Una chiesa in Arabia Saudita? No

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Le aperture del principe “riformatore” Muhammad bin Salman non potranno spingersi fino ad approvare la costruzione di una chiesa cristiana nel Regno che ospita i luoghi più sacri dell’islam. The Economist (ripreso da SettimanaNews) riportava principalmente due elementi a sostegno delle aspettative di un affondo del principe “riformatore” a favore delle comunità cristiane.

una chiesa in Arabia Saudita

Mohammed bin Salman

Elementi non sufficienti

1) La testimonianza archeologica (reperti e documenti) della presenza antica di una comunità cristiana sul suolo “sacro” del Regno. A quanto riportato dal tabloid inglese, si può aggiungere che anticamente erano molte le chiese nel Golfo, compresa l’Arabia Saudita. A Njaran, nel Sud dell’Arabia, c’era una fervente comunità cristiana. Gli ebrei, 100 anni prima dell’islam, li ammazzarono tutti perché rifiutarono di negare Gesù Cristo Figlio di Dio. Tra loro c’era sant’Arethas. Non si sa se fosse un vescovo, un prete, un sindaco, né se fosse cattolico o ortodosso. Si sa che era il capo di quella comunità e che è morto per Gesù Cristo. È celebrato in tutti i riti orientali e menzionato nel martirologio latino. È il patrono della parrocchia di Riyad, St. Arethas Parish.

2) La reinterpreatazione del divieto del Profeta che esclude la compresenza di due din nella penisola araba (din significherebbe “autorità religiosa”, non “religione”).

Entrambi gli elementi non sono sufficienti per spingere il processo di riforma in corso fino ad autorizzare la costruzione di un luogo di culto non musulmano.

Perché no

L’acqua gelida su queste aspettative ha più di una fonte.

a) Un breve incontro nella residenza parigina del principe Muhammad bin Salman lo scorso aprile. Presenti i rappresentanti dei diversi culti (musulmano, ebraico, cattolico, protestante, ortodosso). Il principe ha avuto parole di incoraggiamento verso la libertà religiosa («Preghiamo lo stesso Dio, quello di Abramo») e ha mostrato preoccupazione per la «strumentalizzazione politica» delle religioni a opera, soprattutto, delle fasce più radicali. Ma, nello stesso tempo, ha ribadito il principio “dogmatico” dell’Arabia Saudita “terra santa” che verrebbe “contaminata” dalla costruzione di un luogo di altro culto. Senz’altro fuori luogo il richiamo al principio di reciprocità («Apriremo una chiesa in Arabia Saudita quando potremo aprire una moschea in Vaticano») – ignorando la presenza a Roma della più grande moschea d’Europa e il fatto che l’omologo del Vaticano non sia l’Arabia Saudita ma piuttosto il Palazzo del re. Il principe ereditario ha comunque ammesso che le difficoltà sono di carattere più “politico” che dogmatico: aprire una chiesa in Arabia Saudita potrebbe provocare gli estremisti e offrire loro argomenti per alimentare tensioni. Ha tuttavia assicurato che sarà possibile celebrare la messa in forma privata in Arabia Saudita senza trovarsi per questo inquisiti.

b) La visita a Riyad del patriarca di Antiochia dei maroniti, Béchara Boutros Raï, accreditata come “spirituale”, si è mantenuta sul registro politico. Non c’è stata alcuna intonazione spirituale né negli incontri con i reali, né nell’incontro con i maroniti dell’ambasciata libanese a Riyadh. Nemmeno una brevissima preghiera.

c) La visita del compianto card. Tauran ha avuto il solo scopo di firmare un protocollo per la costituzione di due commissioni che si riuniranno ogni tanto per discutere di dialogo interreligioso. Niente lascia pensare che si possa aprire da qui la prospettiva di avere una chiesa.

Le aperture alla “tolleranza” del principe Muhammad sono tuttavia effettive. La polizia religiosa è stata privata di molta dell’autorità che aveva prima: ad esempio, non può più entrare nelle case private, né arrestare chi vi stesse svolgendo una preghiera non islamica. In questo caso, deve allertare la polizia civile, la quale sola può procedere ad eventuali arresti. La polizia religiosa non gradisce però un ruolo ancillare nei confronti della polizia civile… e tra i due litiganti il terzo gode.

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