Segreto confessionale, lotta agli abusi

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A seguito delle raccomandazioni della Commissione Reale sulla piaga degli abusi sessuali è stata approvata dal governo della regione di Canberra una legge che impone ai preti cattolici di rompere il segreto confessionale (cf. SettimanaNews, «Australia: il segreto è reato»). Così risponde Christopher Prowse, arcivescovo di Canberra e Goulburn («Reporting scheme shouldn’t ignore Catholic community’s concerns», in The Canberra Times, 6 giugno 2018).

Prowse

L’arcivescovo di Canberra, Christopher Prowse

I piani del governo Barr di estendere le «Disposizioni di denuncia della condotta» («Reportable Conduct Scheme») affinché includano anche le organizzazioni religiose sono da elogiare, ma non si dovrebbero ignorare i timori della comunità cattolica.

La Chiesa cattolica condivide la preoccupazione del governo quanto alla protezione della sicurezza dei minori e desidera essere parte della soluzione. I disegni di legge di cui si parla sono una conseguenza del fallimento profondo delle autorità della Chiesa e del nostro dovere di custodire i minori. È un fallimento che segnerà la Chiesa per decenni, e che ha già segnato molte delle vittime per un tempo anche superiore.

Per questo fallimento la Chiesa domanda perdono. Io domando perdono.

Toglierlo non serve

Stiamo facendo il possibile in questo tempo per assicurare che le nostre scuole e parrocchie siano luoghi sicuri e che i protocolli e le prassi per un’azione immediata contro tali situazioni siano previsti.

Abbiamo ascoltato la comunità australiana, soprattutto la grande preoccupazione della comunità cattolica. Abbiamo imparato e risposto a livello pratico. Mi sono personalmente impegnato perché questo importante lavoro prosegua.

Sostengo le disposizioni governative in materia di denuncia dei comportamenti. Quando le disposizioni sulla denuncia delle accuse di abuso sui minori non includevano le parrocchie e le comunità religiose, ho chiesto che l’anomalia fosse rettificata e le disposizioni venissero rafforzate. Non posso tuttavia sostenere le indicazioni del governo di rompere il sigillo della confessione.

Primo: che cosa un molestatore potrebbe confessare a un prete sapendo di essere denunciato? È esperienza comune dei sacerdoti che chi molesta un minore non confessi il crimine né ai sacerdoti né alla polizia. Se il sigillo del segreto fosse rimosso, svanirebbe anche la remota possibilità che i colpevoli si confessino e vengano consigliati di denunciare il loro crimine alla polizia.

Secondo: il governo stesso ha riconosciuto l’affermazione del Consiglio ecclesiale «Verità, Giustizia e Guarigione» secondo la quale «la prova esibita alla Commissione Reale circa gli abusi del segreto confessionale (in ordine alla copertura dei colpevoli – ndt) era, al più, selettiva e rattoppata, e sulla base di tale prova è difficile sostenere la tesi di un sistematico abuso del segreto». Il governo non ha contestato tale pronunciamento. Chi celebra il sacramento della confessione è pentito dei propri peccati, s’impegna a non peccare più e cerca la misericordia di Dio. I pedofili commettono crimini indicibili e malvagi. Essi nascondono i propri crimini e non si auto denunciano spontaneamente.

Terzo: non vi è alcuna garanzia che un sacerdote conosca l’identità del penitente. Se c’è la grata nel confessionale, il sacerdote potrebbe non vedere il penitente. E anche se lo vedesse, potrebbe non conoscerlo. Non esiste l’obbligo di provare la propria identità per confessarsi.

Quarto: i sacerdoti sono vincolati da un sacro voto a mantenere il sigillo della confessione. Senza questo vincolo, chi sarebbe disposto a liberarsi dal peso dei propri peccati, a ricercare un consiglio saggio dal sacerdote e a ricevere il perdono misericordioso di Dio?

Sacramenti e libertà religiosa

Il governo dichiara interesse a confrontarsi su questo punto cruciale, invitandomi a incontrare il Procuratore Generale per discutere l’importanza sia di proteggere i minori sia del sigillo della confessione. Tuttavia, oggi (6 giugno), il governo sta discutendo la legge senza che il nostro incontro abbia avuto luogo. È di vitale importanza che ci sia riconosciuto questo diritto. La Chiesa cattolica ha interesse che questa cosa sia risolta. La nostra intenzione di essere parte della soluzione è molto seria. Ma dobbiamo essere coinvolti in un dialogo reale.

La legge in discussione minaccia inoltre qualcosa di molto importante per i cattolici e per tutte le persone di fede: la libertà religiosa. La libertà religiosa è la libertà di avere una convinzione religiosa e, secondariamente, di poter esprimere tale convinzione nello spazio pubblico in comune, oppure in privato e individualmente, nel culto, nelle pratiche e nell’insegnamento.

Il governo minaccia la libertà religiosa ritenendosi esperto di pratiche religiose e tentando di cambiare il sacramento della confessione senza apportare miglioramenti alla sicurezza dei minori. L’attuale proposta di legge porrebbe inoltre il quadro legislativo in disaccordo con altra parte della giurisdizione.

La ragione per cui queste leggi molto probabilmente verranno approvate non è la protezione dei minori, ma lo shock degli abusi nella Chiesa cattolica. La violazione del sacro sigillo della confessione non aiuterà a prevenire gli abusi e non aiuterà i nostri sforzi per aumentare la sicurezza dei minori nelle istituzioni cattoliche. Chiediamo con forza al primo ministro di permettere che la Chiesa cattolica venga coinvolta nel dibattito al fine di assicurare che sia parte della soluzione.

Insieme possiamo assicurare la protezione dei diritti dei minori e garantire l’integrità dei nostri sacramenti.

Christopher Prowse,
arcivescovo di Canberra e Goulburn

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