I nostri giovani traditi

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La notizia che alcuni giovani ventenni della Milano bene avevano organizzato un gruppo sovversivo, «Avanguardia Rivoluzionaria», coltivando il progetto di un nuovo ordine mondiale, potrebbe sembrare un residuo anacronistico del passato, degno, al massimo di un sorriso. Ammesso che si possa sorridere di una iniziativa di matrice nazi-fascista, ispirata ai gruppi suprematisti americani, nel cui programma figuravano esplicitamente la discriminazione razziale e l’uso della violenza. Significativa al riguardo la scelta di usare quali nomi di battaglia quello di fanatici terroristi come Anders Breikvik, responsabile dell’eccidio di Utoya, in Norvegia, nel luglio 2011. E, nel loro piccolo, anche i membri di «Avanguardia Rivoluzionaria» stavano progettando un’aggressione a un musulmano nero.

Insomma, la rivocazione di fantasmi del passato per fortuna isolata, che sembrerebbe meglio dimenticare.

Un grande vuoto

E invece no. Al di là del carattere velleitario e marginale di questa squallida vicenda, vale la pena di riflettere su ciò che essa lascia intravedere. In primo luogo, un grande vuoto il cui significato non è soprattutto politico, ma esistenziale. Abbiamo costruito una società in cui ai giovani non è rimasto nulla in cui credere. Meno che mai una prospettiva, un sogno per il futuro. Insieme alle ideologie, sono morte anche le idee e le speranze di un mondo diverso.

Che quelli del gruppo «Avanguardia Rivoluzionaria» abbiano centrato la loro fede e la loro speranza su una visione distorta non solo dal punto di vista politico, ma anche da quello etico, non deve far perdere di vista il contesto in cui la loro scelta è maturata, che è quello di un deserto intellettuale e spirituale, dove non solo i partiti tradizionali, ma anche i movimenti sorti per contestarli – esemplare il caso dei 5stelle – e, più a monte, le istituzioni che in passato avevano avuto un ruolo fondamentale per l’educazione delle nuove generazioni, come la Chiesa, sembrano aver perso la loro credibilità.

A essere ormai anacronistico è il concetto stesso di «fede». Oggi la maggior parte dei giovani non crede più nella politica, come del resto neppure nella religione. Perlomeno, non al punto da investire in questi ambiti le proprie energie e le proprie speranze. Questo già prima della pandemia, quando tutto l’impegno dei nostri governanti era rivolto al rispetto dei parametri stabiliti dall’Europa per la nostra economia. Il problema del PIL aveva già allora polarizzato su di sé tutta l’attenzione del mondo politico. Già allora non si parlava più di costruire un mondo diverso, migliore. Quelli che hanno per un momento dato l’impressione di volerlo fare – i grillini – hanno subito rivelato la loro inconsistenza a livello culturale e ideale, anche prima di andare al potere. E quando ci sono andati, i fatti hanno confermato le peggiori previsioni.

Ai giovani non è rimasto che sperare in un «posto». Il Covid, peraltro, ha messo in discussione anche questo. E ora che il Recovery Fund offre una nuova opportunità di ripresa, lo fa pur sempre in termini di PIL, restando rigorosamente all’interno di un quadro dove di valori e di rinnovamento radicale della nostra società nessuno parla.

La perdita di credibilità della Chiesa

Anche la Chiesa sembra sempre più in difficoltà con le nuove generazioni.

Le parrocchie continuano a sperimentare la fuga dei più piccoli, dopo la prima comunione, né sembrano in grado di esercitare un’attrazione sugli adolescenti e sui giovani. Anche i gruppi e i movimenti – che, dopo il Concilio, avevano avuto un ruolo fondamentale nel compensare la crisi della pastorale giovanile parrocchiale – sembrano aver perduto una parte del loro smalto e della loro incisività. E nell’immaginario collettivo lo scandalo della pedofilia dei presbiteri continua a pesare come una pregiudiziale difficile da superare.

Come effetto, ma anche e soprattutto come causa di questa caduta di tensione, c’è il dato di un progressivo deterioramento dello slancio missionario delle comunità ecclesiali. Molti presbiteri appaiono oggi stanchi e demotivati. I laici sono ancora marginali e molti di loro sono tentati da un clericalismo che in fondo fa comodo, perché esonera dalle responsabilità. Perfino la figura di papa Francesco, che all’inizio sembrava dover imprimere a tutta la vita ecclesiale un nuovo dinamismo, non è riuscita a riscattare la comunità cristiana nel suo insieme da questo grigiore.

Il tradimento degli adulti

Il risultato è che alla maggior parte dei giovani non arriva alcun messaggio spirituale e intellettuale credibile neppure da parte della Chiesa. Fin da piccolissimi, crescono nella logica del consumismo, dominati dai meccanismi di massa della pubblicità, dal mito dei capi d’abbigliamento firmati e dei cellulari ultima versione, dagli slogan e dalle parole d’ordine delle mode dominanti. Il solo futuro che sembra riguardarli è quello della loro sistemazione professionale e del loro appagamento affettivo, sempre più sganciato, peraltro, dall’idea tradizionale di famiglia fondata su un legame matrimoniale vincolante per il futuro. Il presente – un presente che riguarda l’individuo e il suo «privato allargato» – domina incontrastato.

I genitori si prodigano nell’offrire ai loro figli tutte le condizioni per il benessere materiale, ma non si rendono conto di averli traditi nella misura in cui non riescono più a educarli a cercare un senso per la propria vita. E anche quei pochi che cercano di offrire una logica alternativa, si vedono sommersi e scavalcati dalla piena inesorabile dei messaggi in senso contrario che provengono dai mezzi di comunicazione.

C’è anche una seconda riflessione che viene suggerita dal pur minimo episodio di Milano. In questo vuoto hanno maggiori possibilità di affermazione prospettive violente e reazionarie. La rabbia, il risentimento, sono sempre stati fattori importanti per i movimenti politici di estrema destra e hanno conferito loro una carica in un certo senso «rivoluzionaria». Si individuano nella democrazia, nei diritti delle minoranze, nella stessa esistenza dei «diversi», le ragioni del proprio disagio e si vuole reagire rimettendo tutto in discussione.

Non si accetta l’esistente. Ma in realtà quella su cui si punta è una parodia del futuro, perché consiste nel tornare indietro, alla logica della chiusura verso l’altro e della emarginazione dei più deboli.

Prospettive di autentica novità

Non basta, però, deprecare, bisogna ritornare a offrire ai giovani prospettive ideali che possano rispondere alla loro originaria e ineliminabile ansia di novità, per impedire che ristagni o che imbocchi direzioni perverse. Di questo, in un momento che viene indicato come una svolta fondamentale per il nostro Paese, nessuno parla.

E invece è fondamentale che lo si faccia. Diceva Peguy che la rivoluzione o sarà morale o non sarà. Possiamo parafrasare questa affermazione dicendo che non ci sarà una vera ripresa dell’Italia se non avrà una valenza etica e spirituale. Se non sarà in grado, perciò, di coinvolgere i giovani non solo nella crescita del PIL, ma di un ordine diverso, più umano, dei rapporti umani e sociali.

Molti obiettano che non è il momento di pensare alle grandi prospettive e che già è difficile gestire le urgenze immediate. Lo si diceva anche prima del Covid e del Recovery Fund. A quanto pare, non è mai il momento delle svolte valoriali, della giustizia, della rifondazione della società… In realtà, proprio in questa ripartenza si tratta di decidere con quali parametri farlo. E, soprattutto, di aprire ai nostri giovani nuovi orizzonti di speranza. Se vogliamo evitare che restino mutilati della dimensione che da sempre è quella più caratteristica delle nuove generazioni, quella del futuro, o che siano indotti a capovolgerla nella rabbiosa rivendicazione del passato.

  • Pubblicato sul sito della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo il 2 luglio 2021.
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