Raffaello, un romanzo storico ed estetico

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Raffaello, Autoritratto con un amico (part.), 1518-1520, Museo del Louvre

Gianluca De Candia, professore di filosofia e dialogo con la cultura contemporanea presso la Kölner Hochschule für Katholische Theologie, è uno dei protagonisti dello scambio transalpino fra filosofia italiana e tedesca. L’ultima sua fatica è la traduzione in tedesco dell’opera Verità e interpretazione di Luigi Pareyson, apparsa lo scorso marzo nella prestigiosa collana «Philosophische Bibliothek» dell’editore Felix Meiner di Amburgo.

La giuria della 16ª Edizione del «Premio Nazionale di Filosofia – Le figure del pensiero», istituito nel 2007 dall’Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche con la cooperazione di «Philomates Association» e della «Società Filosofica Italiana», ha deciso di assegnare il primo premio «romanzo filosofico inedito» a Gianluca De Candia per il suo «Il manoscritto Branconio», romanzo storico ed estetico sulla figura di Raffaello. Il premio gli sarà consegnato il prossimo 18 giugno a Certaldo (Firenze), città natale di Boccaccio. Abbiamo intervistato il destinatario del premio.

  • Professore, perché mai ha scritto un romanzo filosofico?

Per sfuggire alla «peste», proprio come i dieci giovani del Decamerone. Non avevo alcuna intenzione di scrivere un romanzo, mi ci sono trovato dentro. Ero in mezzo ad un intreccio pinocchiesco, volevo dar fuoco a tutto e scappare con le mie gambe di legno, finire in bocca alla balena, e pazienza…

  • Quando ha trovato il tempo di scrivere?

Durante la pandemia. L’isolamento forzato mi spingeva a fuggire in una terra di mezzo. E lì il riscatto: la scrittura. Mi sono aggrappato alla penna e via, su in alto… Del resto, la forza di astrazione è l’unica vera arma che il buon Dio mi ha concesso.

  • Ci parli del romanzo…

È la storia di Raffaello Sanzio, scritta dal suo amico ed esecutore testamentario Giovanni Battista Branconio dell’Aquila (1473-1522). Nella «Avvertenza al lettore» dichiaro di aver trovato il «Manoscritto Branconio», e di averlo letto e riletto più volte prima che andasse distrutto. Faccio dunque affidamento alla mia memoria e ricostruisco il contenuto di quella testimonianza.

Branconio ci rivela i segreti del grande Raffaello, la sua storia d’amore romana, il suo rapporto con i papi, perché mai giunse sulla soglia di essere eletto cardinale, la gelosia di Michelangelo nei suoi confronti, che in quegli anni dipingeva la volta della Sistina.

Chi avrebbe mai detto che dietro il favoloso pennello di Raffaello si celasse un animo così irrequieto? Ciò che rende il tutto ancora più accattivante è che Branconio puntella il suo racconto rivelandoci il dietro le quinte delle più grandi opere di Raffaello. Egli ci rivela i messaggi cifrati nascosti in alcuni dei suoi capolavori, così che il lettore, dopo aver letto la sua descrizione, non potrà più guardare a quelle opere senza pensare alla storia intrigante che vi si nasconde dietro. Insisterò perché il libro sia stampato con una serie di 15 tavole a colori. E se l’editore non sarà d’accordo – perché la stampa a colori e il copyright sono sicuramente onerosi – spero si faccia avanti un altro Editore che sia disposto a sostenere l’impresa.

  • Se comprendo bene, il suo è insieme un romanzo storico ed estetico?

Per certi versi è anche questo, dal momento che ho studiato per filo e per segno la Roma papale del Cinquecento e ho letto le analisi più autorevoli dei capolavori raffaelliti, e ho scritto nel linguaggio di Guicciardini e Baldassarre Castiglione – è Branconio del resto il narratore. Per capirci, un po’ come fa Umberto Eco ne Il nome della rosa o nell’Isola del giorno prima.

Certamente, dunque, il racconto ci restituisce il senso di un’epoca, ma si tratta di un romanzo filosofico, nel senso che la narrazione dei fatti provoca riflessioni che trascendono il dato contingente e ci invitano a riflettere su quale sia il rapporto fra amore sacro e profano, fra peccato, grazia e merito, e su cosa sia la religione, l’amicizia, la paternità, la bellezza, il potere e il destino. Sì il destino, come dichiara Branconio all’inizio del manoscritto, egli scrive perché «l’uomo possa vedere come Iddio e la vicissitudine governino la macchina del mondo».

  • Vi è una scena del romanzo a cui tiene in modo particolare?

Ce ne sono diverse. Se dovessi sceglierne solo una: il dialogo con Egidio da Viterbo, che abitava al convento di Sant’Agostino in Campo Marzio.

Raffaello riceve dal papa Giulio II la commissione per la Stanza della Segnatura e perciò viene convocato da padre Egidio per discutere dell’universale armonia da mettere in pittura. Un dialogo vertiginosamente neoplatonico.

I due parlano della bellezza, parlano di Dio. Egidio riporta la definizione forse più bella per descrivere il mistero divino: Egli è «intra cuncta, nec inclusus; extra cuncta, nec exclusus; super cuncta, nec elatus; subter cuncta, nec substratus». Egli è in tutto, ma non racchiuso; fuor da tutto, ma non escluso; sopra tutto, ma non superbo; sotto tutto, ma non sottomesso…

  • Quale è invece il personaggio che le è più simpatico?

Fra’ Giocondo, il teologo che accompagna i lavori nelle stanze vaticane. Una figura deliziosa. Ma anche Branconio, un uomo che ben merita il titolo di amico.

  • C’è un personaggio che la rappresenta particolarmente?

Il bello della scrittura è che puoi diventare tutti quelli che vuoi. Non posso escludere che ci siano tratti di me in questo e quel personaggio, ma no, non c’è un mio alter ego nel racconto. Sarebbe troppo noioso.

  • Potrebbe offrire in anteprima ai nostri lettori un passaggio dal libro?

Volentieri, l’«Avvertenza per il lettore», che apre il libro:

Mio nonno era un bibliofilo di una voracità inquietante. La sua più grande gioia – dopo i toscani, s’intende – era viaggiare, desiderando di tornare a casa carico di esemplari antichi per la sua biblioteca. Trovava in ogni volume che avesse più di cent’anni qualcosa di miracoloso, già per il fatto di aver superato indenne chissà quanti nubifragi, soffitte e camini prima di approdare nelle sue mani. Io, che ero il nipote più piccolo, venivo ingaggiato d’estate per riordinare l’ingombro di libri e spolverare le vertiginose scaffalature zeppe di pergamene. Finalmente, dopo una manciata di anni, giunse l’estate del mio licenziamento. Il momento era solenne: ero diventato un uomo e lui se ne accorse. Il rito di investitura prevedeva che meditassi il pezzo forte della sua collezione: il manoscritto di Giovanni Battista Branconio dell’Aquila (1473-1522), amico ed esecutore testamentario di Raffaello Sanzio (1483-1520). Con l’entusiasmo del neofita mi tuffai a capofitto in quelle pagine ingiallite ed intriganti, perché mi parlavano non solo dei segreti del grande Raffaello, ma anche del destino, dell’amore, della religione, dell’amicizia, restituendomi il senso di un’epoca. Rilessi più volte quel manoscritto prima che il fuoco di settembre lo ingoiasse, insieme alla casa di legno, agli altri libri e al povero nonno. Avrei di gran lunga preferito poter offrire al lettore la nota dell’editore al testo originale. Dovremo però accontentarci di questa semplice avvertenza del narratore, che pure assicura non trattarsi di furfanteria, a meno che la vita stessa non lo sia.

 

 

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