Zygulski: sulle celebrazioni sospese

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Domenica scorsa e quella precedente, in armonia con la decisione di sospendere i culti da parte della comunità valdese, in Diocesi non si sono svolte le celebrazioni eucaristiche festive per esprimere non solo simbolicamente la solidarietà con tutti nel momento in cui si sta combattendo la dura battaglia contro la pandemia da Covid-19. Annunciata, lunedì 9 novembre scorso, con un comunicato congiunto con il pastore Gianni Genre e ulteriormente motivata con una lettera aperta a tutti i fedeli diffusa l’indomani, questa decisione del vescovo Derio Olivero e della comunità cattolica pinerolese ha suscitato, su tutto il territorio nazionale, reazioni contrastanti. Abbiamo voluto coglierne appieno i significati, dialogando con una figura emergente del panorama teologico italiano, impegnato in una comprensione alta e piena delle sfide che la Chiesa ha di fronte in quest’epoca. Abbiamo rivolto qualche domanda al giovane Piotr Zygulski, insegnante di religione a Savona, dottorando in ambito interreligioso presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano e direttore della rivista di dibattito ecclesiale Nipoti di Maritain (qui).

  • «Il governo non ha chiesto a noi cristiani della zona rossa di sospendere le celebrazioni festive. Sono consapevole che abbiamo questo diritto. Ma io chiedo ai cristiani cattolici di “fare volontariamente un passo indietro” e di rinunciare per due domeniche a questo diritto, per contribuire ad un bene comune, cioè il contenimento del contagio. So che è un sacrificio grande. Ma essere cristiani non significa innanzitutto difendere i propri diritti, quanto lottare per i diritti di tutti. (…) Lo so, abbiamo bisogno di Lui per essere dono per gli altri. In questo tempo preghiamo tutti di più! Ve lo chiedo in ginocchio». È uno dei punti centrali della lettera con cui il vescovo Derio spiega la sua scelta e provocazione, con spirito ecumenico e come segno di testimonianza civile. Ne esce un’immagine di Chiesa che sa indebolirsi per lanciare segni potenti? È questa la strada da seguire?

È quasi una domanda retorica, ma ci sta. Sì, certo: sapersi indebolire è la strada, facendo però i conti con lo specifico di ogni situazione (i numeri del contagio sono diversi: la Pinerolo in zona rossa non è certo la Oristano con meno casi). Si potrebbe tornare, prima che alla Lumen gentium, a San Paolo: «Quando sono debole è allora che sono forte» (2Cor 12,10). La scelta di Derio, fatta immergendosi nella circostanza e con un profetico ecumenismo pratico, sta tutta dentro un’espressione di Dietrich Bonhoeffer: «La chiesa è la sola società sulla terra che esiste per il beneficio di chi non ne fa parte”. Derio è un pastore che raccoglie gli slanci profetici “dal basso” e li rilancia, chiarendo di avere nel cuore anche chi può sentirsene ferito o non comprenderla. Il vescovo deve mediare politicamente tra sensibilità diverse, però parla con gesti che indicano ed esigono. È significativo che si sia deciso con la comunità valdese, sempre perché ogni realtà è diversa e questa diversità va considerata. Non è un segno isolato: anche nel mondo islamico italiano, ad esempio nella Grande Moschea di Roma, si è sospesa la preghiera pubblica del venerdì.

  • Dal fronte tradizionalista come dai circoli iperprogressisti, per motivazioni uguali e contrarie, si è voluto contrapporre questo gesto all’intenso messaggio dalla terapia intensiva del cardinale Gualtiero Bassetti, nel quale il presidente CEI scrive che «anche le vicende drammatiche che stiamo vivendo in questi giorni in Italia – come l’aumento della diffusione dell’epidemia, la grave crisi economica per molti lavoratori e per tante imprese, l’incertezza per i nostri giovani della scuola – non sono al di fuori della Santissima Eucarestia. Mi ricordo che padre Turoldo ci insegnava queste cose con grande chiarezza. E più vado avanti negli anni, più cerco di sperimentarle e più le sento vere. Non c’è consolazione, non c’è conforto, non c’è assenza di lacrime che non abbia il suo riferimento a Gesù Eucarestia». C’è davvero opposizione o in modi diversi si cerca esattamente di lanciare lo stesso messaggio, con una sottolineatura (da un lato) e con un’assenza che segna la presenza (dall’altro)?

Non vedo contrapposizioni, questa volta, ma differenze di accenti. Si può forse cogliere una diversificazione rispetto ai toni muscolari del messaggio che la CEI adottò nel maggio scorso, quando pretese di tornare alle Messe con il popolo. Bassetti diramò quel comunicato accogliendo, in una politica di mediazione, le pressioni delle frange più conservatrici. Dalla scelta del vescovo Derio è emerso un rifiuto del mero ritualismo, che separa il rito dalla vita. È un invito a conquistare quella che egli chiama «adultità»: una consapevolezza eucaristica che generi la capacità di vedere Gesù anche semplicemente nel fratello spezzato. La Comunione è sacramento vivo, che fa la Chiesa in senso oggettivo e soggettivo: l’eucarestia crea la Chiesa, che è costituita dall’Eucarestia, ma a sua volta è la Chiesa tutta insieme chiamata a celebrare la comunione, che è unità nelle fragilità. Significa non chiudere la Messa in un’ora della domenica o tra le mura di un edificio. In questo sicuramente la nuova traduzione del Messale, che non ha più l’ambigua formula «la Messa è finita», ci aiuta. Il non poter andare in chiesa ci apre, nel solco di quanto nel libro spiegano Andrea Grillo e Duilio Albarello, alla «Chiesa che non va in chiesa». Attenti, nella logica del servizio.

  • «Essere Chiesa in uscita», come chiede di essere Papa Francesco, esige di abbandonare una certa idea rituale o, piuttosto, ratzingerianamente una loro «purificazione»?

Bisogna intendersi sul termine purificazione: Ratzinger da escatologo – teologo che riflette sul senso delle «cose ultime» – intende proprio, più che un «restauro» di facciata, il saggiare con il fuoco che purifica. È ciò che papa Francesco chiama «riforma». Di certo, come dice Albarello in Non è una parentesi, occorre uscire da dottrinalismo, moralismo e spiritualismo. Bisogna essere esploratori più che sentinelle, cercando la Chiesa tra i vivi. La si purifica, insomma, trovandola dov’è realmente.

  • «Il Magnificat ai vespri è il canto di una donna che ricorda con gratitudine le grandi cose che il Signore ha fatto per lei. In che modo avrebbe fatto fronte al futuro? Come possiamo contrassegnare ogni giorno con gratitudine per le grazie ricevute e per le persone che ci stanno guidando? Dobbiamo trovare il tempo per dire il nostro grazie, anche se non possiamo vivere il sacramento del ringraziamento, l’eucaristia». Così scriveva ai tempi del precedente lockdown Timothy Radcliffe. Come possiamo dare una nuova forma al tempo, essendo cristiani nel quotidiano, oltre alla visione fondata solo sui riti?

Occorre, torno sul punto, una vita eucaristica: ciò va ben oltre la celebrazione. In quanto battezzati siamo anche sacerdoti; dobbiamo vivere il sacrificio, vale a dire rendere sacro il nostro tempo, trovando un ritmo spirituale nel quotidiano. Andare incontro all’altro, condividendone la condizione, è testimoniare: mostrare un «di più» di solidarietà.

  • L’identità come relazione, il dialogo come metodo di presenza originale. I cristiani «minoranza creativa» possono pensare che sia questa la strada e non un arroccamento difensivo?

Ci sono tanti modi di vivere il nostro essere oggettiva minoranza, ora che non abbiamo nemmeno più il peso di una “maggioranza silenziosa”. È sbagliato rinchiuderci nel vittimismo e nella rivendicazione, ma anche essere un resto insipido che “taglia servizi” nella logica della “austerity”. Tornando a Derio, serve invece essenzialità: Parola, Comunione e relazioni (e anch’esse sono comunione) che fruttifichino nel soffio creativo dello Spirito. Per dirla francescanamente con fra Marco, arcivescovo di Genova: vivendo la «minorità», cioè ponendosi sotto agli altri per sostenerli.

  • Per gentile concessione de Il Nuovo Monviso, 24 novembre 2020
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