Accoglienza migranti: dalla profezia al governo

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Migranti nel Mediterraneo, al largo di Sabrata, Libia (AP Photo/Sima Diab)

Il fenomeno migratorio sempre più massiccio dall’Africa verso l’Europa a cui stiamo assistendo in questi anni, al centro dell’attenzione mediatica e delle scelte politiche, può essere letto anche attraverso un modello fluidodinamico. La fisica insegna che, quando si è in presenza di due soluzioni con percentuali di soluto molto diverse, separate da una membrana osmotica, avviene un riequilibrio della concentrazione in modo che le concentrazioni di soluto nelle due soluzioni vadano progressivamente ad uniformarsi.

Se applichiamo questo modello allo squilibrio socio-economico mondiale, che vede, da un lato della membrana, i paesi più poveri dove vive l’80% delle persone che utilizzano circa il 20% della ricchezza e, dall’altro lato, i paesi ricchi, dove vivono il 20% delle persone che godono dell’80% della ricchezza, è naturale che, una volta concesso il passaggio, le concentrazioni di popolazione nei due mondi tendano ad uniformarsi. Infatti, tolto il “tappo” della presenza di Gheddafi in Libia, molto più facilmente è possibile arrivare in Europa dai paesi più poveri dell’Africa, aprendo così una fase migratoria dal Sud al Nord del mondo che durerà anni.

Governare il fenomeno

La causa delle migrazioni è dunque da ricercare, in ultima analisi, nell’ingiustizia planetaria, che, anche là dove non porta alla guerra, produce comunque povertà e miseria, tanto che risulta una semplice nota di dettaglio la distinzione tra profughi e migranti economici. Si tratta di persone che migrano per migliorare la loro condizione di vita.

Si pone dunque la domanda: è possibile impedire agli uomini di migliorare la propria condizione di vita costruendo muri e barriere? Come cristiani, la risposta è certamente negativa. Anche se le condizioni iniziali sono diverse, tutti gli uomini devono avere la possibilità di migliorare la propria situazione vitale.

Certamente il monito profetico di papa Francesco sull’accoglienza resta un punto di non-ritorno. Nello stesso tempo, andando oltre la profezia, occorre pensare ad un governo dell’accoglienza che sia sostenibile e possibile, e che non vada a rafforzare, con esempi e situazioni negative, il populismo di coloro che spingono per la costruzione di muri e per il respingimento dei migranti.

Nella fase emergenziale l’Italia ha dato e continua a dare una risposta di accoglienza parziale e limitata al tempo in cui i migranti ottengono il permesso di soggiorno. Una volta ottenuto quel permesso, essi sono invitati ad uscire dai centri di accoglienza straordinari (CAS), cresciuti come i funghi su tutto il territorio nazionale. In questo modo, però, si sono creati solo dei nuovi poveri ed emarginati. Infatti, senza svolgere un vero lavoro di integrazione, capace di formare i migranti alle professioni da svolgere nel nostro paese, si è solo finito per rinforzare le sacche dell’emarginazione. Prova ne è il numero dei ragazzi africani in continua crescita che oggi vediamo chiedere l’elemosina nelle nostre città.

Un’accoglienza differenziata

Difficile pensare che tutti coloro che sbarcano in Italia – ormai l’unica via possibile dal momento in cui è stata chiusa la via di accesso dai Balcani – possano integrarsi nel nostro territorio, a fronte della mancanza di posti di lavoro. Ma, anche se ci fossero posti di lavoro, la professionalità richiesta è impossibile da costruire nel poco tempo messo a disposizione per l’accoglienza.

Occorre, in questo senso, che la questione migratoria diventi sempre più una questione europea, che coinvolga tutti gli stati dell’Unione e non solo quelli che, come l’Italia, sopportano il peso continuo degli sbarchi.

Si deve inoltre tener presente che le persone che arrivano in Italia hanno mentalità molto differenti, culture di provenienza molto diverse (si pensi a coloro che provengono dall’Africa subsahariana) e modi di vivere molto distanti da quelli occidentali. Per tanti africani il salto nel nostro mondo, che hanno visto solo in televisione come un “Eldorado irraggiungibile”, è troppo grande.

Un sistema di accoglienza che inizialmente venga incontro ai loro bisogni primari (mangiare, dormire, salute), con una serie di diritti uguali per tutti, ma senza la necessaria mediazione della responsabilità personale legata alle opportunità offerte, rischia di strutturare in loro una mentalità assistenzialistica, che non aiuta ad emanciparsi, ma che li fa adagiare in quel poco che viene loro offerto. Poco che, per chi viene da situazioni di miseria, è sempre tantissimo. Si verifica la medesima situazione di un adolescente chiamato a passare all’età adulta senza il necessario confronto conflittuale con i genitori.

Si dovrebbe andare verso un sistema di accoglienza differenziato, fatto di meriti e di privilegi, in modo che l’accesso ai livelli successivi (ad es., l’inserimento in tirocinio in azienda) sia possibile solo se si sono raggiunte alcune condizioni indispensabili (una buona conoscenza della lingua) e possa così funzionare da stimolo per chi si trova in un livello inferiore, facendo in modo che i migranti diventino pro-attivi nel costruire il proprio futuro.

Una “rete” di relazioni

Altro elemento su cui puntare per strutturare un’accoglienza che abbia possibilità di integrare i nuovi cittadini è costruire un sistema a rete, dove quante più persone possibili si sentano coinvolte.

Prima di dar vita a piccoli o grandi luoghi di accoglienza, occorre assolutamente coinvolgere i cittadini che vivono in quei luoghi dove andranno ad abitare i migranti, sia attraverso le istituzioni preposte, sia sensibilizzando le associazioni del territorio. Per ampliare la rete si potrebbe inoltre far lavorare i migranti in lavori socialmente utili, che supportino le attività dell’Ente Locale (per esempio, la pulizia dei parchi…). I cittadini avrebbero così modo di vedere che, quanto i migranti ricevono per l’accoglienza, viene loro restituito in servizi alla collettività. Diversamente, sarà facile per i politici populisti utilizzare argomenti che tendono a fomentare il confronto tra i poveri, con slogan del tipo: “si aiutano gli stranieri, ma non i poveri italiani!”.

Un’ultima considerazione sul tema dell’integrazione tratta dalla mia esperienza personale. Oggi, un luogo che facilita la costruzione della rete è certamente l’esperienza della vita parrocchiale, possibile evidentemente solo per i migranti cristiani. Senza voler fare nessuna discriminazione religiosa, è certo che la frequentazione della vita parrocchiale (liturgia, momenti di festa comunitari, gruppi di catechesi) da parte dei giovani migranti, permette loro in tempi molto rapidi la costruzione di una fitta trama di rapporti umani, di affetto e di attenzioni verso le loro storie, che diventa concreta possibilità di sostegno del loro percorso, una volta concluso il progetto messo in campo dalle istituzioni.

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