I paradossi di un attentato

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Forse non tutti hanno colto i paradossi presenti della vicenda del bus dirottato dall’autista senegalese che voleva vendicare gli immigrati morti nel Mediterraneo bruciando vivi 41 ragazzini di scuola media.

Il primo e forse più evidente è che mai, in tutti questi anni, si era verificato in Italia – a differenza che quasi tutti gli altri Paesi europei – un attentato terroristico di matrice islamica; per la prima volta è stato compiuto adesso, dopo un anno di ininterrotta campagna elettorale condotta da Salvini, come candidato prima, come vicepremier poi, quasi esclusivamente sul tema della sicurezza nei confronti della “minaccia” costituita dai migranti.

Chi era grato al nostro ministro degli interni per aver finalmente messo in sicurezza le vite degli italiani bloccando l’“invasione” degli stranieri e trasformando in clandestini fuorilegge quelli già presenti sul nostro territorio, si sbagliava doppiamente (alla cecità non c’è fine).

Dalla falsa invasione a pericoli reali

In primo luogo, perché questa “invasione” non c’era (era finita già mesi prima che il leader leghista andasse al governo: basta andare a vedere i dati ufficiali per averne la conferma).

In secondo luogo, perché, qualificando come nemici persone che non avevano nulla contro gli italiani, ma imploravano soltanto di poter godere delle briciole del nostro benessere, e scatenando una campagna violentissima contro di loro, li si è trasformati davvero in potenziali nemici, pericolosi davvero per la nostra comunità.

Il risultato finale di questa operazione, come si vede, è l’esatto opposto delle intenzioni dichiarate e a cui un numero crescente di italiani, in questi mesi, ha dato credito.

Lo scrivevo già, su Tuttavia, in tempi non sospetti (lo scorso novembre), in un chiaroscuro intitolato Il «decreto sicurezza» e la fabbrica dei mostri: «Ora sì, la paura avrà un fondamento. Creata da questo “decreto sicurezza” sbandierato come una soluzione ad essa. Vivremo assediati dall’ombra creata da noi stessi».

Oggi siamo davanti a un primo episodio che realizza questa triste profezia. Non avevamo mai avuto paura degli autisti di colore. Da ora in poi qualunque padre o madre, prima di mandare il figlio in gita scolastica, chiederà se per caso il conducente del pullman ha origini africane.

La fine dell’eccezione italiana

Ma non sarà una precauzione sufficiente. Si è visto in Inghilterra, in Francia, in Belgio: persone normalissime, da due generazioni inserite nelle nostre società, apparentemente inculturate, sotto la spinta di una propaganda islamica estremista e di comportamenti che sembrano confermarla da parte dell’Occidente, possono improvvisamente trasformarsi in «lupi solitari», fanaticamente protesi a vendicare le vere o presunte ingiustizie subite dai loro rispettivi popoli sulla pelle di vittime innocenti.

Finora l’Italia era rimasta esente da questa piaga. Il suo bassissimo profilo coloniale, l’accoglienza (per quanto sgangherata) offerta ai migranti, la tolleranza religiosa da parte del mondo cattolico, l’impegno di assistenza del volontariato (in gran parte anch’esso di matrice cattolica), le hanno evidentemente risparmiato questo «terrorismo alla carta», frutto di esasperati stati d’animo individuali, facili a esplodere in soggetti predisposti.

Dobbiamo ringraziare il nostro governo di avere rotto questo equilibrio delicatissimo con la sua denunzia del «buonismo» degli italiani, facendoci scoprire che anche gli altri, di fronte al nostro cinico «Prima gli italiani», possono diventare cattivi.

Davvero un effetto imprevisto?

Ma è così sicuro che questo esito fosse del tutto imprevisto da parte di chi l’ha determinato? Come pensare che – se l’avevo prefigurato io – non l’avessero sospettato i nostri governanti, in possesso di molti più elementi di valutazione? E allora?

La risposta c’è, anche se è triste. Forse quello che è disastroso per la gente, perché accresce, invece di diminuirla, la sua paura, non lo è per chi punta su questa paura per aumentare le proprie fortune elettoralistiche.

Ora Salvini avrà ancora più elementi per convincere la gente che ha bisogno di un protettore inflessibile. Ha creato lui stesso le condizioni perché la minaccia, prima insistente, diventasse reale!

E del resto, non è un punto del suo programma quello di liberalizzare la vendita delle armi, sia contro i malviventi italiani che contro i terroristi stranieri? Così magari il PIL aumenta…

I paradossi della cittadinanza

Il secondo paradosso della vicenda di Milano è che a fare l’attentato non è stato un clandestino, ma un cittadino italiano, sia pure di origine senegalese. Mentre, a sventarlo, è stato un ragazzino di origine egiziana che la cittadinanza non ce l’ha e che potrebbe essere candidato a diventare clandestino appena crescerà un altro poco, anche se è nato in Italia e qui è cresciuto, come tutti i suoi compagni italiani.

Ora, in base al «Decreto sicurezza», gli spetta di ricevere la cittadinanza per il suo atto eroico. Per darla a suo fratello, invece, si aspetta che qualche altro attentatore si faccia avanti e gli dia l’occasione di diventare anche lui un eroe…

Ma perché bisogna salvare un pullman da un terrorista per essere riconosciuti bravi ragazzi e godere degli stessi diritti di tutti i propri coetanei?

L’episodio di Milano ci ricorda che si è cittadini perché persone, e non persone perché cittadini. L’autista criminale che si accingeva a compiere una strage spaventosa mancava di umanità, malgrado il suo titolo giuridico; il quattordicenne che ha rischiato la vita, non consegnando il suo cellulare e chiamando i carabinieri, era già un uomo prima di questo gesto e con esso ha solo confermato di esserlo.

E uno Stato che, per riconoscere l’umanità delle persone, ha bisogno che diventino eroi non merita rispetto.

Sono verità ovvie, ma oggi è come se fossero diventate incomprensibili ai più. Perciò dobbiamo aspettarci che, dopo questo attentato, i sondaggi ci dicano che Salvini è ancora più amato dagli italiani per l’opera meritoria che sta svolgendo in difesa della loro sicurezza contro l’assalto degli stranieri.

Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo, scrittore ed editorialista. Il post è stato pubblicato nella sua rubrica «I chiaroscuri», ospitata sul sito www.tuttavia.eu, lo scorso 22 marzo 2019.

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2 Commenti

  1. Claudia Vellani 9 aprile 2019
  2. Claudio 3 aprile 2019

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