Dichiarazione di Islamabad

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Oltre 500 leader religiosi musulmani del Pakistan hanno emanato una Dichiarazione in cui condannano pubblicamente il terrorismo, le violenze commesse in nome della religione e le fatwa (editti sacri) diffusi da ulema radicali.

Il documento – come hanno riferito l’Agenzia Fides e Asia News del 7 e 8 gennaio – è stato firmato nella capitale Islamabad durante un raduno organizzato dal Consiglio Ulema del Pakistan (PUC).

L’iniziativa, secondo gli osservatori, rappresenta una svolta soprattutto nell’atteggiamento verso le minoranze religiose e le sette islamiche, gli «Ahmadi». Il PUC è una Unione di religiosi musulmani che rappresentano diverse scuole islamiche. È stato fondato nel 1988, allo scopo di migliorare i vari orientamenti della fede musulmana ed evitare i conflitti intramusulmani.

I sette punti del documento

La Dichiarazione si compone di sette punti e contiene elementi rilevanti per la libertà religiosa.

Al punto n. 1, condanna gli omicidi compiuti «con il pretesto della religione», e afferma che tutto questo «è contro gli insegnamenti dell’islam».

Al punto 2, dichiara che nessun leader religioso ha il diritto di criticare i profeti (n. 2) e nessuna setta deve essere dichiarata «infedele» (n. 3): pertanto, nessun musulmano o non musulmano può essere dichiarato «meritevole» di morte tramite sentenze pronunciate al di fuori dei tribunali, e i fedeli di ogni religione o setta hanno il diritto costituzionale di vivere nel Paese in base alle proprie norme culturali e dottrinali.

Da ciò derivano anche il diritto ad organizzare in maniera autonoma le proprie riunioni con il consenso delle amministrazioni locali (n. 4) e il divieto totale di pubblicare materiale (libri, opuscoli, audio) che incitano all’odio religioso (n. 5).

La Dichiarazione riconosce che il Pakistan è un Paese multi-etnico e multi-religioso: perciò, in accordo con gli insegnamenti della sharia, al punto n. 6 sottolinea che «è responsabilità del governo proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani che vivono in Pakistan. Il governo deve trattare con fermezza gli elementi che minacciano i luoghi sacri dei non musulmani residenti in Pakistan».

L’ultimo punto del documento (n. 7) ribadisce l’importanza di applicare il Piano d’azione nazionale nella lotta al fondamentalismo.

I leader deplorano anche le fatwa contro i servitori dello Stato e affermano che ogni «incauta decisione politica» nei rapporti tra Arabia Saudita e Pakistan «non sarà tollerata».

Da ultimo, ribadiscono che «tutti i non musulmani residenti in Pakistan hanno propri diritti e il governo deve assicurare i diritti fondamentali delle minoranze».

Il documento non parla della cosiddetta “legge sulla blasfemia”, spesso utilizzata dai musulmani radicali quale strumento di discriminazione giuridica contro le minoranze, fino a invocare la loro condanna a morte.

La conferenza chiede anche di riesaminare, al più presto possibile, la richiesta di revisione del procedimento contro Asia Bibi, condannata a morte e poi assolta il 31 ottobre scorso, dopo nove lunghi anni di carcere.

Il presidente PUC, Hafiz Ashrafi, ha preso le distanze dal giornale Daily Times per gli atti di violenza compiuti lo scorso dicembre dopo la sentenza di assoluzione di Asia Bibi. «Coloro, ha affermato, che in tutto il paese hanno provocato il caos non rappresentano alcuna istituzione religiosa».

Il 2019 «Anno per annientare il terrorismo»

I religiosi del PUC hanno proclamato il 2019 “Anno per annientare il terrorismo, l’estremismo e la violenza settaria dal Pakistan”, ribadendo che «i cittadini non musulmani devono godere degli stessi diritti di tutti gli altri».

Sabir Michael, attivista per i diritti umani e delle minoranze, parlando all’agenzia Fides, ha dichiarato: «Apprezziamo e riconosciamo lo sforzo del Consiglio Ulema del Pakistan (PUC) per fermare l’estremismo e contribuire alla tolleranza, alla pace, alla giustizia e all’uguaglianza nella società. Occorre promuovere e diffondere questo messaggio alle comunità. In passato solenni dichiarazioni come questa non hanno avuto molto successo, ora il governo e le comunità religiose devono lavorare insieme in questa direzione: non perdiamo la speranza per il bene del paese».

Commentando la pubblicazione della Dichiarazione di Islamabad, p. Bonnie Mendes, esperto, sacerdote cattolico pakistano di Faisalabad, ex coordinatore regionale di Caritas Asia, ha dichiarato all’Agenzia Fides: «La Dichiarazione è un passo nella giusta direzione. Dobbiamo svilupparla per migliorare l’immagine del paese. Questa è la via da seguire».

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