Ma che cos’è “teologia”?

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Che cos’è mai la teologia? È questa la prima domanda che ci dobbiamo porre per poter dire, in seguito, della sua importanza per la pastorale. Si può rispondere in tanti modi.

Rispondo ad essa motu proprio, attingendo unicamente ai miei convincimenti personali, maturati nella vita pastorale (specie in quella diocesana e parrocchiale) e nei diversi decenni di insegnamento della teologia, in quella forma ciclica e completa che si richiede nella formazione dei futuri pastori dei seminari maggiori, oltre che in quello universitario.

Evidentemente, opero una selezione fra le tantissime definizioni possibili della teologia, privilegiando quelle che aprono in generale il loro servizio alla Chiesa e alla pastorale in particolare.

La teologia tra Parola, mistero e fede

1. La teologia, un servizio della Parola. La teologia parte dalla Parola per ricevere da essa il primo contenuto della sua riflessione, per offrire ad essa un servizio originale, che non va confuso con gli altri servizi della Parola (kérigma, catechesi, omelia, magistero).

L’originalità del servizio teologico consiste nell’accostare la Parola e nell’appellare alle altre fonti (liturgia, patristica, storia del dogma, storia della teologia, storia della pietà, agiografia ecc.), attivando il principio ragione e perfino la creatività del teologo per un disegno e una costruzione teologici usando tutti i materiali di cui dispone.

La teologia non sostituisce nessun altro servizio della Parola, ma non si lascia sostituire neppure da nessuno di essi. Fra loro si crea, invece, una circolarità virtuosa, una mutua protezione, una reciproca vigilanza, uno scambievole nutrimento.

La teologia ha sofferto di una specie di carenza d’identità: è una competenza di cui tutti hanno bisogno, ma su cui molti hanno nutrito una immotivata diffidenza, mentre si è stentato nel riconoscere al teologo una chiara e importante vocazione ecclesiale. Ormai però è stato fortunatamente posta a tema la personalità ecclesiale del teologo quale credente-pensatore, intellettuale-ecclesiastico, discepolo del Vangelo e maestro di conoscenza.[1]

2.  La scienza del mistero. La teologia medita il mistero, il non-Oggetto, dal momento che il mistero è Dio stesso, che non si lascia oggettivare né tanto meno dominare come una qualsiasi scienza cerca di fare col suo oggetto (anch’esse, però, senza mai riuscirvi appieno).

Il mistero non si lascia razionalizzare, meno ancora si lascia geometrizzare. Dio è Dio e la teologia lo deve rispettare nella sua alterità e differenza; la teologia deve lasciare che Dio sia Dio, accettando il fatto che – alla fine – solo Dio è teologo: «Se solo Dio conosce Dio, noi dobbiamo tacere ascol­tandolo? No, ascoltarlo è per l’uomo rendere grazie della parola udita che è parola di vita. Non è quindi possibile ripetere semplicemente ciò che si è ascoltato, come esige il Corano, secondo il quale la teologia è eretica di per sé. Questo ascolto attivo, con l’azione di grazie, lo si può chiamare teolo­gia? Sì, se si definisce teologia l’atto con il quale Dio si parla donandosi a se stesso e agli uomini. Questo con­tiene in sé, implica, chiama ed esige l’atto dell’uomo che gli risponde. Questo atto non è solamente teologa­le, cioè mosso dalla parola e dalla vita divine, ma anche teologico: esso partecipa a questa conoscenza che Dio ha di se stesso nell’atto di donarsi a se stesso: così questa conoscenza può essere chiamata intellettuale, ma è per designare l’intelligenza che Dio ha della sua libertà».[2]

La teologia, perciò, non rinuncia alla sua impresa, incoraggiata dal fatto che Dio stesso si offre alla conoscenza e alla riflessione, dal momento che è piaciuto a lui di «rivelare se stesso»)[3] in tanti modi, «con gesti e parole intimamente legati fra di loro»,[4] ma soprattutto con l’incarnazione del Figlio suo nel seno della Vergine-Madre, assumendo in tal modo la nostra condizione umana, iscrivendosi perciò nella nostra esistenza radicata in un contesto spazio-temporale e assumendo la nostra struttura comunicativa col suo corredo di segni e simboli, con le sue regole espressive di oggettività, reciprocità, gradualità ecc. A motivo del suo Oggetto non catturabile (il mistero), la teologia si qualifica anch’essa – alla maniera di tutti gli altri saperi – come una scienza del limite: del resto, Dio è mistero per tutti i servizi della Parola e sarà mistero anche in Cielo, quando e dove «lo vedremo così com’egli è» (1Gv 3,2).

3.  La cultura della fede. La teologia è scienza sacra, perché parte dalla fede della Chiesa e torna ad essa per aiutarla ad assumere una visuale nuova, appunto quella della fede pensata, che è un’esigenza permanente perché è la stessa persona credente che esige di credere e di pensare insieme, senza barattare mai né l’uno né l’altro.[5]

La teologia tenta di rendere intelligibile la fede, che è altra cosa dal razionalizzarla: l’intelligibilità è la soglia massima verso cui la teologia si porta ed è ciò di cui il credente ha bisogno. «Il “merito” della teologia, in effetti, non è nient’altro che l’intelligibilità di quella fede in nome della quale si pone la questione della “legittimità” dell’istituzione teologica».[6]

La teologia ragiona sulla fede, che è il mistero accolto e vissuto da una comunità di grazia come è il popolo santo di Dio. Perciò, non c’è una fede pubblica e una teologia privata. «La fede implica sempre appartenenza ad un tutto e, proprio per questo, un uscire dal chiuso di sé. Ma la Chiesa non è neppure uno spazio spirituale non tangibile, in cui ciascuno ha da scegliere quel che più gli aggrada. Essa è concreta, nella parola vincolante della fede. Ed è voce vivente, che dice le parole della fede».[7]

La teologia nasce dall’esperienza di fede, il cui primo avvio è la conversione, ma il cui nome sintetico e globale è la santità: «Quello della connessione fra teologia e santità non è dunque un discorso sentimentale o pietistico, ma ha il suo fondamento nella logica delle cose e ha dalla sua parte la testimo­nianza di tutta la storia. Non è pensabile Atanasio senza la nuova esperien­za di Cristo di Antonio abate; Agostino senza la passione del suo cammi­no verso la radicalità cristiana; Bonaventura e la teologia francescana del XIII secolo senza la nuova gigantesca attualizzazione di Cristo nella figura di san Francesco d’Assisi; Tommaso d’Aquino senza la passione di Dome­nico per il Vangelo e l’evangelizzazione; e si potrebbe continuare, così, lungo tutta la storia della teologia».[8]

La teologia, un complesso atto ecclesiale

1. Un pensare la Parola per servire e lodare Dio. La dimensione ecclesiale non toglie scientificità alla teologia, ma la rende possibile, la crea e la garantisce: «Per la scienza teologica, la Chiesa non è un’istanza estranea, essa è piuttosto il fondamento della sua esistenza, la condizione della sua possibilità. E la Chiesa non è, a sua volta, un principio astratto; essa è invece soggetto vivente, è contenuto concreto. Per sua natura questo soggetto è più ampio di ogni singola persona; anzi, di ogni singola generazione».[9]

Sostieni SettimanaNews.itÈ per questo che, negli ultimi tempi, si sottolinea sempre di più il carattere ecclesiale della teologia e la vocazione ecclesiale del teologo.[10] Cosicché non esiste una fede senza il soggetto ecclesiale che la viva e la incarni nella storia, come non può essere teologizzata da un soggetto privato, ma da un soggetto ecclesiale: qui si capisce perché i «rapporti di collaborazione» fra teologia e magistero sono essenziali,[11] perché la nascita, la crescita, la difesa della fede della comunità credente è affidata anzitutto ai “maestri di fede”.[12] In particolare, la teologia riflette sulla vita credente e orante della Chiesa, quale si manifesta nella liturgia, dal momento che questa è «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la virtù».[13]

Abbiamo affermato che la teologia deve essere pastorale perché il cristianesimo è religione di salvezza; ora dobbiamo completare il discorso dicendo che la teologia dev’essere pastorale perché il cristianesimo è religione-di-lode.

2. Un mediare la Parola con le “croci dell’ora”. La teologia è un ponte: si sforza di collegare la parola di Dio e la vita della Tradizione con le «croci dell’ora» (P. Mazzolari). È cioè un grande e insostituibile servizio di mediazione: la Parola di sempre e per tutti va riferita e adattata al momento storico, alle condizioni esistenziali del popolo di Dio in una data ora storica e in una particolare plaga geografica, perché, fra l’altro, non bisogna mai dimenticare che «il cristianesimo è storia e geografia» (Giorgio La Pira). Si tratta di rendere indigeno Gesù, di farlo diventare contemporaneo e conterraneo degli uomini.

Dopo aver “individuato” con l’atto di fede in Gesù di Nazaret il Signore e il Mediatore, il problema capitale dei cristiani è quello di aiutare gli uomini a esperimentare la contemporaneità con lui, perché, senza vivere la contemporaneità con Cristo, si è come quelli che non lo conoscono, non credono in lui o lo rifiutano.

Sapere della sua esistenza non basta, occorre vivere di lui e con lui; non basta neppure vivere per lui e come lui (il cristianesimo non è anzitutto etica e imitazione di Cristo). La teologia sa aiutare nell’una e nell’altra impresa cristiana.


[1] P.-A. Sequeri, L’istituzione teologica, a cura di Giuseppe Colombo, in Aa.Vv., Il teologo, Glossa, Milano 1989, p. 8.
[2] G. Chantraine, Che cos’è la teologia. Piemme, Casale Monferrato (AL) 1989, p. 10.
[3] Cost. dogm. Dei Verbum, n. 1.
[4] Cost. dogm. Dei Verbum, n. 2.
[5] Cf. due preziosi libri di P. Rossano: Vangelo e cultura, Paoline, Milano 1985; La fede pensata. Sul dialogo tra Vangelo e cultura, Camunia, Milano 1988.
[6] P.-A. Sequeri, L’istituzione teologica, a cura di Giuseppe Colombo, in Aa.Vv., Il teologo, cit., p. 9.
[7] J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Milano 1993, p. 57.
[8] Ibidem, p. 55.
[9] Ibidem, p. 57.
[10] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo (2.5.1990), nn. 6-12.
[11] Ibidem, nn. 21-31.
[12] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis, cit., nn. 13-20.
[13] Cost. dogm. Sacrosanctum concilium, n. 10.


L’intervento di Michele Giulio Masciarelli si inserisce nel corposo dibattito proposto su SettimanaNews e riportato nel post Teologia oggi: il dibattito.

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