Il Gesù “apocrifo”

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Dei quattro vangeli solo due narrano la nascita e l’infanzia di Gesù: Matteo e Luca. Raccontare gli inizi di un personaggio importante non fu una caratteristica originale dei vangeli, già nell’Oriente antico e nella cultura ellenistica era usanza tratteggiare le imprese degli eroi operando una certa enfasi sulle loro origini. Matteo e Luca sono debitori di questo contesto, ma solo in parte.

apocrifi dell’infanzia

Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore, Mosaici dell’arco trionfale

I due racconti

I racconti dell’infanzia sono un’introduzione alla scoperta dell’identità di Gesù, poiché già in questi capitoli troviamo nascoste l’azione e il ministero che egli svilupperà nel suo ministero pubblico. Per entrambi gli evangelisti, i racconti dell’infanzia vanno letti non come un corpo a sé stante, ma alla luce di ciò che segue, il cui culmine è rappresentato dalla passione, morte e risurrezione.
I due racconti non sono identici. Presentano elementi in accordo, ma anche differenze significative. Sia Matteo che Luca raccontano ciò che avviene prima della nascita e subito dopo. Entrambi sono concordi nell’affermare che Giuseppe è di discendenza davidica; Maria e Giuseppe sono fidanzati, non vivono ancora sotto lo stesso tetto e non hanno avuto una relazione matrimoniale.

Prima, durante e dopo la nascita di Gesù sappiamo quello che Matteo e Luca ci hanno consegnato. Il materiale scritto non è abbondante, soprattutto dice poco del bambino dopo la nascita, fino al ministero pubblico.

Dobbiamo immaginare che la prima comunità cristiana, prima che fossero messi per iscritto i vangeli, abbia avuto l’esigenza di sapere o dire qualcosa di più sulla famiglia di Maria e sulla vita di Gesù prima del battesimo. Questa esigenza, secondo alcuni studiosi, sembra farsi più pressante verso l’anno 150 d.C. quando trovano la genesi due scritti apocrifi dell’infanzia di Gesù: il protovangelo di Giacomo e i racconti dell’infanzia del Signore Gesù.

La parola apocrifo ha assunto diversi significati, principalmente quello di nascosto, lontano dalla verità storica, non conforme all’ufficialità. Per questo, per secoli, questi scritti furono ritenuti pericolosi. Il teologo protestante Wilhelm Schneemelcher, studioso degli scritti apocrifi, li definiva: «scritti non accolti nel canone, ma che, mediante il titolo o altri enunciati, avanzano la pretesa di possedere un valore equivalente agli scritti del canone e che, dal punto di vista della storia delle forme, prolungano e sviluppano i generi creati e accolti nel Nuovo Testamento, non senza peraltro la penetrazione anche di elementi estranei». I vangeli apocrifi – è bene ricordarlo – testimoniano l’evoluzione del cristianesimo primitivo, che era pluralista come il giudaismo dal quale deriva.

L’infanzia di Gesù

Gli apocrifi dell’infanzia, non dicono niente di straordinario di quanto non dicano i vangeli canonici; essi però ci danno l’opportunità di vedere l’evento della nascita di Gesù con gli occhi di alcune tradizioni che hanno influito sulla religiosità popolare e sull’arte cristiana. Volendo colmare i silenzi della Scrittura, gli autori degli apocrifi (che rimangono anonimi), sfruttano l’occasione per mettere in evidenza le loro idee, non sempre conformi all’ortodossia. Per inciso: nessuno dei Vangeli canonici menziona la grotta per la nascita di Gesù e la presenza dell’asino e del bue Questi particolari, noti soli agli apocrifi (protovangelo di Giacomo e pseudo vangelo di Matteo), hanno influito notevolmente sull’arte e la letteratura nel cristianesimo maturo. Se oggi facciamo il presepe con la grotta, il bue e l’asinello, se siamo abituati a chiamare con un nome proprio i magi, questo deriva dall’abbondante letteratura apocrifa che possediamo.

A partire dal XVI secolo, ci fu una certa riscoperta di questi scritti e oggi esegeti e studiosi affermano, senza problemi, che i vangeli “apocrifi” mettono in luce tradizioni orali antiche coeve e successive alle prime comunità cristiane.

Nei vangeli apocrifi dell’infanzia viene tratteggiato un Gesù bambino con poteri “divini”. È lui, ad esempio, secondo il vangelo arabo dell’infanzia (V-XIII sec.), che parla e dice a Maria appena dopo la nascita: «Io sono Gesù figlio di Dio, il Logos, da te generato secondo quanto ti aveva annunziato l’angelo Gabriele. Mio padre mi ha inviato per la salvezza del mondo».

Nel protovangelo di Giacomo leggiamo della preoccupazione di Giuseppe per l’avvicinarsi delle doglie di Maria e nel trovare un posto adatto per il parto. Così Giuseppe lascia Maria in una grotta e va a cercare un’ostetrica di Betlemme. Il mondo intero si ferma prima della nascita di Gesù. Leggiamo nel vangelo apocrifo di Giacomo: «Io Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell’aria e vidi l’aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi immobile e immobili erano gli uccelli del cielo». Giuseppe va alla ricerca di un’ostetrica. Trovatala, la porta alla grotta. Lì arrivati, vedono il prodigio dei prodigi, il Figlio in braccio alla madre mentre luce bellissima avvolge la grotta.

Qui si inserisce un altro episodio: l’ostetrica esce raggiante dalla grotta e, mentre fa ritorno al villaggio, incontra Salome sua collega, e le rivela l’accaduto: «Salome, incredibili cose ti devo raccontare. Cose che accadono oggi, qui, e contro ogni legge di natura: ho appena visto una vergine partorire». Così Salome, incredula, vuole vedere di persona, entra nella grotta e chiede di poter esaminare da vicino il grembo di Maria. «Salome mise il suo dito nella natura di le, e mandò un grido, dicendo: Guai alla mia iniquità e alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca da me, bruciata». Allora Salome chiede perdono per la sua incredulità e un angelo le dice: «Salome, Salome! Il Signore ti ha esaudito: accosta la tua mano al bambino e prendilo su, e te ne verrà salute e gioia. Salome si avvicinò e lo prese su, dicendo: L’adorerò perché a Israele è nato un grande re. E subito Salome fu guarita e uscì dalla grotta giustificata». Salome è la prima miracolata della storia della salvezza.

Nella variante del vangelo dello pseudo-Matteo, Zelomi, dopo essere stata guarita da Gesù per la sua incredulità per la verginità di Maria, fa la professione di fede e dice di Maria: «Ha concepito vergine, vergine ha generato e vergine è rimasta».

I vangeli apocrifi attestano che Maria diede al mondo il Salvatore a Betlemme in una grotta nei pressi del sepolcro di Rachele, la sposa di Giacobbe, madre di Giuseppe e Beniamino.

Durante il cammino verso l’Egitto, non si contano i prodigi di guarigione e di conversione operati dalla presenza della santa famiglia. Indemoniati, lebbrosi, ciechi, zoppi, riacquistano la salute, città intere vengono liberate dalla presenza del maligno da Gesù con la madre Maria e Giuseppe.

C’è un episodio particolare raccontato nel vangelo apocrifo arabo dell’infanzia. Si narra di due banditi egizi, Tito e Dumaco (in altre redazioni vengono chiamati Dema e Gesta). Quando vedono giungere la famiglia di Gesù, Tito cerca in ogni modo di convincere il suo collega a lasciarla passare in pace, offrendole anche del denaro. Maria, al vedere la bontà di Tito, gli profetizza che Dio gli concederà un giorno il perdono dei peccati. Ma è Gesù stesso a meravigliare il ladrone, annunciando che, da lì a trent’anni, gli ebrei lo crocifiggeranno a Gerusalemme. Il piccolo Gesù, rivolto alla madre Maria, dice: «Di qui a trent’anni, o madre, gli ebrei mi crocifiggeranno a Gerusalemme, e questi due ladri saranno alzati in croce insieme a me. Tito sarà alla mia destra e Dumaco alla sinistra. Dopo quel giorno, Tito mi precederà in paradiso».

I re magi

Nei racconti apocrifi non potevano mancare i magi, misteriosi indovini che venivano dall’Oriente. Abbigliati in modo diverso, dirigono verso la grotta portando con loro tre doni. Il vangelo apocrifo armeno dell’infanzia assegna loro anche i nomi: «il primo era Melkon, re dei Persiani, il secondo Gaspar, re degli Indi, e il terzo Balthasar, re degli Arabi». Il vangelo armeno, un rimaneggiamento del vangelo di Giacomo, è molto abbondante di particolari, dice: «il primo re, aveva mirra, aloe, mussolina, porpora, pezze di lino e i libri scritti sigillati dalle mani di Dio. Il secondo, il re degli Indi, Gaspar, aveva come doni in onore del bambino del nardo prezioso, della mirra, della cannella, del cinnamono, dell’incenso e altri profumi. Il terzo, il re degli Arabi, Balthasar, aveva oro, argento, pietre preziose, zaffiri di gran valore e perle fini».

Di ritorno dall’Egitto, la santa famiglia si fermò a Betlemme colpita da una grave pestilenza. Un giorno – racconta il vangelo arabo dell’infanzia – una donna andò dalla «Signora padrona Maria» e le chiese di salvare il proprio figlio ormai prossimo alla morte. Maria – scrive l’apocrifo – stava lavando Gesù e allora disse alla donna: «Prendi un po’ di quest’acqua con cui ho lavato mio figlio e spruzzala su di lui». Subito dopo il figlio della donna guarì, la madre ringraziò Maria, la quale le disse: «Ringrazia Dio che ti ha guarito questo tuo figlio».

L’importanza degli apocrifi dell’infanzia sta in questo: sono una testimonianza dello sviluppo del cristianesimo maturato anche grazie alla confluenza-scontro di diverse correnti teologiche e religiose. La lettura di questa scritti ci aiuta a comprendere il variegato mondo culturale, religioso del cristianesimo primitivo, tenendo presente il monito dell’autore della lettera agli Ebrei che dice: «Non lasciatevi sviare da dottrine varie ed estranee» (Eb 13,9).

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