Il papa e il generale: attenti a quei due!

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Arturo Sosa e Federico LombardiSi è aperta il 2 ottobre e si è chiusa il 12 novembre. La 36ª Congregazione Generale dei gesuiti ha avuto i due momenti maggiori nell’elezione del nuovo Preposito generale, p. Arturo Sosa Abascal, il 14 ottobre (trentesimo successore di sant’Ignazio) e la visita di papa Francesco il 24 ottobre. Il maggiore organo rappresentativo, composto da 212 padri capitolari, per un ordine religioso di 16.740 membri, ha approvato tre documenti maggiori: sulla vita comunitaria e la missione, sul governo ai suoi vari livelli e un testo di sostegno ai confratelli nei luoghi più esposti e difficili dell’evangelizzazione. Ne parliamo con p. Federico Lombardi.

Prima la condivisione poi i documenti

P. Lombardi, la Congregazione Generale si è chiusa da poco tempo. È stata relativamente breve, ma comunque più di un mese. Fra i religiosi riemerge spesso la domanda: queste strutture rappresentative sono ancora necessarie nelle loro tradizionali scansioni? Sarebbe possibile fare altrimenti?

«La recente Congregazione Generale è durata 42 giorni, la più breve fra quelle degli ultimi cinquant’anni. Ma bisogna tener conto che – proprio per semplificare lo svolgimento complessivo – era stata prevista una innovazione nelle procedure di preparazione che permetteva di anticipare la costituzione di alcune commissioni e la stesura dell’importante “Relazione sullo stato della Compagnia di Gesù”, che è molto utile come prima base delle riflessioni dei partecipanti. Ma anche queste anticipazioni sono costate tempo e impegno, cosicché bisogna valutare bene se, tutto sommato, si è veramente risparmiato.

In ogni caso, i gesuiti non hanno finora mai pensato di mettere in questione il sistema delle Congregazioni Generali come pensato da Sant’Ignazio nelle Costituzioni, cioè senza scadenze fisse ma con una verifica periodica se siano da convocare o meno, e con una rappresentatività elettiva da tutte le province del mondo. Anche se, quando avvengono, richiedono un notevole sforzo e impegno, si manifestano sempre momenti di esperienza reale di unione e discernimento comune del corpo universale della Compagnia di Gesù. Proprio per questo richiedono un tempo abbastanza prolungato: duecento persone che vengono da paesi e culture e attività apostoliche differenti mettono un certo tempo per conoscersi, capirsi, lavorare e pregare insieme, formare un consenso su temi importanti… Ma senza di questo la Compagnia di Gesù resterebbe priva dei momenti più fecondi e significativi che permettono all’Ordine di sentirsi veramente unito nonostante la sua varietà “sconcertante” (come amava dire il P. generale Kolvenbach!). Non si tratta infatti solo di formulare dei bei documenti o prendere decisioni a maggioranza, ma bisogna che questo sia il risultato di una esperienza comune, vissuta e condivisa in uno stesso spirito. Il metodo caratteristico dell’elezione del Padre generale, a conclusione dei quattro giorni di “mormorazioni” della Congregazione riunita, lo dimostra nel modo più chiaro: non è un momento di confronto, dibattito e formazione di partiti, ma sempre un momento di convergenza, consenso e unità vissuta.

Le tecnologie odierne permettono molte cose buone nella rapidità e semplicità delle comunicazioni, ma l’incontro personale, lo stare e pregare insieme, il parlare faccia a faccia, almeno nelle situazioni più cruciali e decisive è insostituibile per la vita e la crescita di una comunità reale. Un aspetto su cui si può riflettere è quello del numero complessivo dei membri della Congregazione generale, che con il sistema rappresentativo attuale supera i 200. È possibile ridurlo in modo significativo garantendo allo stesso tempo una rappresentatività elettiva sufficiente a livello mondiale? Non è semplice ma si può ancora studiare».

Le mormorazioni e l’eletto

Un momento centrale è stata l’elezione del nuovo generale, p. Arturo Sosa. I poteri fanno del Preposito generale uno snodo fondamentale della Compagnia. Quali sono le considerazioni che hanno favorito la sua elezione? Com’è strutturata la governance della Compagnia?

«In un Ordine in cui l’obbedienza religiosa rappresenta un aspetto fondamentale per il modo di concepire e vivere la missione apostolica, la figura del Padre generale è certamente centrale. I criteri di discernimento da parte degli elettori sono facilmente immaginabili. Possono spaziare dall’esperienza di governo alla conoscenza della Compagnia di Gesù, della sua identità, spiritualità e storia; alle doti personali dal punto di vista umano, culturale e spirituale, alle capacità di relazioni interne ed esterne all’Ordine; alla consapevolezza della realtà del mondo odierno e delle sfide della Chiesa in questo contesto, e così via. Naturalmente in un ordine religioso che sa di essere chiamato al servizio della fede e della giustizia in dialogo con le culture e le religioni del mondo, in sintonia con la Chiesa universale oggi guidata dal papa Francesco, gli elettori cercano una persona che risponda al profilo adatto per governarlo in questa prospettiva.

Ho più volte osservato che non mi sembrava un caso che i tre ultimi predecessori del nuovo generale fossero sì di origine europea, ma tutti e tre con la loro intera vita apostolica trascorsa “in missione”, rispettivamente in Giappone, in Medio Oriente, in Giappone e nelle Filippine. Ora abbiamo un latinoamericano che ha trascorso la gran parte della sua vita impegnato nello studio e nell’azione sulla frontiera dei grandi problemi sociopolitici del suo paese: fede e giustizia, con approfondimento spirituale e intellettuale delle situazioni e dei problemi.

Naturalmente il Padre generale non governa da solo, ma con l’aiuto di un consiglio abbastanza numeroso (almeno una dozzina di persone fra assistenti regionali e altri consiglieri con compiti specifici) e fra questi consiglieri quattro hanno ricevuto direttamente dalla Congregazione Generale, tramite elezione, l’autorità di “Assistenti ad providentiam”, già prevista da sant’Ignazio per poter dare al generale i consigli utili per il bene suo e dell’ordine ed eventualmente intervenire in casi di emergenza».

Quali decisioni hanno caratterizzato p. Sosa nel suo provincialato in Venezuela e nel suo servizio alla case internazionali di Roma?

«Il p. Sosa, come già accennato, è stato impegnato per molto tempo nelle attività dei gesuiti venezuelani tramite un importante centro sociale e una rivista, inoltre è stato Provinciale e poi rettore di una università cattolica situata nella regione vicina al confine fra Venezuela e Colombia, dando un’impostazione dinamica al lavoro culturale in un’area particolarmente ricca di tensioni e problematiche sociali. Il compito poi di delegato del generale per le case e opere internazionali di Roma (fra cui la Gregoriana, il Biblico e l’Orientale) lo ha inserito direttamente in attività culturali e formative di orizzonte ecclesiale universale, nel mondo romano e dei contatti con il Vaticano. Avendo partecipato a quattro Congregazioni Generali, dalla 33ª, che elesse il Padre Kolvenbach, fino all’ultima, che ha eletto lui, ha un’ottima conoscenza della Compagnia di Gesù anche negli altri continenti».

Il tablet e l’influenza

Può dire qualcosa dei documenti approvati dall’assemblea e sugli indirizzi condivisi per il futuro?

«La Congregazione doveva anzitutto eleggere il nuovo Generale e assisterlo nel formare la sua nuova équipe di governo. Non ci si attendevano molti nuovi documenti, poiché già le Congregazioni precedenti avevano fatto un ampio lavoro di aggiornamento sulla nostra vita religiosa e le nostra missione dopo il Concilio Vaticano II. Ma naturalmente nella dinamica del mondo e della Chiesa attuale bisogna svolgere una riflessione e un discernimento continuo, che tenga conto del mutare delle situazioni, dei fenomeni emergenti, dello spirito dei pontificati, in particolare ora di quello di papa Francesco. Si sono approvati tre documenti più importanti, uno dedicato appunto ai temi della vita religiosa (in particolare della comunità, del suo discernimento apostolico e del suo stile di vita) e delle sfide più attuali della missione, un altro piuttosto sui temi del governo nei suoi diversi livelli, e uno che è un messaggio di vicinanza e solidarietà ai confratelli che vivono in situazioni di rischio e di conflitto condividendo le sofferenze drammatiche dei popoli presso cui vivono.

– Nelle lunghe convivenze capitolari hanno luogo anche siparietti divertenti. Ne ricorda qualcuno?

«Questa volta ci trovavamo in un’aula completamente rinnovata e dotata di nuove strumentazioni tecnologiche, per cui ognuno di noi non poteva separarsi da un tablet personale per leggere i documenti, votare, pregare, ascoltare le traduzioni simultanee ecc. Naturalmente la tecnologia è bella finché funziona… ma qualche volta c’è qualche inconveniente e le votazioni per alzata di mano salvano la situazione. Inoltre, stare a lungo insieme per ore l’uno vicino all’altro permette una bella condivisione umana e spirituale, ma alla fine si sono condivisi anche i microbi dell’influenza e un buon numero ne ha portato le conseguenze…».

Francesco: sintonia intensa

Quali sono state le reazioni dell’assemblea agli incontri con Francesco, il primo papa proveniente dalle vostre file? Il quarto voto (l’obbedienza al papa) è stato in passato abbastanza discusso. È riemerso ancora?

«L’incontro con papa Francesco è stato ovviamente un momento culminante della Congregazione. Questa volta è venuto lui da noi, mentre in passato – come normale – era la Congregazione ad andare dal papa. E’ stato con noi più di tre ore, tra il suo discorso e la conversazione di risposte alle nostre domande libere (la conversazione è stata pubblicata su Civiltà Cattolica n. 3995, del 10 dicembre). Tempo di grande familiarità e serenità, diciamo pure di fraternità. In quell’aula il padre Bergoglio aveva partecipato a due Congregazioni Generali. Qualcuno di noi si aspettava indicazioni abbastanza concrete per la missione, in realtà ci ha dato una forte ispirazione spirituale per la nostra identità di gesuiti, ma non ci ha dispensato dal dovere di fare noi il discernimento che ci è richiesto. Il clima di sintonia fra la Compagnia di Gesù e papa Francesco è oggi molto forte, direi che è un momento di grazia. Nessuno si poneva dei problemi sul “sentire con la Chiesa” che invece in altri tempi si erano sentiti. Ma non direi che il “quarto voto” di “obbedienza al Papa circa le missioni” sia mai stato messo in dubbio o discusso nella Compagnia di Gesù, al più si potevano percepire o vivere dei problemi di maggiore o minore “sintonia”. Oggi, come già detto, la sintonia è particolarmente intensa».

La diversa dislocazione mondiale dell’ordine suppone l’inculturazione del carisma di Ignazio. Può darne qualche esempio e alcuni criteri? Quale ruolo per la tradizione europea?

«La Compagnia di Gesù vive una situazione di “transizione demografica” nel senso che la maggioranza dei suoi giovani sono oggi asiatici o africani. I gesuiti “occidentali” saranno in futuro una minoranza nel numero globale. In questo senso la Congregazione è stata un momento molto importante. Ad esempio, la maggior parte del numeroso gruppo degli indiani si trovava per la prima volta in un contatto prolungato con i gesuiti di altre parti del mondo. Così ci si rendeva conto in concreto di che cosa vuol dire essere e costruire un corpo apostolico di natura veramente universale e unito, come noi vogliamo essere per servire davvero la Chiesa “universale”. Quali forme concrete e “reti” di collaborazione interprovinciale si possono sviluppare; come caratterizzare la formazione in modo da rispondere alle esigenze specifiche di una cultura, ma allo stesso tempo senza chiuderla rispetto a un’apertura più larga; come porci l’obiettivo comune dell’impegno per la protezione dei minori in contesti culturali diversi, e così via. Gli incontri non solo nell’assemblea generale, ma anche nei gruppi di lavoro più ristretti composti di gesuiti di diverse regioni e culture, sono stati preziosissimi per capire difficoltà, interrogativi e sfide, per crescere nell’ascolto reciproco, per intravvedere come continuare il cammino».

Servire e basta

Immagino che la discussione interna si sia allargata a relazioni con altre identità ecclesiali (vescovi, movimenti, laici), e in alcune aree come la Cina…

«Il tema della collaborazione con “altri”, che sono i laici ma non solo, è ricorrente da vari decenni. In parte è stato imposto dalla situazione e dalla diminuzione del numero dei gesuiti, ma fortunatamente è soprattutto espressione del crescere della sensibilità ecclesiale più ampia, seguita al concilio e al cammino della Chiesa nel nostro tempo. Ci sono moltissime attività promosse dai gesuiti in cui i gesuiti stessi sono una piccolissima minoranza degli operatori attivi: pensiamo alle attività con i rifugiati, ma anche alle stesse istituzioni educative, scuole o università ecc. Ci sono anche tante attività in cui i gesuiti collaborano senza esserne stati loro gli iniziatori o gli ispiratori. Si svolge un servizio per la Chiesa o per gli altri senza voler mettere alcuna etichetta nostra su di esso. Si serve e basta… Nelle sue omelie in occasione delle concelebrazioni avvenute dopo la sua elezione, il p. Sosa lo ha detto molto esplicitamente. Sono le esigenze della umanità e della Chiesa che ci devono indicare il modo appropriato di servire, con molta disponibilità e umiltà, ora prendendo l’iniziativa e ora collaborando in subordine se è meglio così.

La Congregazione nel suo insieme, a parte il messaggio di solidarietà per i gesuiti in situazione di rischio o conflitto, non ha trattato di missione in regioni particolari. Tuttavia naturalmente i confratelli impegnati in situazioni specifiche – ad esempio i rappresentanti della provincia di Cina, o del Medio Oriente o di certe aree africane – hanno potuto informare o condividere le loro esperienza trovando molta attenzione da parte degli altri».

Intervista a cura di Lorenzo Prezzi

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