Thailandia: buddismo e fede cristiana

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buddhismo

A 25 km da Bangkok, a Pak Kret in Thailandia, si trova la parrocchia cattolica “Our Lady of Mercy” dove padre Daniele Mazza del Pime svolge il suo ministero come vice-parroco. La parrocchia copre un’area molto vasta, dove i cattolici sono circa un migliaio su una popolazione di circa 600 mila persone.

Qui i missionari del Pime, che hanno appena festeggiato i 50 anni di presenza in Thailandia, curano la parrocchia e compiono diverse azioni di promozione sociale, in particolare nei confronti di bambini disabili nella Casa degli Angeli, di ragazzi orfani e abbandonati che sono ospitati in alcune case-famiglia e si recano nella baraccopoli della città per incontrare chi vive in situazioni di estrema povertà e isolamento sociale.

In particolare, padre Daniele Mazza si occupa di dialogo interreligioso con il buddismo, in un Paese dove oltre 9 persone su 10 professano tale credo.

In Thailandia dal 2008, dopo un master in studi buddisti all’università statale buddista Mahachulalongkorn, padre Daniele prosegue ora con il dottorato e quotidianamente si confronta con studenti buddisti, monaci e monache, thailandesi e non solo.

Pochi mesi fa il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, su proposta del Ministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, ha insignito padre Daniele del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia, per la sua attività a tutela delle fasce più vulnerabili della popolazione locale in Thailandia e del suo impegno nel dialogo interreligioso.

Ricca l’opportunità di approfondire con padre Daniele un dialogo tra due credo che, come ogni dialogo interreligioso, procede su due binari che si integrano: quello più intellettuale e accademico, e quello quotidiano della vita delle persone.

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– Padre Daniele, da dove nasce l’idea di studiare il buddismo?

Circa dieci anni fa il superiore generale ha invitato noi missionari del Pime in Thailandia a riprendere il dialogo con il buddismo. Negli anni passati, infatti, i bisogni pastorali delle diocesi hanno fatto sì che i missionari lavorassero soprattutto come parroci nelle parrocchie e nessuno si era mai impegnato nel campo del dialogo a tempo pieno.

Io ho dato la mia disponibilità e ho chiesto di poter frequentare il master in buddismo presso l’università Mahachulalonkorn. Potevo conoscere il buddismo anche da testi occidentali, ma mi interessava conoscerlo dal di dentro, incontrando i monaci e a partire da testi thailandesi e da professori buddisti.

– Com’è la tua esperienza all’università buddista?

Nell’università statale buddista in cui studio ho compagni buddisti da tutta l’Asia e non solo. Mentre studiavo, mi hanno poi chiesto di insegnare “cristianesimo” nella stessa università, la sfida è stata quella di presentare il messaggio cristiano a monaci in un contesto accademico, con la necessità di scegliere da dove partire e cosa presentare del cristianesimo.

Nel curriculum del master sono previsti 30 giorni di meditazione e ho provato così a immergermi nel loro modo di pregare. In parallelo, ho proposto ad alcuni di loro una condivisione sulla Parola di Dio e alcune esperienze di carità attraverso la visita a bambini disabili della parrocchia o nelle baraccopoli: per certi aspetti del cristianesimo ho preferito non solo parlare di Chiesa, ma far sperimentare cosa significhi essere Chiesa.

C’è ora un progetto ulteriore di dialogo anche tra buddismo e islam in un quartiere misto della città e in collaborazione con l’Ufficio dei servizi sociali del distretto, in un’ottica di collaborazione anche con le autorità locali.

Cultura, religione, annuncio

– La cultura asiatica, in particolare quella buddista, è ostacolo o risorsa per la diffusione del Vangelo?

Come ogni cultura, è possibile trovare i semina Verbi, ossia quegli elementi che crediamo suscitati dallo Spirito e che sono entrati a far parte di un modo di vita attraverso valori e tradizioni di un popolo. Si tratta di elementi che sono di aiuto, perché profondamente evangelici e di sostegno per la diffusione del vangelo. Un esempio: l’attenzione e la gratitudine che ci sono in Asia, in particolare in Thailandia, verso gli anziani, verso i genitori e verso gli insegnanti.

Nelle feste della mamma e del papà i figli vanno dai genitori, si inginocchiano, in certi casi lavano e baciano i piedi, a dire un senso di gratitudine molto profondo espresso anche fisicamente.

Poi, come tutte le culture, ci sono elementi non in sintonia con il Vangelo, che vanno purificati e trasformati dal Vangelo. Ad esempio, la globalizzazione ha portato molte persone a volersi arricchire, a lavorare a ritmi molto sostenuti, anche sette giorni su sette, enfatizzando il materialismo.

– In quali aspetti il buddismo fatica a incontrare il cristianesimo?

Un esempio significativo riguarda la croce, uno dei temi centrali per il cristianesimo. Per l’insegnamento buddista, che propone una via per eliminare la sofferenza, dire che la croce può essere feconda è complicato. Dire che il fallimento, la sofferenza, la malattia possono essere il grembo della vita, dell’amore, della grazia è una vera sfida.

Inoltre nel buddismo è possibile raggiungere la pienezza (il Nirvana) durante la vita, anche se questo potrebbe richiedere un numero altissimo di rinascite. Nel cristianesimo, invece, la pienezza può esserci solo oltre la morte ed è indissolubilmente legata alla ricapitolazione del mondo in Cristo. In poche parole, non posso essere pienamente libero e felice se non insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle, solo quando tutti saremo “cristificati” dallo Spirito e saremo uno nel Padre.

– Cosa può spingere un buddista a conoscere Cristo e ad abbracciare la fede?

La conversione avviene da cose molto concrete della vita. Per molti c’è una base, ad esempio aver frequentato una scuola cattolica. Da giovani, hanno imparato le preghiere, sono stati in ambienti cristiani con sacerdoti, suore o frati. Per qualche altro c’è l’insoddisfazione del proprio essere buddista.

Alcuni rimangono colpiti dalla figura di Gesù. Una volta, ad esempio, un signore mi dice “Padre, il buddismo mi dice di non arrabbiarmi, di stare tranquillo, ma al lavoro non ci riesco. Poi ho visto che anche Gesù ha dei momenti in cui si scalda e si arrabbia, mi ha colpito perché credo corrisponda alla verità della vita, cioè che tu puoi voler bene anche arrabbiandoti, quando ti arrabbi per amore, per correggere o per puntualizzare qualcosa. Non è sempre lo stare zitti e lo stare tranquilli la via da seguire. L’insegnamento di Gesù mi sembra molto umano, molto vero, molto calato nella realtà e ciò mi ha fatto bene”.

Altri sono colpiti dai suoi insegnamenti e nel cercare di metterli in pratica rimangono stupiti. Ad esempio, il perdono in casa nei confronti di una persona che ti ha fatto un torto: le persone rimangono stupite e molto contente, perché, dopo il perdono, quella relazione difficile riparte.

Trovano un insegnamento che “funziona”: i buddisti sono molto pratici sul metodo da seguire nella loro vita spirituale. Ciò crea le premesse per aiutare la persona a fare un passo in più: non è solo l’insegnamento che funziona, ma chi lo insegna, cioè Gesù, che non è solo un maestro, ma il Signore della vita a cui consegnare tutta la propria esistenza, di cui ascoltare tutti gli insegnamenti per essere tutto trasformato da Lui.

Un’altra donna in ricerca, direttrice di una banca, di fronte al versetto di Gesù “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore” (Mc 10,43) ha modificato il suo modo di rivolgersi verso i dipendenti, con meno autoritarismo e con maggiore atteggiamento collaborativo e questo ha trasformato il rapporto con loro: prima c’era più diffidenza verso di lei che era il capo, oggi molte più persone si avvicinano e si fanno prossime.

Sono queste alcune premesse che poi possono spingere a fare il passo successivo, il battesimo.

– Come cristiani e buddisti vivono il dialogo nella loro quotidianità?

Oltre al dialogo in ambito più accademico, certamente c’è il confronto nella vita quotidiana. Se si è vicini di casa, si è uomini prima che essere buddisti o cristiani. Ci si aiuta e ci si sostiene. Non è un dialogo intellettuale o spirituale, ma di vita di tutti i giorni, lo chiamiamo un “dialogo di vita”.

– Dove oggi si può incontrare la fede cristiana in Thailandia?

Penso a due aspetti. Il primo la testimonianza dei cristiani: molti dei catecumeni che contattano la parrocchia vengono perché accompagnati da amici o dal partner, che vede andare a Messa e ne restano colpiti, perché particolarmente sereni e contenti, e ciò suscita domande.

Un altro aspetto è la liturgia: alcuni vengono con un parente cristiano, partecipano al rito di un funerale o di un matrimonio e quasi tutti restano colpiti dal modo di pregare, dal silenzio, dalla compostezza del rito, dalle parole del Vangelo o dell’omelia.

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