Lefebvriani: il successore di Fellay

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A cinquant’anni dalla fondazione e a trent’anni dallo scisma la Fraternità sacerdotale san Pio X, fondata da mons. M. Lefebvre, ha aperto il suo capitolo generale a Écône (11-21 luglio, Svizzera). Con la maggioranza dei due terzi, i 41 capitolari hanno eletto il nuovo superiore generale con un mandato di 12 anni. Ci si aspettava la conferma di mons. Bernard Fellay che, dopo 24 anni di governo, a 59 anni poteva ottenere un nuovo mandato. Si parlava anche, come assistente, di P. Duverger che aveva condiviso i passi e i dialoghi con Roma. Invece i molti mugugni registrati nel maggio del 2017 per le (modeste) aperture nei confronti della Santa Sede hanno rovesciato la maggioranza interna.

Il nuovo superiore generale è don Davide Pagliarani e i suoi assistenti sono mons. de Galarreta e don Christian Bouchacourt. Pagliarani ha 47 anni, ha esercitato il suo ministero a Rimini e a Singapore. Nominato superiore del distretto Italia e poi passato a dirigere il seminario di Maria Corredentrice a Buonos Aires. Lì ha conosciuto il vescovo Alfonso de Galarreta, considerato il suo mentore e grande elettore.

Pagliarani: duri e puri

La Fraternità si presenta con questi numeri: 1 casa generalizia, 6 seminari, 6 case di formazione, 14 distretti, 4 case autonome, 167 priorati, 772 chiese, cappelle e centri di messa, 2 istituti universitari, più di 100 scuole, 7 case di riposo, 4 (-1) vescovi, 637 sacerdoti, 204 seminaristi, 56 seminaristi minori, 123 frati, 195 suore, 79 oblati, 4 carmeli, 19 suore missionarie in Kenia. La Fraternità è presente in 37 paesi e ne serve altri 35, in totale svolge il suo apostolato in 72 paesi nel mondo. Sono collegati ad essa numerosi ordini di rito latino e di rito orientale.

L’accelerazione conservatrice del movimento si disegna, ancor una volta, sul rifiuto del Vaticano II e dei suoi documenti. Il tono non immediatamente reazionario dell’intervista di Fellay apparsa sul nostro sito (qui) non avrà seguito, a vantaggio di posizioni più conservatrici. Basta confrontare la risposta di Fellay sulla messa e quella di Pagliarani in una intervista di alcuni anni fa.

«Noi parliamo già dell’invalidità di molte messe. Ma dire che tutte le messe sono invalide, non corrisponde alla linea della Fraternità. È una cosa che non abbiamo mai detto. Nella discussione con Roma abbiamo sempre sottolineato di riconoscere la validità della nuova messa, se è celebrata secondo i libri e l’intenzione di fare ciò che la Chiesa ha il mandato di compiere. Bisogna distinguere a questo riguardo tra valido e buono». «La nuova messa ha delle lacune e nasconde dei pericoli. Naturalmente non ogni nuova messa costituisce direttamente uno scandalo, ma la celebrazione ripetuta della nuova messa porta a una fede debole e persino alla sua perdita. Vediamo come ogni giorno sono sempre meno i preti che credono ancora alla presenza reale». Fin qui Felay.

pagliarani

Don Davide Pagliarani, nuovo superiore della Fraternità di San Pio X

Pagliarani così si esprime: «Sul punto della messa tridentina è chiaro che non possiamo essere d’accordo sull’affermazione del papa – secondo Benedetto XVI non vi è opposizione dottrinale fra i due riti (ndr) – che i due riti si arricchiscono a vicenda. I due riti si fanno la guerra, presuppongono due ecclesiologie incompatibili tra di loro su molti punti, dal concetto di sacerdozio a quello di sacrificio (…). Nessuna persona di buon senso può credere alle parole del papa (…); noi non ci limitiamo a pretendere il rito tradizionale in latino, ma vogliamo discutere sugli errori della riforma liturgica. La libertà della messa tridentina non basta». A conferma della posizione, arriva a sostenere la legittimità di una riordinazione dei preti che passano all’obbedienza della Fraternità: «La Fraternità non ha mai proceduto in modo sistematico, bensì valutando con la massima prudenza caso per caso e procedendo unicamente laddove il dubbio era fondato».

Contro il Vaticano II

Stessa distanza anche per quanto riguarda i dialoghi con Roma.

Così Fellay: «C’è un atteggiamento amichevole, c’è benevolenza. Da anni lavoriamo con Roma per ristabilire la fiducia. E abbiamo compiuto grandi progressi nonostante tutte le reazioni. Se arriveremo ad un accordo ragionevole con condizioni normali, saranno molto pochi ad andarsene. Io non temo una nuova scissione nella tradizione, se sarà trovata la soluzione giusta con Roma. Noi dobbiamo mettere in questione certi punti del Concilio. I nostri interlocutori a Roma ci hanno detto: i punti principali – libertà di coscienza, ecumenismo, nuova messa – sono problemi aperti. Si tratta di un progresso incredibile. Finora si diceva: dovete obbedire. Ora i collaboratori della Curia dicono: dovreste aprire un seminario a Roma, una università per la difesa della tradizione. Non è più tutto bianco e nero».

Per Pagliarani: «Può sembrare paradossale, ma il servizio più prezioso che si possa offrire oggi al santo padre è proprio quello di dirgli “non possumus” (…). Quanto ai toni (dei dialoghi), se qualcosa è cambiato, ciò non riguarda le questioni di fondo, ma lo scenario concreto (…). Contrariamente a quanto alcuni pensano, nell’ottica della Fraternità, l’obiettivo della discussioni non è tanto quello di trovare una collocazione canonica per sé stessa, ma, ancora una volta, quello di rendere un servizio alla Chiesa e alle anime che attendono il trionfo della verità». L’obiettivo è la denuncia degli errori del concilio. (Cf. qui le critiche di Andrea Grillo a Fellay e alla curia romana).

Appare probabile che la nuova cupola dei lefebvriani accentui ulteriormente la critica alle scelte ecumeniche e interreligiose della Chiesa cattolica, denunciandole come relativizzazione della validità e unicità della fede cattolica, come equivalenza di tutti i culti e come svendita della salvezza ai «beni» della modernità. Contestualmente, si riapriranno le ferite verso le altre comunità tradizionaliste accusate per la loro incapacità di «tenere il punto». C’è da attendersi il rallentamento o il blocco dei dialoghi con Roma e anche l’accentuarsi dell’aggressività verso l’islam, considerato nell’insieme come fondamentalista, schiavista e fanatico. In anni recenti uno degli esponenti del lefebvrismo italiano, don Floriano Abrahamowicz, è stato considerato il cappellano della Lega per la sua vicinanza a Bossi e alle tendenze xenofobe del movimento. L’interessato è stato poi allontanato per il negazionismo circa la Shoah. Ma il clima del paese potrebbe di nuovo avvicinare il tradizionalismo religioso con la destra politica.

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5 Commenti

  1. Mario Leone 11 agosto 2018
  2. Gregorius 14 luglio 2018
    • Andrea Grillo 17 luglio 2018
      • Attilius 19 luglio 2018
  3. Marco 13 luglio 2018

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