per il momento in cui veniva rilanciata in uno spettacolo che riscuoteva largo ascolto nell’opinione pubblica.

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Rolf Hochhuth

Nel corso del 1965 al concilio Vaticano II giungeva alla stretta finale la lunga e tormentata discussione in ordine alla dichiarazione Nostra aetate. Com’è noto, vi si ridefiniva anche il rapporto della Chiesa con gli ebrei. Nel dibattito vi era chi riteneva necessario che nel documento si inserisse almeno un cenno di ripensamento sul contributo dato dalla Chiesa allo sviluppo di quell’antisemitismo che era sfociato nella tragedia della Shoah. Una posizione che i settori conservatori e tradizionalisti dell’assemblea osteggiavano con grande decisione. Ai loro occhi la Chiesa non aveva nulla da rivedere sul tema, ma doveva solo celebrare l’aiuto dato ai perseguitati.

La Germania più che la Shoah

Il rilievo assunto dal lavoro del drammaturgo tedesco si spiega quindi anche alla luce del fatto che il giudizio sul ruolo di Pacelli nella Shoah inevitabilmente aveva incidenza sulle decisioni che si stavano prendendo nell’aula di San Pietro.

Hochhuth che, a detta dei critici letterari, non godeva come drammaturgo di un talento straordinario, aveva insomma colto il momento opportuno per lanciare nell’opinione pubblica un tema di rilevante attualità. La sua attenzione al presente è mostrata anche dal fatto che la sua narrazione si intrecciava con un’altra questione che, nella Germania dell’epoca, appassionava l’opinione pubblica: la responsabilità del genocidio degli ebrei ricadeva esclusivamente sulle gerarchie del regime nazista o vi era almeno un concorso di colpa da parte della popolazione tedesca?

Lo svolgimento de Il vicario finiva per rispondere alla Schuldfrage assolvendo i tedeschi. In fondo il papa di Roma veniva additato come il responsabile principale della catastrofe subita dagli ebrei cui almeno qualche rappresentante del popolo tedesco aveva invece cercato di salvare la vita. Un successivo episodio della biografia di Hochhuth testimonia che, al centro dei suoi interessi, stava più la Germania che l’antisemitismo.

Il suo successivo dramma Soldaten (1967) era dedicato alla denuncia dei bombardamenti a tappeto su aree civili tedesche compiuti nel corso della Seconda guerra mondiale dalla Royal Air Force per precisa volontà di Winston Churchill.

Nel mettere in scena il primo ministro britannico, il lavoro accreditava la tesi che egli aveva ordinato la morte, avvenuta in un incidente aereo, del capo del governo polacco in esilio. A questo scopo Hochhuth si valeva della consulenza di David Irving.

Lo scrittore inglese all’epoca non aveva ancora pubblicato i lavori negazionisti che avrebbero poi contraddistinto la sua ricerca di celebrità a spese della ricerca della verità storica; ma già non si mostrava particolarmente attrezzato nell’uso critico delle fonti. Si trattava, peraltro, di un ambito con cui il drammaturgo tedesco non aveva grande dimestichezza. Non aveva infatti potuto fruire di un’adeguata formazione universitaria: da giovane, lavorando in una libreria, aveva frequentato liberamente alcuni corsi, senza mai seguire un definito curriculum accademico.

In ogni caso, quando, nel 2005, Irving raggiunse finalmente l’onore delle cronache per le sue tesi che negavano la Shoah, trovò proprio in Hochhuth un deciso difensore, In un’intervista arrivò persino ad esaltarlo come il «pioniere della moderna storiografia».

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Nel giro di alcune settimane, di fronte alle proteste, ritrattò; ma l’episodio è emblematico del suo profilo intellettuale. Il drammaturgo si occupava di storia senza l’obiettivo di stabilire quel che era effettivamente successo, ma allo scopo di intervenire sul presente attingendo dal passato armi giudicate idonee a conseguire i suoi obiettivi. Tra questi rientrava certamente la restituzione alla nazione tedesca di una dignità che riteneva inadeguatamente considerata in seguito agli assetti fissati dalla Seconda guerra mondiale.

La necessità di una seria indagine storica

I limiti del personaggio – che, come mostra il suo successo, agli occhi di molti nostri contemporanei hanno rappresentato grandi virtù – non debbono comunque farci dimenticare che Il vicario, al di là dell’evidente manipolazione della storia, ha avuto, sia pure indirettamente, innegabili meriti.

In primo luogo, sollecitando la preoccupazione di Paolo VI di salvaguardare la memoria di Pio XII e, in qualche modo, anche quella del suo stesso ruolo di sostituto alla Segreteria di Stato negli anni terribili della Seconda guerra mondiale, il lavoro di Hochhuth può dirsi all’origine di una delle grandi iniziative culturali promosse dal pontefice: la pubblicazione degli undici volumi degli Actes et documents du saint Siège relatifs à la deuxième guerre mondiale. Usciti tra il 1965 e il 1981, hanno rappresentato, fino all’apertura in queste settimane degli archivi vaticani per l’epoca di Pio XII, un sicuro punto di riferimento per uno studio sugli atteggiamenti di Roma fondato su puntuali riscontri documentari.

Non c’è dubbio che il lavoro degli storici gesuiti che hanno curato la serie può sollevare riserve e interrogativi, ma se i ricercatori hanno potuto fornire un profilo attendibile del papato su vicende relative alla Santa Sede che hanno scatenato le più disparate fantasie, lo si deve proprio alla possibilità di un pubblico accesso a quelle carte.

In secondo luogo, le polemiche innescate dal dramma di Hochhuth hanno avviato una feconda stagione di indagini storiografiche che ha portato a risultati conoscitivi di assoluto rilievo. Il successo di quella pièce teatrale ha infatti indotto diversi storici a porsi il problema di far uscire la questione dei silenzi di Pio XII dal terreno della propaganda e della controversia, per chiarire cosa effettivamente era successo sulla base di testimonianze inoppugnabili.

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Proprio in seguito all’esito dei lavori prodotti per rispondere a questa domanda, oggi possiamo dire con ragionevole certezza che l’apertura degli archivi vaticani potrà certo precisare tanti particolari, ma che difficilmente muterà il quadro che la storiografia ha ormai delineato.

Il silenzio di Pio XII sulla Shoah non vuol certo dire che privilegiasse l’accordo con Hitler alla denuncia della tragedia in corso: ligio ai condizionamenti della cultura intransigente, all’epoca egemone, il pontefice riteneva che si dovesse affrontare il problema attraverso le riservate vie della diplomazia, anziché quelle del discorso pubblico.

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