Scrivo a lei, ecclesiastico in Iran

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Riceviamo da Teheran questa lettera del prof. Franco Ometto indirizzata a un ecclesiastico latino. Pur essendo un testo personale contiene elementi preziosi su una Chiesa e un paese poco noti. Pur sottolineando la sofferta rimozione-scomparsa dei preti latini, il centro di interesse è il modo di presentare il mistero cristiano nelle lingua e nel contesto dell’Iran attuale.

 Eccellenza Reverendissima,

quando, scorrendo internet, trovo notizie interessanti riguardanti la Chiesa d’Iran, ringrazio il Buon Dio del bene che si fa. Bisogna tuttavia ammettere che per chi, come il sottoscritto, è vissuto in Iran fin dal 1954, cooperando nel mio piccolo all’attività della Chiesa, tali notizie appaiono talvolta poco attendibili. Inoltre, si ha l’impressione che certe attività, specie in riferimento alle relazioni con gli atenei di Qum, siano presentate come iniziative recenti.

Mi permetto di far osservare che oltre 20 anni fa, in data 20 dicembre 1996, su suggerimento di mons. Bedini, – che aveva capito la maturità dei tempi – e su proposta dell’allora ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede, dott. Mohammad Masjed Jame’ì, inaugurai una cattedra di insegnamento di Teologia cristiana e Storia della Chiesa presso l’Istituto di studi e ricerche Imam Khomeyni a Qum, presieduto dall’Ayatollàh Moh.Taqi Mesbah Yazdi.

Le lezioni, impartite in lingua persiana, erano inserite, con due crediti, nel programma di studi per il conseguimento di un master, in vari indirizzi di studio (Diritto islamico, Religioni comparate, Morale, Ermeneutica coranica…). Inoltre, le lezioni furono tutte filmate, in modo da poterne usufruire nel futuro.

A me non piace farmi pubblicità, per poter lavorare senza condizionamenti. Tuttavia, la notizia di questa iniziativa fece scalpore, tanto da essere ampiamente commentata in un lungo articolo con varie illustrazioni sul settimanale Famiglia Cristiana (n. 50, 20 dicembre 1998) e in altre riviste, tra cui Jesus

Ricordo che, nella prolusione dalla cattedra, chiesto in anticipo il dovuto permesso agli studenti e ai professori presenti, esordii con un versetto del Corano (5,48), declamato in arabo. Bisogna notare che la citazione del Corano in lingua originale fatta da un non musulmano è ritenuta offensiva e quasi blasfema. Mi diedero il permesso obtorto collo; ma, quando udirono la mia perfetta pronuncia, ben differente dalla loro, smorta e biascicata, mi incoraggiarono a citare altri versetti quando lo avessi voluto.

Nell’estate dell’anno seguente fui affiancato dal decano della Facoltà di filosofia della Gregoriana, prof. Carl Huber, che impartì (in inglese) lezioni di Filosofia del linguaggio, secondo la teoria di Wittgenstein. Le sue lezioni però non sortirono l’effetto sperato, perché, secondo l’opinione degli studenti e dello stesso dott. Masjed Jame’ì, l’illustre professore non sapeva uniformare il suo insegnamento alla mentalità e alla cultura iraniana. Secondo loro, usava un metodo di “colonialismo religioso”. E non fu più chiamato ad insegnare.

Vorrei far notare che il mio intento primario nell’insegnare non fu mai quello di riempire cervelli di nozioni, ma di mostrare quella «dolcezza e pietà messa da Dio nel cuore dei cristiani» (Corano 57,27) e che gli studenti volevano verificare in me. La captatio benevolentiae ottenuta tramite il rapporto con la loro cultura e la loro forma mentis si rivelò efficace, tanto da far loro accettare verità da sempre rifiutate, come la non-manomissione delle Scritture. Sembrerà un paradosso, ma anche il mistero della ss. Trinità, la verità maggiormente aborrita dal Corano, come lo espongo io nel mio trattato, ha fatto esclamare agli studenti: «Se le cose stanno così, la Trinità può essere accettata anche da noi».

Purtroppo, molte celebrità non sanno che, per instaurare un vero dialogo non con l’islam, che è un ens rationis, ma con i musulmani, specie se acculturati, bisogna conoscere la loro religione, la loro teologia, la loro storia, le loro tradizioni e la loro profonda convinzione di essere, come afferma il Corano, la migliore delle nazioni (leggi: comunità religiose). I concetti cristiani devono essere rivestiti e intrisi di cultura persiana, perché siano apprezzati e assimilabili, altrimenti vengono rifiutati come paccottiglia occidentale.

Ora, questi luminari conoscono la storia, la teologia, la morale, il comune senso del vivere e del sentire degli iraniani, oppure calano le loro verità dall’alto della loro presunta superiorità? Senza questi presupposti, anche le celebrità non fanno dialogo ma dei dotti monologhi. Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur.

Questo va detto anche per il Catechismo della Chiesa cattolica, che espone la dottrina cristiana in modo asettico, senza adattarsi alle varie culture. E non potrebbe essere altrimenti, perché indirizzato alla Chiesa universale.

Però chiamare la traduzione pubblicata «la perla del dialogo con l’islam» – come si espresse il padre Cervellera (PIME) in un articolo su Il Regno –, è indice di un’erronea comprensione del dialogo.

Lo stesso san Giovanni Paolo II nella presentazione del CCC scrive: «Questo Catechismo viene dato perché serva come testo di riferimento sicuro e autentico… in modo tutto particolare per l’elaborazione dei catechismi locali… Esso è destinato ad incoraggiare e ad aiutare la redazione di nuovi catechismi locali che tengano conto delle diverse situazioni e culture».

Non ho niente in contrario al CCC, tant’è vero che, quando, nel dicembre 2005, mons. Bedini mi invitò a rivederne la traduzione persiana elaborata dal testo inglese e arabo dai miei alunni del nascente “Istituto di Religioni e Sette” di Qum, mi misi al lavoro e, in undici mesi, non solo corressi il testo persiano, ma dovetti rifarlo quasi ex novo, poiché conteneva i soliti errori dei musulmani sull’Immacolata Concezione, scambiata per la verginità della Madonna, sulla doppia natura di Gesù, sulla Trinità e su molti altri argomenti dai quali trasudano insidiose insinuazioni islamiche. Per non parlare della terminologia cristiana ambigua e spesso ingannevole.

Ed è proprio per questo che, memore dell’esempio di Nostro Signore che usava un linguaggio teologico con Nicodemo e  parlava di semina agli agricoltori e di pesca ai pescatori, e seguendo gli esempi dei grandi antesignani del dialogo (come p. Matteo Ricci, p. Roberto De Nobili…), ho intrapreso la composizione di un trattato di Teologia in persiano, adatto alla mentalità iraniana (specie dell’ambiente studentesco), ricco di citazioni, poesie, aneddoti, aforismi… atti a presentare il cristianesimo come un fenomeno della cultura locale. Inoltre, per le dimostrazioni di vari argomenti, ho usato categorie matematiche e fisiche, perché tali discipline sono ritenute apodittiche e indiscutibili da quel pubblico.

Dimenticavo di menzionare il mio curriculum: triennio di Filosofia e quadriennio di Teologia a Betlemme, laurea in Matematica (Teheran), un’altra laurea in Lingue orientali (IUO di Napoli) e specializzazione in Tecniche di traduzione strutturale (MIT di Boston, secondo le teorie di Noam Chomsky).

Ho già completato oltre 1.200 pagine di detto trattato, e me ne mancheranno trecento circa che terminerò se Dio vuole.

Tra le mie attività letterarie mi ritrovo vari libri in italiano, in inglese, articoli in persiano su giornali e riviste religiose di Qum e, ultimamente, la pubblicazione di un dizionario Italiano-Persiano di oltre 1.800 pagine.

Sono stato professore di Filologia comparata indoeuropea e di Greco (quello utilizzato in Persia durante il periodo sassanide) presso l’Università di Teheran (1968), professore di lingue moderne e iraniche antiche nelle università statali iraniane (1971-1982, anno in cui venni dimesso, perché cristiano), docente di Islamismo sciita presso l’ateneo P.I.S.A.I. di Roma (2001), consigliere culturale presso la corte imperiale al tempo dello shah, membro dell’Accademia dell’Esercito per la coniazione di neologismi persiani, insegnante di Latino e di Greco biblico negli atenei di Qum…

Da qualche anno ho lasciato l’insegnamento (ho 83 anni) ma, a casa mia, a Teheran, ricevo i dottorandi dei vari atenei di Qum, per seguirli nelle loro tesi di dottorato. Significativo il fatto che nessuno di loro consulta il CCC.

Quanto alla terminologia usata nel CCC, forse ella non sa che, in persiano, non si sa come dire Comunione, Indulgenza, Comunione spirituale… e centinaia di altri termini, tra cui Eucaristia, tradotto maldestramente con Coena Dominica, termine che, oltre ad essere errato liturgicamente, sa di protestantesimo.

Per questo mi ha fatto sorridere la compilazione di quell’opuscolo intitolato La Guida, che proponeva domande iperuraniche a dei cristiani che non conoscono i sette sacramenti, ma sentono l’orgoglio di essere cristiani solo perché appartenenti a una minoranza che parla una propria lingua.

Peccato che mons. Annibale Bugnini, il nunzio che ha lasciato un’impronta positiva del suo mandato, con il libro La Chiesa in Iran (io ne consiglierei la lettura ai professori stranieri degli atenei di Qum, perché è un’opera ampiamente documentata e di profonda cultura) non è più tra noi! Nonostante le voci diffuse sul suo conto, la Chiesa d’Iran ha subìto una grave perdita con la sua dipartita.

Adesso poi il mio valido referente nel lavoro della terminologia cristiana, don Franco Pirisi, con la sua profonda conoscenza del persiano, è in Italia e non è fattibile discutere di filologia per e-mail.

Comunque, ho collezionato un numero di appunti su termini cristiani persiani (oltre 2.200), di facile comprensione ed eufonici che uso nel mio trattato di teologia e che, a Dio piacendo, forse pubblicherò in seguito.

Per finire, ho letto e ho fatto leggere a qualche funzionario del Ministero degli Esteri Iraniano un articolo pubblicato su Avvenire, alla fine di settembre del 2016 (che lei avrà certamente letto). Lascio immaginare i commenti di quelle persone. Penso che l’eccellenza vostra sia al corrente degli strafalcioni sui nomi delle vie al tempo dello shàh e di altre incongruenze e controsensi molto più gravi.

Dall’articolo in questione non si riesce a capire se esiste libertà di religione o soltanto di culto o addirittura se c’è libertà in generale per i cristiani.

Che dire poi di quella bufala Le conversioni sono sull’ordine del milione e Qui non siamo soggetti a nessuna restrizione? A suo tempo, io scrissi al direttore di quel giornale, ma non ricevetti risposta. Mi aspettavo un commento di rettifica da parte dell’eccellenza vostra, come la persona più informata in assoluto, anche perché penso che l’articolista qua e là abbia mal interpretato il suo pensiero, ma non ne ho trovato traccia da nessuna parte.

Sono incidenti di percorso da affrontare con saggezza e determinazione, anche se non sono i più imbarazzanti.

Per questo, prego e ho invitato la comunità di suore di clausura della mia città a pregare per vostra eccellenza, affinché il Signore la illumini e le conceda tutte le grazie necessarie al compimento della sua difficile missione.

Mi benedica e la prego di leggere questa mia lettera scevra da quell’etichetta già detestata dai Padri del “Patto delle Catacombe”, con la bontà dei suoi occhi (secondo il detto persiano).

Pace e Bene.

Franco Ometto

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