I dubbi dei cardinali e la pretesa del prefetto

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Negli ultimi giorni due interventi diversi, ma entrambi assai significativi, hanno permesso di comprendere meglio la fase della “recezione ” di Amoris lætitia. Da un lato abbiamo letto una intervista in cui il Cardinale Prefetto G. L. Müller  (di cui riferisce Radio Vaticana: qui ) esprime alcune idee su AL e sui dubbi dei 4 Cardinali di cui è utile parlare con una breve riflessione di chiarificazione. D’altro canto un bravo teologo come Pietro Cantoni ha scritto un prezioso commento ad AL – e in particolare al capitolo VIII  (qui) – che getta luce sugli spazi di recezione illuminata e lungimirante che attendono la pastorale familiare ed ecclesiale dei prossimi anni. Cerco di presentare anzitutto la posizione espressa dal card. Mueller e di rispondere ad essa anche attraverso lo scritto del prof. Cantoni.

Prima di arrivare alla presentazione di queste posizioni voglio però anticipare una bella conclusione, che traggo subito dal lucido scritto di Cantoni. Egli osserva con acume, concludendo il suo ragionamento:

«Il contro-rivoluzionario deve stare attento a non cadere in quella che può essere definita la sua “malattia infantile”: l’estremismo. Non si è più contro-ri­voluzionari di altri perché si trasforma tutto in dogma o perché si è favorevoli a un rigorismo sempre più radicale. I dogmi fondamentali della nostra fede sono i dodici articoli del Credo. I comandamenti sono dieci, non undici o dodici, e nemmeno nove. L’entusiasmo del contro-rivoluzionario sta nella sua disponibilità alla lotta per la verità e la santità. La sua “esagerazione” sta sul versante della fede, della speranza e dell’amore, per i quali non esiste un “troppo”. Neppure il minimalismo nella lettura del magistero lo deve conquistare».

Come vedremo, proprio in questa “esagerazione contro-rivoluzionaria”  –  o di resistenza ad ogni riforma – sta un aspetto assai delicato della recezione di AL.

a) La “pretesa contro-rivoluzionaria” del card. Müller

Un sito internet bene informato riferisce con precisione l’espressione utilizzata dal cardinale prefetto di fronte non tanto alla lettera dei 4 cardinali – su cui di per sé non si pronuncia – quanto sul suo contenuto:

«Il porporato ha risposto che questo documento [Amoris lætitia, ndr] non deve essere interpretato in modo tale da indicare che le precedenti dichiarazioni dei papi e della Congregazione per la dottrina della fede non sono più valide. Poi, in modo esplicito, il cardinale ha fatto riferimento alla risposta ufficiale che la Dottrina della fede diede, nel 1994, a 3 vescovi tedeschi (Kasper, Lehmann e  Saier) che in una lettera pastorale annunciavano la permissione all’accesso all’eucaristia per i divorziati risposati. Quella lettera, firmata dall’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger, stigmatizzava chiaramente la fuga in avanti dei tre vescovi».

Un prima osservazione sorge immediata: è singolare che, a fronte del testo di AL (2016), il prefetto citi una risposta ufficiale del 1994, che tuttavia non poteva tener conto di AL, ma solo del testo di Familiaris consortio. Questa sfasatura temporale appare molto più significativa di quanto possa sembrare.

b) Una posizione sorprendente, ma non troppo

La sorpresa che sorge di fronte alla posizione espressa da Müller è duplice:

– da un lato, egli parla come se vi fosse una regola che prevede che un documento magisteriale, espressione del Sinodo dei vescovi e fatto proprio da un papa nei termini di una esortazione apostolica, possa parlare soltanto all’interno dello spazio concesso dai documenti precedenti. Su questo punto Müller avrebbe forse dovuto dubitare prima rilasciare questa dichiarazione. I 4 cardinali dubitano su ciò che è chiaro, ma un quinto cardinale non dubita su ciò che non è affatto chiaro. Anzi, a me pare francamente infondato sostenere che una esortazione apostolica sia vincolata da una precedente esortazione apostolica. Come Familiaris consortio ha innovato rispetto alla disciplina precedente, così Amoris laetitia può innovare rispetto alla disciplina di Familiaris consortio. Questo dice non solo la tradizione magisteriale della Chiesa, ma anche la semplice logica comune.

– D’altro lato, vi è qui una condizione particolarmente delicata del prefetto, che presiede alla Congregazione che dovrebbe vigilare perché i dubbi infondati siano superati, mentre i dubbi fondati siano riconosciuti e presi in carico. È sorprendente che il card. Müller enunci un principio del tutto arbitrario, secondo il quale una nuova esortazione apostolica sarebbe strutturalmente e necessariamente tenuta a mantenere valide le discipline del magistero precedente. Tuttavia la sorpresa non diminuisce se si tiene conto che per risolvere l’imbarazzo si ritorna al 1994. Bisogna riconoscere che la posizione espressa dalla Congregazione nel 1994 è inevitabilmente superata proprio dall’evoluzione della disciplina portata da AL.

Il principio espresso dal cardinale prefetto, assunto nella sua rigidità, annullerebbe ogni cambiamento del magistero ecclesiale e non riuscirebbe a spiegare non tanto AL, ma l’intera evoluzione della disciplina matrimoniale, dal IV secolo in poi. Esso sembra rispondere ad una «strategia di immunizzazione dalla autorità», che si è diffusa nel corpo ecclesiale a partire dagli anni 80 del secolo scorso e che risulta funzionale a una “conservazione ad oltranza” rispetto alle istanza di riforma che il Concilio Vaticano II aveva introdotto nel corpo ecclesiale. Per recepire la Riforma bisogna riconoscere di averne il potere. Se la Chiesa si spoglia di ogni autorità, risulta bloccata nelle discipline acquisite dal passato, senza alcune possibilità di mutamento. Ciò che si è utilizzato per numerosi altri casi precedenti (sul ministero diaconale, sul ministero femminile, sulla unzione dei malati, sulla riforma del messale, sulla traduzione in lingua volgare…), oggi si vorrebbe applicare anche ad AL. Se ogni nuovo documento è vincolato dalla validità indiscutibile dei precedenti, la Chiesa non ha storia. Se c’è una “storia della salvezza” è perché lo sviluppo storico è in grado di elaborare riletture della tradizione che possono trovare nuove strade di attuazione del Vangelo che riducono o superano la validità di strade precedenti. Se i vescovi pre-tridentini spesso non erano residenti, e il Concilio di Trento ha preteso la loro residenzialità nelle diocesi di cui erano titolari, questo non è avvenuto con la preoccupazione che restasse valido ciò che prima era stato osservato e realizzato…

c) La pacata considerazione del prof. don Pietro Cantoni

Negli stessi giorni in cui abbiamo letto questa intervista, la sorpresa che abbiamo provato nel leggere gli scritti e i detti cardinalizi si è mitigata grazie alla “fides quaerens intellectum” espressa con particolare lucidità dal teologo Pietro Cantoni. Nel rinviare alla lettura di tutto il suo testo, che è documento di pacata ed esigente riflessione teologica, vorrei sottolinearne solo alcuni aspetti decisivi:

– Qualcosa è cambiato ed è necessario un approccio “critico” alla tradizione:

«Riformare vuol dire cambiare. Non cambiare tutto, passando da un tutt’altro a un tutt’altro, perché questa sarebbe una rottura, ma certamente sviluppando. È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma (3). Quando vi è una riforma vi è un insieme di continuità e discontinuità”».

– Dopo aver individuato nella “confessione” il luogo della soluzione “nuova” e dopo aver passato in rassegna i limiti delle soluzioni classiche (nullità, astinenza, morte morale) Cantoni scrive:

«Il Papa a questo punto apre una nuova via: quella di astenersi dal considerare come obbligo tassativo la separazione dalla persona con cui si condivide una seconda unione, perché potrebbe coincidere in concreto con il tentativo di risolvere un male con un altro male».

– A ciò aggiunge, con molta chiarezza, il caso di:

«una persona legata a un matrimonio canonicamente valido che ha contratto una nuova unione nella quale ha avuto dei figli. Poniamo il caso che la rottura precedente sia colpevole: da questo peccato può essere perdonato. Ora rimane nell’unione irregolare per il bene dei figli. Questo fatto non è soggettivamente peccaminoso, lo rimane solo oggettivamente. Benché la questione sia dibattuta fra teologi e canonisti, si può sostenere — era la posizione del grande teologo Melchior Cano (1509-1560) — che un matrimonio puramente civile contratto fra battezzati, se da una parte non coincide in modo assoluto con il sacramento, dall’altra non è un semplice concubinato (16). Consigliare a un divorziato risposato, che ha già sulla coscienza la rottura di una unione, di frantumare anche la nuova unione irregolare o di viverla “come fratello e sorella”, non si rivela sempre un buon consiglio».

– Con ancora maggior chiarezza, analizzando la posizione sul matrimonio del Concilio di Trento, Cantoni afferma:

«Che il sacramento del matrimonio sia indissolubile è una verità di fede, che in concreto non possano esistere situazioni in cui una nuova unione non possa essere tollerata non lo è».

– Dopo aver considerato sia il livello dell’autorità sia il livello della “missionarità” della esortazione, egli conclude:

«Il contro-rivoluzionario deve stare attento a non cadere in quella che può essere definita la sua “malattia infantile”: l’estremismo. Non si è più contro-ri­voluzionari di altri perché si trasforma tutto in dogma o perché si è favorevoli a un rigorismo sempre più radicale. I dogmi fondamentali della nostra fede sono i dodici articoli del Credo. I comandamenti sono dieci, non undici o dodici, e nemmeno nove».

Le parole sagge di questo teologo suonano molto lontane dal rigido “estremismo controrivoluzionario”, al quale sembra inclinare non solo la lettera dei 4 cardinali, ma anche una parte della intervista dal Card. Muller.

d) La tradizione è una lampada…

Vorrei concludere con una frase, che in questi giorni è circolata sul “web” e che risulta particolarmente adeguata al complesso processo di recezione di AL. Essa interpreta la “tradizione ” con l’immagine di una lampada e suona così:

«Tradition is a lantern. The fool will hold on to it and the clever will let it lead the way» (G. B. Shaw) – «La tradizione è una lanterna: lo stolto si aggrappa ad essa, mentre il saggio si fa guidare lungo la via».

Un’idea statica di tradizione è il problema sotteso sia alla lettera dei 4 cardinali sia al commento del cardinale prefetto. La dinamica introdotta da papa Francesco – non da solo, ma sulla base dell’ampio confronto sinodale – è lo sblocco di un irrigidimento recente, e tutt’altro che classico. Esso risale alla reazione di diffidenza rivolta dapprima verso il mondo tardo-moderno – tra XIX e XX secolo –  e poi verso il Concilio Vaticano II. La recezione di AL implica perciò il superamento di un concetto statico di tradizione: in altri termini di quella “eresia moderna” che si chiama tradizionalismo.  Amoris lætitia realizza un atto di traduzione della tradizione: in una forma tradizionale e apertamente non tradizionalistica.

Pubblicato il 5 dicembre 2016 nel blog: Come se non

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Un commento

  1. nicoletta sabadini 9 dicembre 2016

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