Coscienza e nullità matrimoniale

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matrimonio

Capita ormai non di rado di trovarci davanti a fedeli che ritengono “in coscienza” il loro matrimonio nullo. Cosa comporta questo loro convincimento in coscienza in relazione alla nullità matrimoniale? Può esserci un conflitto?

Come si può comprendere la questione della coscienza in riferimento alla nullità matrimoniale è un argomento che merita una seppur breve e non esaustiva puntualizzazione[1], anche in vista di un corretto itinerario di discernimento e integrazione o di un concreto iter processuale, il quale ha come finalità aiutare a conoscere la verità sul matrimonio[2].

Discernimento della coscienza

Tale questione, tuttavia, non è nuova ma già san Giovanni Paolo II ne aveva parlato nell’Esortazione postsinodale Familiaris consortio al n. 84 affrontando il tema della situazione canonica dei fedeli divorziati risposati che «sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».

Queste parole sono state riprese da Papa Francesco in Amoris laetitia (=AL) 298. Precedentemente ad AL il Papa affronta questo argomento nel m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus (=MIDI) con il quale riforma alcuni aspetti della dichiarazione di nullità del matrimonio di quei «fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo» (MIDI, Regole Procedurali [=RP] art. 2).

Da quest’ultimo testo, si suppone che esistono questi fedeli e che la loro “convinzione soggettiva della nullità” potrebbe essere il fondamento per dare inizio a un’eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Si comprende, al tempo stesso, l’attenzione e la preoccupazione di Papa Francesco per coloro che hanno avuto un matrimonio finito male e vivono in una situazione che la Chiesa considera “irregolare”, in quanto un matrimonio non può essere sciolto con il divorzio.

Per questo nel cercare di rendere più accessibile e snello lo strumento della nullità del matrimonio il Pontefice ha esortato anche ad avere un’attenzione pastorale verso queste situazioni di “irregolarità” (cfr. AL 244) e convincimento che hanno alcuni fedeli circa la nullità del matrimonio. Questo non significa che si sia voluto stravolgere il giudizio di nullità e renderlo una sorta di “divorzio della Chiesa”. La Chiesa, infatti, resta ferma sul principio dell’indissolubilità[3], ma può agire sulle modalità con cui viene accertata la nullità del matrimonio.

Nei documenti del Papa, dunque, non vi è fondamento che il fedele stesso, con o senza avvalersi di un consulente, consideri valido o “putativo” il suo secondo matrimonio civile, né tantomeno che possa ricevere i sacramenti. Ma quando la convivenza è totalmente rotta e non può essere ripristinata, deve essere spiegata la differenza tra un fallimento, a causa dei loro comportamenti, e la nullità matrimoniale[4].

A riguardo, Papa Benedetto XVI precisò che «là dove sorgono legittimamente dei dubbi circa la validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza» (Sacramentum Caritatis, 29).

La fondatezza in merito si deve verificare mediante due momenti: si inizia di fronte all’operatore pastorale (parroco[5], consultori familiari, struttura stabile diocesana di carattere giuridico-pastorale per le situazioni di fragilità matrimoniale[6], esperti in diritto canonico) per poi continuare l’intervento pastorale del giudice, chiamato attraverso il processo matrimoniale a compiere un discernimento atto a verificare la validità o meno del vincolo coniugale.

Tuttavia, nel verificare la fondatezza di dubbi circa la validità del matrimonio, se dovesse presentarsi il caso (rarissimo) di un fedele che, con ragioni obiettive, abbia la fondata convinzione in coscienza della nullità del suo matrimonio, ma non si possa dimostrarlo davanti al tribunale ecclesiastico andrà valutato e compreso sempre secondo la giurisprudenza canonica.

A tal proposito saggiamente è stato evidenziato che «non si deve dimenticare che per arrivare a un pronunciamento a favore della nullità del matrimonio è necessario che non vi si opponga nessun ragionevole dubbio.

Se, tuttavia, la certezza della nullità, nella coscienza del fedele, fosse davvero obiettiva e non si potesse in alcun modo provarla, quel matrimonio in quanto nullo, non costituirebbe un impedimento di legame per un nuovo matrimonio, la cui celebrazione, però, resterebbe illecita per il diritto positivo della chiesa che vieta anche in questi casi la celebrazione del matrimonio e considera i fedeli che facessero una simile scelta come persone che incorrono in situazione matrimoniale oggettivamente irregolare [a tal riguardo il can. 1085 § 2 dice: “Quantunque il matrimonio precedente sia, per qualunque causa, nullo o sciolto, non per questo è lecito contrarne un altro prima che sia constatata legittimamente e con certezza la nullità o lo scioglimento del precedente]»[7].

Prassi ecclesiale e nullità di coscienza

In sintonia con Benedetto XVI, Francesco richiede che venga condotta una IPP [8] che «accoglie i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo» (MIDI, art. 2 RP). Nel considerare le due possibilità (quelli che sono convinti della nullità o che dubitano della validità), sembra propendere verso una pianificazione più aperta possibile in questi casi.

In AL Francesco propone di sviluppare una pastorale dell’accoglienza di questi fedeli divorziati verso cui va compiuto un discernimento personale nelle diverse situazioni, tenendo conto della convinzione soggettiva della nullità quando esiste, alla luce degli insegnamenti della Chiesa e della dottrina canonica-processuale sul sacramento del matrimonio in quanto fatto pubblico.

Per cui, come è stato ribadito in dottrina «secondo la migliore tradizione cattolica, la coscienza ha indubbiamente una dignità unica e un ruolo indispensabile nel formulare l’esigenza pratica, ora e qui, della legge. Per dirla con le parole del Beato John Hery Newman, “la coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo”.

Nel caso delle situazioni irregolari vi è però da tenere presente che la norma dell’indissolubilità è di “diritto divino” e che questi casi hanno un carattere pubblico-ecclesiale. Ciò significa che la coscienza è vincolata alla legge divina senza eccezioni e qualora vi fosse la convinzione soggettiva che il precedente matrimonio era nullo, l’unica via per dimostrarlo deve essere quella del foro esterno, ossia del tribunale ecclesiastico»[9].

Alla luce di ciò si comprende che davanti a situazioni di fedeli convinti in coscienza della loro nullità matrimoniale, presbiteri, operatori della pastorale familiare e della giustizia devono porre molta attenzione e compiere un accurato accompagnamento e discernimento per comprovare la coincidenza di quella convinzione con la realtà e, nella situazione concreta, darle rilevanza ecclesiale al fine di un’autentica e possibile integrazione di questi fedeli, evitando una deriva incline a un relativismo o a «sbrigative conclusioni»[10].

Inoltre, in una fase previa al giudizio, i soggetti che operano a servizio di questi fedeli sono chiamati sempre a tutelare la verità del sacramento attraverso la raccolta dei dati sulla storia personale e matrimoniale, integrando l’itinerario personale del singolo fedele e conoscendone la propria condizione di fragilità matrimoniale sino a raccogliere eventuali elementi utili, che potranno essere di aiuto agli operatori della giustizia nell’iter processuale per raggiungere, nella soluzione dei casi, l’effettiva verità, «la quale deve essere sempre fondamento, madre e legge della giustizia»[11] così come deve essere di ogni percorso pastorale di accompagnamento.

Dunque, ogni operatore come «la guida spirituale che accompagna il discernimento del fedele, dovrà proporre una verifica circa la possibilità di procedere per la via della nullità: l’accoglienza di tale suggerimento, anche nel caso poi non vi siano elementi sufficienti per avviare un processo, sarà comunque un elemento importante che attesta la buona volontà e il cammino di conversione in atto.

Il processo di nullità poi, anche in caso di esito negativo, fornirà elementi molto significativi per il discernimento: tramite il processo infatti possono venire alla luce fatti e circostanze che i coniugi stessi non conoscevano o di cui non erano pienamente consapevoli. Ciò può costituire l’occasione e lo stimolo per quell’assunzione di responsabilità e quella pacificazione della coscienza che costituisce una tappa fondamentale del discernimento stesso»[12].

Questo è particolarmente necessario in questi tempi in cui spesso i battezzati sono influenzati da una mentalità laica e dell’effimero, o da una indifferenza religiosa che li induce ad avere un approccio soggettivo e deformato del matrimonio sino a volerlo disporre in modo autonomo.

Sinergia tra azione pastorale e dimensione giuridica

In conclusione, il cosiddetto convincimento di nullità di coscienza chiede di essere sottoposto al vaglio, alla verifica da parte del giudice, e sottratto al servizio di interessi individuali e di forme pastorali, sincere forse, ma non basate sulla verità, che invece andrà ricercata e orientata verso la salus animarum.

Ulteriormente, come è stato evidenziato in dottrina: «quando si tratta di affrontare problematiche assillanti e delicate (come ad esempio quelle dei divorziati risposati), la via da intraprendere non sembra individuabile nel propugnare in ambito processuale improponibili “nullità di coscienza”, quanto, piuttosto, quella di impegnarsi con tutti gli strumenti giudiziari a disposizione perché si vada formando una prova di (tale rilevanza ed efficacia da asseverare non solo la coscienza del giudice [can. 1602 § 3 CIC], con il conseguimento della sua morale certezza, ma anche e soprattutto la) coscienza della parte che s’è messa in gioco nel processo: una prova di coscienza, dunque, anzi che una “nullità di coscienza”»[13].

Questo è importante anche in vista di una possibile integrazione di queste situazioni di fragilità matrimoniali all’interno della comunità cristiana e rifuggire atteggiamenti lassisti (ad es. in merito all’accostarsi all’eucarestia) prevedendo itinerari e soluzioni verso il bene possibile dei fedeli interessati, senza tradire la giustizia e la verità.

Per cui, «solo sulla base del riconoscimento della verità della propria situazione esistenziale (non sulla base di un infingimento o di prospettazione ambigue in merito) può essere costruito [anche] un sensato cammino pastorale e spirituale»[14].

Quest’ultimo sarà, poi, teso ad integrare ogni fedele ferito all’interno della comunità ecclesiale, ed «in certi casi» (cfr. nota 351 di AL 305) – ove sia impossibile o inopportuno l’avviare un iter processuale – accompagnarlo verso un «preciso processo di discernimento, teso al formarsi della certezza della coscienza fino a poter accedere al sacramento»[15].

Questo modus agendi deve permeare presbiteri, operatori della pastorale e della giustizia, i quali nei confronti di quanti richiedono un chiarimento sulla propria situazione matrimoniale devono rendersi consapevoli di essere sempre al servizio della verità e rifuggire, come esortava San Giovanni Paolo II, un finto “pastoralismo”[16] .

Ciò precisato, si comprende quanto risulti importante nella vita della Chiesa, per il bene delle anime, un sano e rispettoso incontro/convergenza tra la realtà pastorale e quella del diritto, nel rispetto dei loro metodi.


[1] Per un approfondimento più completo sull’argomento si rinvia a: E. Zanetti (a cura di), Coscienza e cause di nullità matrimoniale. Riflessioni di fondo e proposte operative, Ed. àncora, Milano 2020.

[2] A riguardo, si può definire il processo come «lo strumento per stabilire nel foro esterno l’oggettiva fondatezza delle convinzioni di coscienza dei fedeli [laddove NdA] la differenza tra le convinzioni di coscienza soggettive dei coniugi e la fondatezza oggettiva delle medesime rende precipua finalità del processo canonico l’accertamento della verità reale, senza assecondare che ciascuno si senta giudice di se stesso, ma anche senza che l’astrattezza delle norme obblighi a rassegnarsi a verità processuali non reali»: M.J. Arroba Conde, «Il m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus in relazione al concetto di “giusto processo”», in Aa.Vv. (a cura di), Quaestiones selectae de re matrimoniali ac processuali, LEV, Città del Vaticano 2018, pp. 14-15.

[3] Cfr. Francesco, Mitis Iudex Dominus Iesus, LEV, Città del Vaticano 2015, pp. 6 e 8.

[4] A tal riguardo appare utile precisare che per comprendere se si è davanti ad un fallimento o ad una nullità matrimoniale sarà importante analizzare «il momento iniziale, sorgivo di un matrimonio; […] il matrimonio cosiddetto in fieri, cioè il suo momento costitutivo, l’evento storico che è capitato quel giorno. Se in seguito sono avvenute altre circostanze, questo riguarda il buon andamento o meno del matrimonio, non più la sua eventuale nullità [benché a volte l’andamento del matrimonio conferma la sua nullità]. Non è che la Chiesa si disinteressi di ciò che si vive durante la vita coniugale; ma ciò viene preso in considerazione nella misura in cui può portare elementi di riscontro rispetto all’analisi delle condizioni iniziali. [Pertanto, sarà importante (NdA)] capire se i problemi di una coppia sono nati prima o dopo le nozze, cioè se la radice dei problemi che hanno portato alla separazione è legata a certi fatti della vita coniugale o può essere ricondotta a qualche grave fattore precedente, cioè presente già al momento delle nozze. Se, per esempio, una coppia va in crisi dopo 20 anni dalle nozze perché c’è stato un tradimento o altro grave problema, ma la partenza è stata buona [gli sposi, al momento delle nozze, condividevano ed accettavano la Dottrina della Chiesa sul matrimonio, giungendovi con consapevolezza e liberamente] e la vita matrimoniale è stata sostanzialmente normale, allora non bisognerà illudere le persone circa la possibilità di avviare una causa di nullità. Se invece dietro alla causa contingente della separazione emerge qualcosa di grave relativo o presente già al momento delle nozze, allora si potrà consigliare quel coniuge di approfondire il suo caso con persone più specializzate, senza tuttavia esorbitare in affermazioni superficiali quali: “di sicuro il tuo matrimonio è nullo!”; infatti, sarà compito della successiva consulenza appurare meglio la situazione»: E. Zanetti, «Quando e come consigliare l’avvio di una causa di nullità matrimoniale?», in Quaderni della Segreteria Generale CEI 13 (2009), pp. 36 e 52.

[5] Il Decreto generale sul matrimonio canonico della CEI, all’art. 56, prevede che «un primo aiuto per tale verifica deve essere assicurato con discreta e sollecita disponibilità pastorale specialmente da parte dei parroci». Questa precisazione da parte del documento della CEI è importante in vista di un’eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale, perché non bisogna mai dimenticare che «la dichiarazione di nullità di un matrimonio è un fatto ecclesiale e pastorale, e i parroci sono l’espressione più immediata e diretta della sollecitudine pastorale della chiesa verso tutti i fedeli. […] inoltre, il colloquio con il parroco può aiutare il fedele che si accosterà al tribunale ecclesiastico, a seguire l’iter della propria causa con un atteggiamento coerente con ragioni non soltanto umane, che pure sono importanti, ma anche spirituali, cioè di fede o “di coscienza”»: T. Vanzetto, «La via del tribunale ecclesiastico e la coscienza della nullità», in Credere Oggi 23 (4/2003), p. 126. Cfr. E. Tupputi, Pastorale pregiudiziale: accompagnamento delle fragilità matrimoniali, in Settimananews del 26 agosto 2022 (http://www.settimananews.it/diritto/pastorale-pregiudiziale-accompagnamento-delle-fragilita-matrimoniali/).

[6] Appare opportuno rilevare che questo servizio ecclesiale della struttura stabile (o indagine pregiudiziale o pastorale [=IPP]) vada più incentivato, in quanto dall’entrata in vigore del MIDI ad oggi pur esistendo esperienze virtuose (es. Diocesi di Milano, Bergamo, Trani-Barletta-Bisceglie, Palermo, Messina, Noto, Cefalù, Caltanissetta, Acireale, Messina, Siracusa, Lamezia Terme, Catanzaro, Crotone, Ascoli Piceno, Ancona, Pescara, San Benedetto del Tronto, Albano, Roma, Sora-Cassino, Frosinone, Padova, Parma, Livorno, Perugia, Rimini, Modena, Chioggia Venezia,  Pistoia, Verona, Genova, Torino, Biella, Casale Monferrato, Novara e Vercelli, Cremona, Adria, Como, Tempio-Ampurias, Nola, Benevento) per tante diocesi italiane è ancora sconosciuto o scarsamente valorizzato. Ritengo che ci sia bisogno di un maggiore impegno da parte dei Vescovi, i quali con i sacerdoti e tutta la comunità cristiana sono chiamati a ripensare lo stile, i linguaggi ed i gesti per accompagnare le coppie e le famiglie nell’attuale cambiamento d’epoca. Auspico, vivamente, che l’IPP vanga meglio valorizzata come uno strumento efficace di quella cura particolare che pastori e comunità ecclesiale sono chiamati ad avere verso ogni fedele ed in special modo a quanti vivono situazioni matrimoniali difficili o complesse. Inoltre, non si può non tener conto che, in merito a questo ufficio ecclesiale, «la novella processuale fa appello alla responsabilità del Vescovo diocesano nel provvedere ad un servizio idoneo, che garantisca al fedele che dubita della validità del suo coniugio o è convinto della nullità dello stesso di poter avere un confronto con persone competenti e qualificate»: E. Tupputi, L’indagine pregiudiziale o pastorale alla luce del m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus. Applicazioni nelle diocesi della Puglia, Urbaniana Universty Press, Città del Vaticano 2021, p. 205. Ulteriormente, in dottrina è stata ribadito che: «quest’indagine è di grande importanza per la sua portata pastorale, come vicinanza del vescovo e della Chiesa particolare a chi si trova in difficoltà matrimoniale, ma anche dal punto di vista specificamente giuridico, perché in tale indagine vengono raccolti gli elementi utili per l’eventuale introduzione della causa. Tale indagine può arrivare a chiudersi con il libello da presentare al tribunale competente. In questa fase è di fondamentale importanza che ci sia una corretta informazione circa la natura del processo canonico e il suo scopo specifico di cercare la verità sulla situazione matrimoniale dei coniugi. È importante che le parti siano implicate nella loro coscienza per ricercare la verità e non per voler ottenere a tutti i costi la dichiarazione di nullità matrimoniale. Le parti dovrebbero essere coscienti che di per sé il processo canonico non ha un carattere di litigiosità. Per questo è responsabilità del vescovo provvedere alla preparazione non solo di personale sufficiente – chierici, consacrati e laici – che si dedichi in modo prioritario al servizio da prestare nel tribunale, ma anche di personale che possa essere applicato a quest’indagine previa al processo, con almeno una qualche competenza nel campo matrimoniale e processuale canonico»: G. Ghirlanda, «Il ministro pastorale del vescovo nella diocesi: profili canonici», in Quaderni di diritto ecclesiale 32 (2019), p. 109. Cf. anche: G.P. Montini, «Gli studi di diritto canonico alla luce della riforma del processo matrimoniale», in Educatio Catholica 4 (2018), pp. 11-26.

[7] T. Vanzetto, «La via del tribunale ecclesiastico e la coscienza della nullità», pp. 123-124. Cfr. anche: Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994, n. 6. Il testo integrale è edito nel sito ufficiale della Santa Sede (www.vatican.va); P. Bianchi, «Nullità di matrimonio non dimostrabili… equivoco o problema pastorale?», in Quaderni di diritto ecclesiale 6 (1993), pp. 280-297.

[8] Per un approfondimento sull’importanza di tali strutture ecclesiali o indagine pregiudiziale o pastorale rinvio ad una mia monografia: E. Tupputi, L’indagine pregiudiziale o pastorale alla luce del m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus. Applicazioni nelle diocesi della Puglia, Urbaniana Universty Press, Città del Vaticano 2021. Cfr. anche: H. Franceschi, «La preparazione della causa di nullità nel contesto della pastorale familiare unitaria. La necessità di superare un’impropria dicotomia tra diritto e pastorale», in Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (ed.), La riforma del processo canonico per la dichiarazione di nullità matrimoniale, Ed. Glossa, Milano 2018, pp. 63-84; Francesco, Discorso ai Prelati Uditori del Tribunale della Rota Romana in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, Sala Clementina, 27 gennaio 2022. Il testo integrale è edito nel sito ufficiale della Santa Sede 8www.vatican.va).

[9] K. Nykiel, «Unioni irregolari e ricezione dei sacramenti alla luce del Magistero della Chiesa», in Aa.Vv. (a cura di), Divorziati – Nuove nozze, Convivenze. Quale accompagnamento ministeriale e pastorale?, Ed. IF Press, Roma 2014, pp. 28-29.

[10] Conferenza Episcopale Italiana, Decreto generale sul matrimonio canonico, Ed. Paoline, Milano 1990, n. 56. Come è stato opportunamente evidenziato, «sono sbrigative le conclusioni che illudono o deludono le persone; per esempio, dire: “nel tuo caso la dichiarazione di nullità si ottiene senza alcun problema”, oppure: “nel tuo caso non si può fare nulla”. La prima ipotesi non tiene conto che nel corso di un’eventuale causa possono sorgere delle difficoltà; la seconda ipotesi, se è una risposta senza adeguato ascolto, può solo essere frutto di pregiudizi. Non sono verosimilmente sbrigative, invece, le risposte che esplicitano i motivi e le ragioni che sostengono il proprio parere e aiutano l’interessato a capire. È prudente, inoltre, inviare le persone, quando se ne intravedono le ragioni, a un colloquio più approfondito con un esperto»: T. Vanzetto, «La via del tribunale ecclesiastico e la coscienza della nullità», p. 127.

[11] Ioannes Paulus Pp. II, Allocutio Le sono vivamente grato, 25 Ianuarii 1988, in AAS, 80 (1988), p. 1185. Pertanto, appare opportuno ribadire che: «Rimane pur sempre necessaria una ricognizione della vicenda da parte di un soggetto o un organismo estraneo al rapporto coniugale, che cerchi di accertare e ricostruire con obiettività la effettiva realtà di questa vicenda. E a questo proposito, un’esperienza secolare insegna che le formalità tipiche del processo sono quelle che meglio assicurano questa esigenza di pervenire a un accertamento conforme alla verità. L’esperienza ha dimostrato – scriveva un noto processualista italiano, Giuseppe Chiovenda – che le forme del processo sono necessarie: “anche una società nella quale le parti litiganti fossero animate dal medesimo spirito di verità e di giustizia che deve animare il giudice, non potrebbe farne a meno”»: P. Moneta, «Processo di nullità, matrimonio e famiglia nell’attuale dibattito sinodale», in Rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 8/2015, p. 17.

[12] P. Pavanello, «Nullità del matrimonio e discernimento di coscienza: vie diverse e complementari per la cura pastorale delle situazioni matrimoniali “irregolari”», in Monitor Ecclesiasticus 134 (1/2019), pp. 124-125.

[13] S. Berlingò, «La prova di coscienza nelle cause canoniche di nullità del matrimonio», in G. Dalla Torre – C. Gullo – G. Boni (a cura di), Veritas non auctoritas facit legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Petro Antonio Bonnet, LEV, Città del Vaticano 2012, p. 129.

[14] P. Bianchi, «Il servizio alla verità nel processo matrimoniale», in Ius Canonicum 57 (2019), p. 87.

[15] G. Zannoni, “In uscita” incontro all’amore. Leggendo Amoris laetitia, Ed. Marietti, Genova 2017, 139. Circa la questione della coscienza in relazione al sacramento dell’eucarestia appare opportuno precisare che: la coscienza non è di per sé una legge, né può fare a meno della ragione o soppiantare i comandi di Dio così come insegnati dalla Chiesa. San Giovanni Paolo II ha esplicitamente respinto la possibilità che un giudizio soggettivo di coscienza possa legittimare soluzioni cosiddette “pastorali” contrarie agli insegnamenti del Magistero (cf. Veritatis Splendor, 56) o permettere che le persone violino le norme morali che non tollerano eccezioni. Pertanto, come ribadito anche da Papa Francesco, nelle varie situazioni di fragilità matrimoniale occorre sempre accompagnare con gradualità “misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno” (Evangelium gaudium, 44), ma senza cadere nel relativismo o nell’etica della situazione e rispettando “le esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa” (AL 300).

[16] Cfr. Ioannes Paulus Pp. II, Allocutio La solenne inaugurazione, 18 Ianuarii 1990, in AAS, 82 (1990), pp. 872-877.

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