Cina – Santa Sede: Accordo sugli zucchetti viola

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«È un buon accordo? No»; «Un accordo necessario, ma non al meglio»; «Meglio un cattivo accordo che nessun accordo»: sono alcune delle formulazioni che, nel contesto della diplomazia pontificia, sono usate per indicare il possibile e prossimo (si parla di aprile o dei mesi successivi) accordo fra Santa Sede e governo cinese a proposito della nomina dei vescovi. Affermazioni consapevolmente di basso profilo. La decisione del papa sarebbe già presa e si attende il segnale verde da parte della Cina (cf. Corriere della sera, 18 febbraio). Possibile con la prossima riunione a Roma della delegazione del celeste impero. Si incomincia a ragionare sul dopo: si divideranno? Chi ha vinto e chi ha perso nella firma? Quali sono i prevedibili sviluppi?

Anzitutto l’accordo. Esso riguarda solamente la nomina dei vescovi. Un tema centrale per l’identità cattolica, che lascia impregiudicate molte altre questioni. Il testo è sostanzialmente quello su cui si lavora da anni. Non riguarda i rapporti diplomatici fra i due stati di cui non si è ancora parlato. Si tratterebbe di affidare alle parte cinese l’indicazione di una terna di nomi, il cui vaglio verrebbe fatto a Roma, lasciando la decisione finale al papa. Sono anni che la pratica va in questo senso: nomina “cinese” con un assenso diretto o implicito da parte di Roma. Nel caso di un mancato assenso papale, sarebbe prevista una nuova terna.

L’intento è di far riconoscere i vescovi clandestini da parte del governo e di formare con i vescovi “patriottici” un unico corpo episcopale, anche riconoscendo i sette vescovi illegittimi non in comunione con Roma (con la clausola di un giudizio relativo ai comportamenti personali). Cioè di portare a compimento l’attesa, espressa da Benedetto XVI nella lettera ai cattolici cinesi del 27 maggio 2007, di un’unica Chiesa in Cina.

Il guadagno da compromesso

I cattolici cinesi si divideranno? L’effetto complessivo sarà quello dell’unione fra Chiesa “patriottica” e Chiesa “clandestina”, ma non si può escludere che una parte si irrigidisca e si metta di traverso. È successo in altri contesti. Uno scisma è improbabile, perché i vescovi non li seguiranno. Il più vigoroso oppositore all’accordo, il card. G. Zen Se-kiun, ex vescovo di Hong Kong, pur riconoscendosi «il maggior ostacolo al processo di accordo», ha affermato: «Se, per caso, un giorno un cattivo accordo viene firmato con la Cina, ovviamene con l’approvazione del papa, io mi ritirerò in silenzio a vita monastica. Certamente come un figlio, anche se indegno, di don Bosco non mi farò capo di una ribellione contro il romano pontefice, vicario di Cristo in terra».

Chi ha vinto e chi ha perso? È una domanda sportiva più che diplomatica. Del tutto impropria nel caso di una normativa religiosa. È tuttavia probabile che il compromesso suoni come una legittimazione per il governo che, peraltro, non ne ha bisogno. Esso consente all’associazione patriottica di sopravvivere con una riaffermazione delle tre autonomie da sempre sostenute (autogoverno, autofinanziamento, autopropaganda).

Dover fare i conti con Roma e dare spazio ai “non ufficiali” si rivela, tuttavia, operazione non facile e non coerente con le prassi precedenti della burocrazia religiosa. Non le sarà più possibile nominare vescovi in contrasto con la Santa Sede.

Dal punto di vista del Vaticano, si può facilmente rimandare a pratiche non dissimili nel passato in vari contesti, in nome del male minore. Facendo notare che tutto avviene senza modificare il rapporto diplomatico con Taiwan (che era la condizione previa in tutti i dialoghi precedenti).

In secondo luogo, che l’accordo incrina uno dei pilastri fondamentali dell’esercizio del potere in Cina. Come ricordava Mao-Zedong a Gian Carlo Paietta: chi governa la Cina ha piena responsabilità su tutto il territorio e i mari, sul sottosuolo e sul cielo che li copre. Riconoscere il potere del papa è conseguenza della percezione di un’autorità vera e «non politica» dello stesso e la consapevolezza del nesso non scindibile fra papa e vescovi, fra Chiese locali e Chiesa universale.

L’accordo garantisce soprattutto la minoranza cattolica e scongiura il pericolo che la continuità della separazione fra le due comunità, ufficiale e no, si atrofizzi in un vero e proprio scisma. È una porta socchiusa, non ancora aperta, ma non più sbarrata.

Quali i prevedibili sviluppi? C’è qualcosa di grande e di azzardato in quello che si sta consumando. E di non prevedibile. Si attende un consenso largo, anche se sofferto, da parte delle comunità cattoliche cinesi “clandestine”, ma è difficile prevedere le reazioni dei media internazionali. C’è, in proposito, una spinta da parte del cattolicesimo conservatore americano che alimenta e sostiene le voci critiche e oppositive. Più in profondità, ci si aspetta che, risolto il nodo dei vescovi, prendano fiato i compiti urgenti relativi alla formazione del laicato, dei preti e dei religiosi, che si alimenti la riconciliazione e l’unità, che riprendano vigore l’evangelizzazione e l’annuncio.

Slittamenti semantici

Non si sa ancora dove e chi firmerà l’accordo. Pare plausibile che, da parte vaticana, possa essere mons. Antoine Camilleri, sottosegretario della Segreteria di stato, o Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli stati, con i corrispettivi del governo cinese. Forse seguirà un intervento diretto del papa. Se l’atto costituirà un punto fermo, la ricostruzione storica dovrà percepire una mutazione semantica, una sorta di slittamento del significato di parole, ostentatamente ripetute da parte della Cina, ma il cui contenuto non è lo stesso. «Camminare in modo inflessibile sulla strada dei principi della Chiesa indipendente e delle elezioni e delle ordinazione autonome dei vescovi»: l’affermazione è di Wang Zuoan, direttore dell’amministrazione statale per gli affari religiosi, ricordando le parole risuonate nel congresso del partito comunista dell’ottobre 2017.

Ad ogni apertura è corrisposto un irrigidimento da parte degli esponenti della burocrazia religiosa. Ma questo non significa che i passi non ci siano.

Oggi i rapporti fra gli interlocutori sono migliorati e gli slogan degli anni ’50 hanno un tono diverso. Così com’è diversamente esercitata l’autorità di Roma. Lo mostra il modo con cui sono stati risolti i due punti più delicati dell’accordo, resi pubblici da Asia News: i vescovi della diocesi di Shantou, l’88enne “clandestino” P. Zhuang Jianjian e il “patriottico” G. Huang Bigzhang, e quelli della diocesi di Xiapu-Midong, il “patriottico” V. Zhan Silu e il “clandestino” G. Guo Xijin.

Nel primo caso si è chiesto al «clandestino» Zhuang di ritirarsi a favore del «patriottico» Huang, garantendo al primo di poter indicare tre nomi per il vicario generale.

Nel secondo caso si è proposto al “clandestino” Guo di fare l’ausiliare del “patriottico” Zhan. Prevedendo, tuttavia, per il primo la responsabilità pastorale sulle comunità clandestine che rappresentano la grande maggioranza della diocesi.

Se la delegazione vaticana non avesse ottenuto il consenso degli interessati, l’accordo si sarebbe arenato. Le risposte, non prive di fatica e di ammirabile dignità, indicano l’esercizio dell’autorità, non dell’imperio. Il richiamo del papa all’evitare un nuovo «caso Mindszenty» va in questo senso.

Senza illusioni

Nessuno si illude che la visione di Pechino circa la libertà religiosa sia cambiata e, tantomeno, che possa dirsi piena. I nuovi regolamenti religiosi in atto da febbraio sono più restrittivi dei precedenti e rendono molto più difficili le comunità familiari della tradizione protestante e le comunità “clandestine” cattoliche. Il richiamo a prassi più democratiche all’interno della gestione ecclesiale significa uno spazio maggiore per i laici dell’associazione patriottica.

Né si possono ignorare le distruzioni di chiese, la rimozione delle croci dalle facciate, le permanenze forzate di vescovi e preti fuori delle loro parrocchie e diocesi. All’entrata di tutte le chiese dovrà essere esposto un cartello che vieta ai minori di 18 anni di partecipare ai riti. Non verrà meno l’imperativo di “sinizzazione” anche per il cristianesimo e il cattolicesimo.

Disposizioni illiberali, ma assai meno cruente di quelle esercitate dal potere centrale nel confronto delle minoranze religiose attraversate da spinte indipendentiste (buddismo tibetano) e ribelliste (islam uiguri). Nei loro confronti è in atto un processo di occupazione territoriale con infrastrutture destinate a modificare il peso delle etnie e un controllo poliziesco duro e quotidiano. Non solo attraverso la violenza, ma anche con un controllo tecnologico con i dati forniti dai social e dal riconoscimento facciale usata su larga scala. Luogo di sperimentazione di un sistema di credito sociale che determina per ciascuno un punteggio di affidabilità, valido per ogni tipo di carriera.

Nell’enorme sviluppo tecnico, finanziario ed economico della Cina, nella crescita esponenziale del potere del presidente, Xi Jinping (attende di essere liberato dal vincolo del doppio mandato), nell’espansione del potere di influenza (dalla «via della seta» al controllo del mar della Cina) rimangono molti interrogativi sui diritti umani che la vicenda sempre più assimilata al sistema centrale di Hong Kong conferma.

Passo storico

L’accordo è considerato un evento storico ed è accompagnato da molte piccole indicazioni assai chiare per la cultura cinese e da discussioni pubbliche di rilievo. Quanto alle prime rimando alle cronache di F. Sisci su Settimananews: la crescente presenza del papa sui giornali cinesi, la visita del vicepresidente esecutivo della scuola di partito a Roma nel 2016, le voci dei vescovi “non ufficiali” registrati alcuni mesi fa, il dono di Xi al papa della copia della Stele cristiana di Xi’an, i contatti artistici fra Santa Sede e Cina, l’intervento del card. P. Parolin, Segretario di stato sulla memoria di Celso Costantini ecc.

Fra le discussione di rilievo, cito tre personaggi di peso: il card. John Tong, ex vescovo di Hong Kong (successore di Zen), il card. Zen e il card. Parolin. In un lungo articolo del gennaio 2017, il card. Tong scriveva: «L’accordo sino-vaticano relativo alla nomina dei vescovi risulterà la chiave del processo e una pietra miliare nel cammino verso la normalizzazione dei rapporti tra la Cina e il Vaticano. Ma non è per nulla la meta finale. Entrambe le parti dovranno continuare ancora il dialogo sulla base della fiducia reciproca e pazientemente risolvere gli altri ostacoli che sussistono. Questi problemi si sono accumulati per decenni, per cui non è realistico, se non impossibile, aspettarsi che vengano risolti nottetempo». E ricorda: l’associazione patriottica, i sette vescovi illegittimi, il riconoscimento governativo dei 30-40 vescovi “sotterranei”.

Il card. G. Zen Se-kiun si è costantemente distinto per una forte opposizione ad ogni dialogo con il governo che non prevedesse il pieno riconoscimento di tutti i diritti umani e di libertà. È figura di riferimento per le lotte sociali e politiche ad Hong Kong, come la rivoluzione degli ombrelli nel 2014. I più maliziosi lo indicano come prigioniero di pregiudizi insuperabili.

In ogni caso, appena saputo dell’accordo, immediatamente dopo il viaggio della delegazione a Pechino, il card. Zen si precipita a Roma, viene ricevuto dal papa e racconta ogni cosa senza filtri e prudenze. Al termine del suo resoconto annota: «Alcuni dicono che tutti gli sforzi per giungere ad un accordo è per evitare uno scisma ecclesiale. Ciò è ridicolo! Lo scisma è già lì, nella Chiesa indipendente… Il Vaticano darebbe quindi la benedizione a una nuova e più forte Chiesa scismatica, lavando la cattiva coscienza di coloro che già ora sono volonterosi rinnegati e degli altri che sono pronti ad aggiungersi a loro… Ma ci può essere qualcosa di comune con un regime totalitario? O ti arrendi o accetti la persecuzione, ma rimanendo fedele a te stesso… Così, forse, io penso che il Vaticano stia svendendo la Chiesa cattolica in Cina? Sì, decisamente, se essi vanno nella direzione che è ovvia in tutto quello che hanno fatto in questi mesi e anni recenti». Il racconto insiste nel sottolineare la diversa direzione del papa dai suoi collaboratori in Segreteria di stato.

Fecondità del martirio

Coerentemente vi è stata la smentita della sala stampa (30 gennaio) e il giorno successivo il card. Parolin così si esprimeva su La Stampa: «La finalità principale della Santa Sede nel dialogo in corso è proprio quella di salvaguardare la comunione nella Chiesa, nel solco della genuina tradizione e della costante disciplina ecclesiastica. Vede, in Cina non esistono due Chiese, ma due comunità di fedeli chiamati a compiere un cammino graduale di riconciliazione verso l’unità». «Nessuno in coscienza può dire di avere soluzioni perfette per tutti i problemi. Occorrono tempo e pazienza, perché si possano rimarginare le tante ferite personali inflitte reciprocamente all’interno delle comunità. Purtroppo è certo che ci saranno ancora incomprensioni, fatiche e sofferenze da affrontare. Ma tutti nutriamo la fiducia che, una volta considerato adeguatamente il punto della nomina dei vescovi, le restanti difficoltà non dovrebbero essere più tali da impedire ai cattolici cinesi di vivere in comunione tra loro e con il papa». Il miglior modo per onorare la memoria dei molti martiri è renderla feconda nel presente in spirito di obbedienza figliale al successore di Pietro.

Una grande e dolorosa pagina di storia ecclesiale in Cina si sta chiudendo. La sapienza dello Spirito accompagnerà la Chiesa cinese a scriverne una nuova.

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