Aquarius: un atto grave e “illegittimo”

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«In un panorama così gretto, miope, egoistico e illegittimo nei confronti della normativa internazionale l’atto della Spagna è importante». Così Lorenzo Trucco, presidente della Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), commenta l’atto che definisce «agghiacciante» di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius, dopo aver tratto in salvo 629 persone. L’intervista è stata pubblicata sul sito dell’Agenzia SIR lo scorso 11 giugno.

 Aquarius nave

La decisione della Spagna di permettere alla nave Aquarius di SOS Mediterranée con 629 migranti a bordo (tra cui bambini e donne incinte) di attraccare a Valencia «è un gesto molto positivo», anche se «non era formalmente tenuta a farlo”. «Ma questo non cambia la situazione dell’Italia che avrebbe l’obbligo giuridico di portare le persone in un porto sicuro»: a parlare è Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione studi giuridici immigrazione (Asgi), che ha seguito l’evolversi della situazione dopo il divieto del ministro dell’Interno Matteo Salvini a far attraccare la nave in un porto italiano. Quello che è accaduto è, a suo avviso, «agghiacciante». Con lui facciamo un po’ di chiarezza sulle normative internazionali e nazionali in materia…

Dopo il no dell’Italia a far attraccare la nave Aquarius ecco l’intervento a sorpresa della Spagna…

Ne prendiamo atto con piacere, è un gesto molto positivo che fa onore alla Spagna, anche se non era formalmente tenuta a farlo. Ma questo non cambia la situazione dell’Italia che avrebbe l’obbligo giuridico di portare le persone in un porto sicuro. Ci fa sentire in una posizione di assoluta arretratezza e violazione della normativa. Vedremo cosa succederà in futuro. In un panorama così gretto, miope, egoistico e illegittimo nei confronti della ragione della normativa internazionale l’atto della Spagna è importante.

A livello giuridico si può impedire ad una nave che ha salvato vite umane di attraccare in un porto?

Quello che si è verificato è veramente agghiacciante, perché stiamo parlando di persone. In questo caso si incrociano elementi di diritto internazionale e di diritto interno. Secondo le varie Convenzioni prima di tutto occorre la salvaguardia della vita in mare, che vuol dire anche la conduzione delle persone salvate in un porto sicuro. Da questi due elementi discendono tutta una serie di principi. Ci sono dei passaggi nelle Convenzioni che riguardano il salvataggio delle vite in mare in caso di situazioni di grande angoscia, pericolo e di grandi violazioni: è chiaro che deve essere dato l’accesso ai porti. In questo caso c’è una responsabilità italiana perché i soccorsi vengono coordinati dalla autorità marittime italiane. Se davvero venisse impedito l’accesso ad un porto potrebbero scattare delle norme di carattere penalistico, dall’omissione di soccorso a tutto ciò che ne consegue. Tra l’altro sappiamo che la nave ha a bordo più persone di quante ne può contenere, le scorte di viveri sono limitate.

– Chiudere i porti dunque è illegittimo?

È illegittimo e contrario alle ultime conquiste del sistema dei diritti umani, la nostra unica ricchezza europea di cui possiamo andare fieri, anche se ha avuto sempre un problema di effettività, cioè ad alcuni si applica, ad altri no. Ora siamo in una fase nuova. Il sistema è sotto attacco perché dice che non si applica ad una serie di persone. Questo è pericoloso perché la storia ci ha dato esempi tragici di come si comincia con alcune leggi restrittive rispetto ad alcune categorie e poi si prosegue.

Probabilmente è stata una prova di forza per chiedere agli altri Paesi europei di accogliere. In ballo c’è anche la discussione europea sulle modifiche del Regolamento di Dublino, che vincola l’accoglienza al primo Paese di arrivo.

Questo è un tema da affrontare ma è successivo, perché riguarda la suddivisione dei compiti dell’accoglienza. Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’Italia non debba sopportare da sola tutto l’onere dell’accoglienza e il discorso del Regolamento di Dublino va in quel senso. Ma non bisogna cercare di affossare la proposta di riforma avanzata dal Parlamento europeo che vuole superare il concetto di Paese di primo arrivo, con suddivisione di quote, concetti di famiglia, ipotesi di sponsorship. Vedremo alla fine di giugno cosa succederà. Ora ci sono i cosiddetti “triloghi” una fase di procedura complessa per arrivare alla normativa europea che prevede la co-decisione. Ci saranno incontri tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione Ue.

Perché l’opinione pubblica non capisce che recedere sui diritti di alcuni significa anche penalizzare i diritti di tutti?

Può sembrare un grande salto logico invece è quasi matematico. La storia dell’uomo insegna che nel momento in cui si tolgono i diritti ai più deboli, automaticamente l’arretramento si espande alle altre categorie: prima a quelle più vulnerabili, poi a tutte le altre. I diritti nascono per difendere i deboli, i potenti non ne hanno bisogno. Ad esempio se si riducono le difese in Tribunale per certe persone si riducono anche per altre. O in tema di anti-discriminazioni, nel momento in cui si restringono i diritti di un gruppo è facilissimo passare alla riduzione dei diritti anche nei confronti di altri. In questo caso c’è il rischio di considerare i migranti come non-persone: c’è un problema di partenza perché si discute se è giusto applicare o no dei diritti! Purtroppo nella pratica sta succedendo una situazione pre-ottocentesca, che non considera i migranti come persone. Sono i famosi primi 100 giorni di governo, per cui era prevedibile. D’altra parte si stanno attivando anche molte forme di solidarietà per reagire a questa situazione. L’unico elemento di positività è che sempre di più, non solo in Italia, ci sono fette di società civile che si oppongono, che chiedono di conoscere, di sapere. Lo vediamo con le vicende alla frontiera francese, perché i confini terrestri o marini stanno diventando il luogo in cui si gioca tutto. Sono zone in cui non c’è più il diritto e i migranti vengono considerati non-persone. Si sta tornando indietro ma è solo una questione di forza, in un’ottica molto miope.

Aquarius

«Il comportamento del governo italiano nella vicenda Aquarius è gravissimo e l’intervento della Spagna non solleva l’Italia dalle sue responsabilità».  Il 12 giugno, la ASGI ha lanciato l’allarme sul proprio sito web (a questo indirizzo) quanto al possibile imminente ripetersi di episodi analoghi a quello di Aquarius. Riprendiamo di seguito il testo firmato dalla ASGI.

Mentre scriviamo ancora non è definitivamente conclusa la vicenda della nave Aquarius, che ci auguriamo possa trovare felice esito anche grazie all’intervento delle autorità spagnole e, comunque, oltre la gestione che ha avuto da parte del Governo italiano.

La scelta di solidarietà  fatta dal Governo spagnolo di fornire assistenza materiale e giuridica ai naufraghi salvati dalla nave Aquarius, infatti, non deve oscurare la gravi responsabilità del governo italiano nella conduzione complessiva di tutte le operazioni.

Va infatti ricordato che le operazioni di soccorso sono partite su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma e che pertanto, in base al diritto internazionale – l’Italia è sempre stato il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi.

Solo in questo senso possono essere lette le principali Convenzioni internazionali pertinenti in materia e, tra esse:

– la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia con L. 313/1980);
– la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il soccorso in mare (Convenzione SAR, firmata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia con L. 147/1989, da cui il Regolamento di attuazione D.P.R. 662/1994;
– la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione CNUDM o UNCLOS, adottata a Montegobay nel 1982 e ratificata dall’Italia con L. 689/1994)

Fino al momento nel quale la Spagna non ha annunciato il suo intervento per ragioni umanitarie il centro di coordinamento dei soccorso italiano, competente e responsabile degli stessi, ha continuato a non indicare alcuna destinazione alla barca Aquarius, rendendosi completamente inadempiente verso precisi obblighi indicati dal diritto internazionale ed interno e ponendo a rischio la vita di centinaia di persone.

La situazione di pericolo e di estrema difficoltà, in cui si trovavano e si trovano tutt’ora i migranti, oltre ai membri dell’equipaggio, integra senza dubbio una situazione di pericolo che non fa ritenere legittima alcuna limitazione all’approdo in un porto italiano. Nel caso di specie doveva, infatti, immediatamente trovare applicazione l’art. 18, par. 2 della Convenzione UNCLOS, la quale prevede che lo Stato costiero non può invocare una violazione del diritto di passaggio inoffensivo né obbligare la nave straniera a riprendere il largo. Conseguentemente, lo Stato costiero, nel cui mare territoriale, o nelle vicinanze del quale, si trovi una nave in una situazione di pericolo è, infatti, il titolare primario dell’obbligo di portare soccorso ed è responsabile della conclusione del salvataggio. La nave che si trova quindi in una situazione di pericolo implicante una minaccia per la vita delle persone a bordo, qualsiasi sia lo status di questi passeggeri, gode di un “diritto” di accesso al porto.

Il diniego di accesso ai porti italiani a imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare comporta la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, applicabile poiché l’Italia, nel coordinare l’azione SAR, esercita funzioni esecutive al di fuori del proprio territorio «conformemente al diritto internazionale» (v. mutatis mutandis, Al-Skeini c. Regno Unito e Jaloud c. Paesi Bassi). Le persone soccorse vertevano infatti in evidente necessità di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), e tali bisogni non potevano esser soddisfatti in alto mare. Le condizioni alle quali gli stessi sono stati sottoposti determinano l’esposizione di uomini, donne e bambini ad un reale trattamento disumano e degradante ( in violazione dell’art. 3 cedu) e ad un serio rischio per la loro vita (in violazione dell’ art. 2 cedu).

Sulla nave Aquarius vi erano richiedenti asilo e rifugiati, pertanto la scelta del governo italiano di negare un porto sicuro a queste persone, anche poiché le operazioni di soccorso erano state gestite dalle autorità italiane, avrebbe potuto comportare per lo Stato Italiano la violazione del principio di non refoulment ai sensi dell’art 33 della Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati del 1951 se non si fosse trovato un porto sicuro. Il principio di non refoulment è un principio di diritto internazionale generale, vincolante per tutti gli Stati anche indipendentemente dalla ratifica della Convenzione del 1951; esso stabilisce il divieto di respingimento verso qualsiasi luogo in cui una persona potrebbe trovarsi esposta al rischio di persecuzione e/o di condizione ascrivibile a trattamento disumano e degradante, trattamento nel quale si sono trovati a vivere coloro che erano da giorni in alto mare in assenza di approdo in porto sicuro.

Sotto il  profilo del diritto penale, l’obbligo di prestare soccorso configura una precisa prescrizione giuridica, la quale non può essere disattesa. Si ritiene che la condotta tenuta dall’MRCC di Roma sia stata suscettibile da integrare almeno la fattispecie dell’omissione di soccorso ai sensi dell’art. 593 c.p. A ciò si aggiunga che se dal ritardo dell’ingresso fossero derivate (o dovessero derivare) morte o lesioni in capo alle persone a bordo, ciò integrerebbe fattispecie penali autonome, quali omicidio o lesioni, che sarebbero imputabili a tutta la catena di comando italiana in ragione dell’evidente dovere giuridico di salvaguardia della vita che incombe sul paese che coordina i soccorsi

Il  «braccio di ferro» diplomatico attuato parte del Governo italiano con le autorità di Malta e con la UE ha messo a rischio la vita di centinaia di persone ed il rispetto di basilari diritti della persona e ciò costituisce un precedente gravissimo nella storia europea.

Il Governo italiano aveva tutti gli strumenti legali e politici per far valere nella fase di discussione e votazione del Regolamento Dublino IV le argomentazioni che ha portato invece sul piano mediatico e dell’uso della forza contro persone in stato di necessità dimostrando l’esplicita volontà di non proporre politiche costruttive rinunciando ad un ruolo centrale nel dibattito europeo. Il Governo italiano, invece, ha voluto imporre il solo uso della forza. Sarebbe stato possibile per il ministro degli Interni in carica recarsi a Bruxelles e discutere della necessità di ripartizione equa dei rifugiati fra gli stati europei facendo valere in modo democratico e legale presso tale sede le priorità individuate dall’esecutivo italiano, senza incorrere nelle violazioni dei diritti umani fondamentali e delle norme cogenti.

ASGI, nell’auspicare che la specifica vicenda abbia esito rapido e positivo, ha tuttavia il fondato timore che situazioni analoghe possano ripetersi già dalle prossime ore fa appello a tutte le istituzioni e al Parlamento, nonché a tutte le forze democratiche del Paese, affinché l’Italia non si renda più responsabile degli indecorosi eventi che si sono consumati negli ultimi giorni e che il diritto internazionale e quello interno in materia di soccorsi in mare venga scrupolosamente rispettato.

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Un commento

  1. Gianni Paciullo 12 giugno 2018

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